Chi l'ha detto?/Parte prima/44

Parte prima - § 44. Mestieri e professioni diverse

../43 ../45 IncludiIntestazione 9 aprile 2022 100% Da definire

Parte prima - § 44. Mestieri e professioni diverse
Parte prima - 43 Parte prima - 45

[p. 263 modifica]






§ 44.

Mestieri e professioni diverse



Per chiunque voglia darsi ad una professione qualsiasi, il miglior consiglio è quello di cercare di uniformarsi al dettato inglese:

816.   The right man in the right place.1

che alcuni a torto attribuiscono a Shakespeare, altri vogliono di origine più recente, trovandolo in un discorso pronunziato da Sir Austen H. Layard alla Camera dei Comuni il 15 gennaio 1855: «I have always believed that success would be the inevitable result if the two services, the army and the navy, had fair play, and if we sent the right man to fill the right place» (Hansard’s Parliamentary Debates, IIIrd Series, vol. CXXXVIII, pag. 2077). L’uomo che occupa la posizione, umile od elevata, alla quale è chiamato dalle sue doti naturali e dalla educazione ricevuta, ha il dovere di darsi tutto ad essa, poichè ciascuno deve stare nel cerchio dell’arte sua, di qui la frase latina:

817.   Tractant fabrilia fabri.2

(Orazio, Epistole, lib. II, ep. I, v. 116).

A chi male apponendosi sulla sua vocazione, o costretto dalla sorte ad allontanarsene, scelse una via che non gli si confaceva, possono applicarsi le parole di Carmen a Josè:

818.   Questo mestier davver non è per te.

(Carmen, parole di H. Meilhac e L. Halévy, mus. di Bizet, a. III. sc. 2).

Fra le diverse arti, gli antichi erano concordi nel magnificare quella dell’agricoltore: [p. 264 modifica]

819.   O fortunatos nimium, sua si bona norint Agricolas!3

dice Virgilio nelle Georgiche (lib. II, v. 458-9); e

820.              Beatus ille, qui procul negotiis,
          Ut prisca gens mortalium,
          Paterna rura bobus exercet suis,
          Solutus omni fœnore!4

dice Orazio negli Epodi (ode 2, v. 1-4); ma egli parla soltanto dell’agricoltore che coltiva il suo campicello, e forse oggi non chiamerebbe beato l’affamato contadino della Sicilia o della Basilicata.

Il navigatore può con orgoglio vantare la classica sentenza:

821.   Πλεῖν ἀνάγκη, ζῇν ἀνάγκη5

così rispose Pompeo ai marinai che lo dissuadevano dal salpare per Roma durante una fiera tempesta, mentre egli doveva recare alla metropoli il grano raccolto in Sicilia, in Sardegna e in Affrica (Plutarchus, Vita Pompeii, § 50). Il motto tradotto in latino

Navigare necesse, vivere non necesse

fu il motto delle città anseatiche.

Dei mestieri urbani, non trovo da ricordare che i fornai, e i sarti. I primi sono motteggiati dal popolo inglese con una citazione shakespiriana:

822.   The owl was a baker’s daughter.6

(Shakespeare, Hamlet, a. IV, sc. 5).

È Ofelia che dice: They say, the owl was a baker’s daughter; alludendo alla leggenda, tuttora viva nella contea di Glocester, [p. 265 modifica] secondo la quale Cristo entrò un giorno nella bottega di un fornaio, chiedendo per carità un poco di pane. La padrona che stava lavorando la pasta, ne levò un pezzo, e lo pose nel forno, dicendo a Cristo di attendere che fosse cotto; ma la figlia, rimproverandola della sua prodigalità, lo trasse dal forno, rimettendone soltanto la metà. Questa cocendosi crebbe prodigiosamente, onde la figlia meravigliata si diede ad esclamare: Huh! huh! huh! Questo grido fece venire in mente a Gesù la civetta, e bastò questo perchè la ragazza fosse senz’altro tramutata in civetta. Il motto si ripete a pungere l’ingordigia dei fornai. I sarti sono due volte ricordati da Dante in due similitudini:

823.                        .... Aguzzavan le ciglia
Come ’l vecchio sartor fa nella cruna.

(Inferno, c. XV, v. 20-21).

e più oltre, nel Paradiso (c. XXXII. v. 140-141) fa dire a S. Bernardo:

                    ....Come buon sartore
          Che, com’egli ha del panno, fa la gonna.

Veniamo alle professioni liberali, e in testa alle altre lasciamo quella del fòro. Cicerone fece insuperbire gli avvocati approvando chi diceva:

824.   Cedant arma togæ, concedat laurea linguæ.7

(De Officiis, I, cap. XXI).

e così viene comunemente citato, benchè Cicerone scrivesse propriamente laudi invece di linguæ. In tutto il Medio Evo lo studio delle leggi fu tenuto in altissimo onore, e la professione avvocatale circondata di larghissimi privilegi, ma il mondo cominciò ad averne presto piene le tasche, tanto più che fin da tempo antico si levavano dei dubbi sulla discrezione e sulla onestà degli avvocati, fra i quali si contava per un’eccezione chi potesse essere detto:

825.   Advocatus et non latro.8

[p. 266 modifica]

Infatti una pseudo-sequenza di S. Ivone (morto nel 1303, canonizzato nel 1347, e celeste patrono degli avvocati) così dice:

                         Sanctus Yvo erat Brito:
                         Advocatus et non latro,
                         Res miranda populo.

Questi tre soli versi registra anche l’ab. Ulisse Chevalier nel Repertorium hymnologicum, tom. II (Louvain, 1897), pag. 552, num. 18,665, ed egli pure non ne conosce di più: ma il Blume nel Repertorium repertorii, Kritischer Wegweiser durch U. Chevalier’s Repertorium Hymnologicum (Leipzig, 1901), a pag. 50 e 283, nota che probabilmente si tratta non di una vera sequenza liturgica ma di tre versi satirici, diretti forse non contro gli avvocati, ma contro i Bretoni il cui nome spesso era assunto nei testi medievali, come conferma anche il Ducange, quale sinonimo di grassatori e predoni.

I moderni rincararono la dose, e mentre il Giusti beffeggia l’avvocato novellino, facendogli cantare dai compagni di università:

826.    Tibi quoque, tibi quoque
     È concessa facoltà
     Di potere in jure utroque
     Gingillar l’umanità.

(Gingillino, P. I, str. 37).

uno tra i più fecondi e più fortunati commediografi francesi, in una commedia celebre, di cui il protagonista il cui nome dà il titolo alla produzione e che è rimasto appunto come tipo dell’avvocato intrigante, fa esclamare al suo povero Principe di Monaco:

827.   Quand une civilisation est vermoulue, l’avocat s’y met.9

(Sardou, Rabagas, a. I, sc. 10).

Dei medici condotti, Arnaldo Fusinato in una notissima poesia, intitolata Il medico-condotto, dice in ritornello che

828.   Arte più misera, arte più rotta
Non c’è del medico che va in condotta.

[p. 267 modifica]

E dei giornalisti si può dire, poco benevolmente, che

829.   Zeitungsschreiber ein Mensch, der seinen Beruf verfehlt hat.10

frase che si attribuisce a Otto von Bismarck, il quale forse non l’ha mai testualmente pronunciata, ma disse qualcosa di molto simile il 10 novembre 1862 a una deputazione dell’isola di Rügen, parlando però della stampa di opposizione, per la maggior parte, secondo lui, in mano di ebrei e di malcontenti spostati.

Professione comoda ed ambita è quella dell’impiegato, il quale almeno, fra le liete probabilità, ha quella di

830.   Congedo e paga intera.

che il Giusti nella Legge penale per gl’impiegati fa minacciare dal Granduca di Toscana come punizione agli impiegati prevaricatori (str. 12):

               Gl’infliggeremo, in riga di galera,
                         Congedo e paga intera.

Per le belle arti, ricorderò la pittoresca similitudine del musico eunuco, applicabile del resto a molti artisti anche se non nelle identiche condizioni fisiologiche:

831.   Canoro elefante.

Ecco la intiera strofa:

          Aborro in su la scena
               Un canoro elefante,
               Che si strascina a pena
               Su le adipose piante,
               E manda per gran foce
               Di bocca un fil di voce.

(Parini, La Musica, str.1)


Quindi i visi che dal melodramma comico di Luigi Ricci sono stati trasportati a servire per ogni tormentatore di violino di altro istrumento a corda: [p. 268 modifica]

832.    Son Tomaso Scarafaggio
     Vignajuol di San Quintino,
     Detto il Sega nel villaggio
     Perchè suono il violino.

(Un’avventura di Scaramuccia, di Felice Romani, a. I, sc. 3).

Vengono qui a proposito le due citazioni dantesche che dette dall’Alighieri a proposito delle pergamene miniate da Franco Bolognese si usano anche per altri lavori artistici. Nella prima di esse l’arte del miniatore è detta:

833.                                 ....Quell’arte
Che «alluminare» chiamata è in Parisi.

(Purgatorio, c. XI, v. 80-81).

e il verso seguente contiene la frase entrata nell’uso comune:

834.   Ridon le carte.

(Purgatorio, c. XI, v. 82).

Ma tanto la miniatura, quanto altre manifestazioni nobilissime di arte, già in onore, oggi presso che dimenticate, languirono di fronte alla fotografia, e alle sue applicazioni grafiche. Che cos’è la fotografia?

835.   Arte nata da un raggio e da un veleno.

la disse con frase felice Arrigo Boito in un madrigale, scritto sotto un ritratto fotografico della duchessa E. L. (Boito, Il libro dei versi, Torino, 1877, a pag. 37).

Quasi una professione è diventato anche il ciclismo, per la grandissima importanza che ha preso nella vita quotidiana di ogni classe sociale. Ai ciclisti si applica dagli odiatori di ogni novità la nota invettiva:

836.   Arrotini impazziti.

La frase fu per voce comune e per lungo tempo attribuita a Giosuè Carducci; ma nel maggio 1902 il prof. Ottone Brentari si rivolse direttamente all’illustre uomo chiedendogli di autorizzarlo a smentire quella voce, e il Carducci rispose sollecitamente: «Non è vero che la frase arrotino impazzito sia uscita dalla mia bocca. Eccola servito.» E allora.... chi l’ha detto? [p. 269 modifica] Corrado Ricci così ne scriveva allo stesso Brentari: « A Bologna certo fu chiamato per la prima volta “arrotino impazzito” il velocipedista. Ricordo benissimo d’aver sentito quella (dirò così) “definizione” a San Lazzaro di Savena all’apparire d’uno dei primi pedalatori con bicicletta gommata. E là era attribuita a un prete (Don Raffaele Mazzoni), arrotato e rovesciato dal trionfante istromento, e rialzatosi polveroso e imponente: “Boia d’un agòz” (arrotino) “dovintè matt?” Non so di più, e nemmeno so se ciò che mi si disse allora risponde al vero » (Vedi la Rivista Mensile del Touring Club Italiano, giugno 1902, pag. 188). E per conto mio non credo che risponda. Credo invece che la paternità della fortunatissima frase debba farsi risalire all’illustre alienista lombardo Andrea Verga, senatore, che avrebbe detto qualcosa di simile in una delle poche poesie vernacole da lui composte, un sonetto intitolato La Bicicletta, che comparve per la prima volta nella Cronaca Trevigliese (il Verga era di Treviglio), num. 784, del 9 settembre 1893, e fu poi riprodotto da altri giornali. Lo riproduco io pure come curiosità, tanto più che non è facile di ritrovarlo.


LA BICICLETTA

SONETTO


Che gust mo’ caven da la bicicletta
     Sti giovinotti per fa tant burdell?
     Con che sugh dì e nott fann la staffetta
     Sonand allegrament el campanell?

Spanteghen per i strad una sommetta
     Per sentinn d’ogni sort da quest e quell,
     Süden, slisen sul cu pagn e bolletta
     E di voeult riscien de lassagh la pell.

E che figura infin! Dal mezz in giò
     Col sgambettà paren molletta in truscia....
     Molletta, sì, vorressev di de no?

Dal mezz in su paren gobitt dannaa
     Che tacchen lid, oppur gent che se scruscia
     Per fa comodamene quell che va faa.

Aprile 1893. [p. 270 modifica]

Pare che la notorietà della frase debba attribuirsi al compianto pubblicista Romeo Carugati il quale in uno dei suoi spigliati articoli pieni di umorismo, pubblicati con la firma Barbagelada, nella Bicicletta (giornale milanese di sport che ebbe una larghissima diffusione) avrebbe, in un numero della prima annata, usato la frase arrotini impazziti per reminiscenza del sonetto del Verga ma attribuendola, non so se per errore o per scherzo, al Carducci. Qualcosa di simile fu detto anche in Francia. Il 17 febbraio 1869, nei primordi del ciclismo, il Gaulois sentenziava: Les vélocipedistes sont des imbéciles à roulettes. Un abbonato mandò questo biglietto: «Signor Redattore, io sono velocipedista: devo considerarmi come un imbecille?» E la redazione rispose; « Signore, voi non siete un imbecille, perchè siete abbonato al Gaulois; ma tale che fa opera sensata quando va a piedi o in carrozza, fa opera da imbecille quando va in velocipede».

  1. 816.   Un uomo capace al suo giusto posto (cioè al posto che gli conviene).
  2. 817.   Gli artefici trattano delle cose dell’arte loro.
  3. 819.   O troppo fortunati agricoltori se conoscessero la loro felicità!
  4. 820.   Beato colui che, lontano dagli affari, come facevano gli antichi mortali, coltiva i campi paterni con i propri buoi, libero da ogni debito.
  5. 821.   Navigare è necessità, vivere non è necessità.
  6. 822.   La civetta era figlia di un fornaio.
  7. 824.   cedano le armi davanti alla toga e gli allori alla lingua.
  8. 825.   Avvocato e non ladro.
  9. 827.   Quando una civiltà è marcia, ci si mette l’avvocato.
  10. 829.   Il gazzettiere è un uomo che ha mancato la sua carriera (cioè uno spostato).