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266 | Chi l’ha detto? | [826-828] |
Infatti una pseudo-sequenza di S. Ivone (morto nel 1303, canonizzato nel 1347, e celeste patrono degli avvocati) così dice:
Sanctus Yvo erat Brito:
Advocatus et non latro,
Res miranda populo.
Questi tre soli versi registra anche l’ab. Ulisse Chevalier nel Repertorium hymnologicum, tom. II (Louvain, 1897), pag. 552, num. 18,665, ed egli pure non ne conosce di più: ma il Blume nel Repertorium repertorii, Kritischer Wegweiser durch U. Chevalier’s Repertorium Hymnologicum (Leipzig, 1901), a pag. 50 e 283, nota che probabilmente si tratta non di una vera sequenza liturgica ma di tre versi satirici, diretti forse non contro gli avvocati, ma contro i Bretoni il cui nome spesso era assunto nei testi medievali, come conferma anche il Ducange, quale sinonimo di grassatori e predoni.
I moderni rincararono la dose, e mentre il Giusti beffeggia l’avvocato novellino, facendogli cantare dai compagni di università:
826.
Tibi quoque, tibi quoque
È concessa facoltà
Di potere in jure utroque
Gingillar l’umanità.
uno tra i più fecondi e più fortunati commediografi francesi, in una commedia celebre, di cui il protagonista il cui nome dà il titolo alla produzione e che è rimasto appunto come tipo dell’avvocato intrigante, fa esclamare al suo povero Principe di Monaco:
827. Quand une civilisation est vermoulue, l’avocat s’y met.1
Dei medici condotti, Arnaldo Fusinato in una notissima poesia, intitolata Il medico-condotto, dice in ritornello che
828. Arte più misera, arte più rotta
Non c’è del medico che va in condotta.
- ↑ 827. Quando una civiltà è marcia, ci si mette l’avvocato.