X

../IX ../XI IncludiIntestazione 23 marzo 2021 75% Da definire

IX XI

[p. 112 modifica]

X.

Cesare aveva fatto di molta strada.

Appena solo s’era risovvenuto del convegno fissato colla filatrice, come ci si ricorda di un’azione colpevole che ci rimuove la coscienza. Nessun pensiero di mancar di fede alla sua fidanzata macchiava il suo cuore ch’era leale e nobile, ma, per sua disgrazia, anche sensibile e impressionabile come quello d’un fanciullo.

I suoi sentimenti, erano sempre veri, sinceri; ma era tanto facile che cedessero il posto ad altri sentimenti, suscitati da altre imagini purchè queste fossero accompagnate da circostanze assai straordinarie e potenti per colpire vivamente le fibre [p. 113 modifica]mobilissime del suo cervello e mettere in sussulto il suo cuore.

Era buono in fondo, e l’idea che altri soffrissero per colpa sua, sotto ai suoi occhi, gli riesciva intollerabile. Naturalmente, se non le vedeva, codeste sofferenze, o se era distratto da sensazioni più vive, poteva dimenticarsene.

Ora, la posizione di quella povera ragazza, alla quale non aveva quasi mai pensato da cinque o sei anni, era venuta improvvisamente a pesargli sulla coscienza come cosa nuova.

Voleva provvedere al suo, avvenire e all’avvenire di sua figlia, quella bella bimba che avrebbe amata tanto, se avesse potuto tenerla presso di sè.

Era proprio sua quella creaturina! Dio! gli pareva come un sogno!

Già era stato un sogno davvero, o poco più.

Anche a voler essere molto rigoroso non si poteva fargli una gran colpa di questo fallo.

Era successo quando lui non aveva che diciassett’anni.

Erano due ragazzi che facevano il chiasso per boschi e prati: erano innocenti e puri.

Una sera, tornando da un villaggio un po’ più lontano, erano stati sorpresi dalla notte. [p. 114 modifica]

Spossati dalla fatica della strada si sedettero un po’ in riva ul mare presso a una macchia, per riposarsi e ripigliar lena.

Ma erano tutti e due in quell’età che il sonno scende improvviso e irresistibile dopo una giornata calda e faticosa. S’abbandonarono sull’erba e s’addormentarono.

S’addormentarono così, l’uno vicino all’altra perchè si volevano bene.

Spirava un vento tepido. Dal bosco fiorito veniva un profumo soave che s’univa a quello acre del mare e sferzava il sangue nelle loro giovani vene.

Cesare sentiva l’alito caldo della sua compagna addormentata, accarezzargli il viso, il collo, i capelli.

Era un’attrazione magnetica, irresistibile.

Senza volere, senza sapere, egli la strinse fra le sue braccia...


Quando si svegliarono, erano tutti e due mesti e confusi. Fecero la strada in silenzio.

Eppure avrebbero avute tante cose a dirsi! Ma non osavano. Si sentivano mutati.

L’oscurità della notte pareva discesa nei loro cuori.

Quella fu l’ultima passeggiata che fecero, l’ultimo giorno che passarono assieme. [p. 115 modifica]

La povera fanciulla non seguì più il suo giovane amico per boschi e prati.

Furono crudelmente divisi.

Poveri fiori sbocciati troppo presto! Povere creature umane sbattute dal turbine della passione prima d’imparare a combatterla.

Andavano avanti a passi lenti, quasi a ritroso; parevano Adamo ed Eva scacciati dal paradiso.

Prima di entrare nel cortile, vasto e popolato, che, oltre la casa di padronato dei Conti di ***, o il castello, come lo chiamavano tutti, conteneva una quantità di case coloniche e granai, stalle, fenili, Cesare avrebbe pur voluto dir qualche cosa alla povera ragazza che camminava al suo fianco e non osava guardarlo; ma le parole erano ribelli al suo desiderio. Però s’accontentò di prenderle una mano e gliela strinse con forza.

Teresina chinò la fronte sulla sua spalla, e lui sentì che piangeva. Allora gli tornò il coraggio. La strinse ancora una volta contro il suo petto, e la baciò in viso, sussurandole alcune parole d’amore.

Ma già giungevano fino a loro le voci delle persone che andavano e venivano dentro il cortile, già il guardiano si disponeva a chiudere il cancello.

S’affrettarono a entrare per non dar sospetto, e si dissero addio, o meglio a rivederci. [p. 116 modifica]

Il giorno dopo la ragazza era partita.

Nessuno parlava più di lei; nessuno rispondeva alle ricerche ch’egli ne faceva.

Passarono dei mesi. Lui fu mandato all’università, e conobbe tutte le distrazioni della vita, e le amò.

Un giorno però, più di un anno dopo quella sera fatale, essendo a casa in vacanza egli ricevè da un suo fattore che attendeva a un gruppo di poderi un po’ appartati dal centro delle sue vaste possessioni, quella tal lettera che Emilia doveva trovare più tardi.

A primo antro non capì; ma poi ne domandò spiegazione alla mamma, che fu irritatissima di questa alzata d’ingegno del signor fattore, e diede una buona lavata di capo al figliuolo. Ahimè! non ce n’era un gran bisogno. Cesare aveva già una discreta voglia di dimenticare ogni cosa per divertirsi e far la corte a tante belle signore della capitale austriaca.

E dimenticò così bene, anche con l’aiuto degli anni e del nuovo amore per la bella cugina che quando incontrò Teresa sull’orlo del bosco, la domenica dì Pentecoste, penò qualche momento prima di riconoscerla. Anzi, se il contegno della ragazza [p. 117 modifica]non l’avesse fatto pensare, forse non l’avrebbe riconosciuta affatto.

Ora però, incamminandosi verso il bosco per andare a parlare con lei da solo a sola, dopo tanto tempo, tutte le dolci immagini di quell’amore giovanile gli tornavano alla memoria. Il crepuscolo si rivelava al mezzogiorno: le voluttà misteriose dell’adolescenza inebbriavano col loro profumo il sangue già caldo assai del giovane maturo e consapevole.

Man mano che s’avvicinava al luogo fissato, Cesare vedeva il passato porgergli dinanzi come un fantasma.

Egli stesso lo andava ricostruendo, quasi suo malgrado. Fatale ricostruzione piena di pericoli e di fascino.

Dove erano rimaste fino a quel momento tutte quelle immagini? In che antri si erano nascoste quelle memorie? Per qual miracolo ritornavano a galla dopo una lunga dimenticanza, simili a que’ germi sepolti in un terreno poco propizio, che restano anni senza dar segno di vita, fino che un raggio di sole fortuito o una goccia di rugiada inaspettata vengono a trarli dal loro nulla perchè germoglino rigogliosi? [p. 118 modifica]

Cesare però avrebbe voluto combatterle quelle memorie fatali. La sua ragione s’affaticava per imprimere un’altra direzione al corso de’ suoi pensieri appassionati.

Teresina lo aveva amato, è vero; ma dopo tutto era una povera figliuola, una campagnuola: non poteva mica sposarla.

— Maritala a un tuo fattore! gli sussurrava la voce fredda della ragione.

Perchè no?

I Conti di *** avevano tante fattorie lontane....

Ma questi pensieri erano appena formati che già il cuore li rigettava.

Quelle memorie uscite appena dal nulla, quelle dolci immagini rinate testè, si ribellavano superbamente ai consigli della ragione.

Già, la ragione non era forse la più vana di tutte le cose nella sua vita? A che gli serviva, Dio buono?

A rischiarare di tetra luce l’abisso dove anche lui come tutte le creature appassionate si getterebbe con tanto maggior ardore, e sul cui orlo solo le impotenti ristanno a malincuore.

Intanto, fantasticando e sognando era arrivato ail ritrovo [p. 119 modifica]

Una figura leggera come un’ombra si staccò dal folto degli alberi e gli venne incontro.

— Non ho osato mancare alla mia promessa, disse con voce fioca: sono venuta, ma domani partirò: ho già trovato un pretesto; non voglio che la mia presenza le faccia danno.

— Perchè vuoi partire? E dove vuoi andare?

— A casa mia, e non vaglio tornar mai più in questi paesi.

— Povera Teresa, pensi che ci hai sofferto abbastanza, eh, in questi paesi!

— Tutti soffrono! disse la ragazza con rassegnazione.

— Ma non tutti egualmente. Senti, Teresa, vieni qui vicino a me, e ascoltami attentamente, io voglio che tu sii felice...

— Tu vuoi?!... Perdoni signor conte, non ci può più essere felicità per me.

Cesare sentì quel «tu» in fondo al cuore; rimase un momento senza poter parlare. Infine prese una risoluzione e disse rapidamente come se avesse voluto non fermarsi un momento sul senso delle sue parole:

— Voglio assicurare il tuo avvenire; ti farò una buona dote e ti troverò marito. [p. 120 modifica]

— Uno che accetterà questa vergogna perchè gli sarà pagata bene! lo interruppe la povera ragazza con amarezza. Lo so che non conto per nulla al mondo, che la mia vita non ha nessuna importanza; ma un marito che mi sposi per i denari e poi mi rinfacci tutti i giorni quello che ho fatto, e se occorre so la rifaccia con quella povera piccina, non lo prenderò mai: no, mai.

Cesare guardava in quel momento la filatrice, non l’aveva mai veduta così, quasi quasi non l’avrebbe riconosciuta: la solita timidezza era sparita: il suo cuore si rivelava quale Dio l’aveva creato, nobile e fiero sotto ai suoi poveri abiti.

Il suo viso abbronzato aveva l’abbagliante pallore del marmo antico: i suoi occhi neri sfavillavano: dal suo corpicino, leggero come una foglia, flessibile come un giunco, nascosto nella veste ordinaria che la saliva fino al collo, non lasciando di scoperto che due piccole mani brune e due piedini scalzi, spirava un incanto soave, una voluttà mesta, un fascino che veniva dal cuore e andava diretto al cuore.

— Domani partirò, disse con voce ferma: non turberò più la sua felicità: la mia Angelina non rivedrà più suo padre!... [p. 121 modifica]

Ma a queste parole la mamma s’intenerì in lei malgrado la fierezza della donna; e le lagrime, trattenute a stento, le irrigarono il viso.

In quel momento uno stormir di foglie fece voltare il capo a Cesare: ma il silenzio che seguì subito e la sua propria agitazione non gli permisero di riflettere su quel rumore passeggero.

Era Emilia. Giunta per una scorciatoia al posto che le indicava la lettera anonima, e oramai quasi convinta della sua disgrazia.

Teresa continuava a piangere, e Cesare la guardava col cuore commosso. Il foco serpeggiava nelle sue vene.

Quella là davanti a lui era la donna che aveva colorati i suoi primi sogni giovanili, dato forma ai desideri ancora confusi dei sensi, fatto battere il suo cuore la prima volta; e che poi aveva dimenticata così facilmente.

Ma lei non l’aveva dimenticato, lei lo amava sempre, come lo aveva amato allora: forse di più.

Glielo dicevano i suoi occhi, le sue lagrime, il suono della sua voce.

Più la guardava, e più si sentiva attirato verso di lei, commosso. Non era l’amore entusiasta che lo inebbriava vicino a Emilia: era piuttosto un senso di [p. 122 modifica]tenerezza e di pietà soavissima e voluttuosa che soggiogava a poco a poco tutte le sue forze.

— Addio, disse la Teresina asciugandosi le lagrime: addio, non ci vedremo più.

A queste parole Cesare che s’era seduto sulla panchina balzò in piedi: s’avvicinò a lei che aveva già fatto due passi per allontanarsi, l’arrestò prendendola per la mano e stringendola con forza — come quella sera prima di dirle addio.

E come quella sera ella chinò la fronte sulla sua spalla.

— Teresina, mormorò il giovane, ti ho voluto bene, sai, tanto, tanto: lo sento ora quanto te n’ho voluto del bene!

— Ti ricordi, riprese dopo un momento di silenzio, accarezzandole il viso, ti ricordi le nostre passeggiate; le belle escursioni mattutine? Io m’alzavo prima dell’alba e venivo a fischiare sotto la tua finestra.

— Sì, ma io ero sempre alzata da più di un’ora e spiavo nell’ombra la strada per dove dovevi venire! Oh, non dormivo, sai, quello notti! Il sonno non voleva venire, per quanto mi rivoltassi sul capezzale: pensavo sempre al piacere di correre con te per la campagna, di tuffarmi nell’acqua, di [p. 123 modifica]veder levare il sole coneoa te.... E poi, avevo paura di far tardi o di non sentirti, e saltavo giù dal letto a ogni quarto d’ora.

-— E come si faceva la strada allegramente, cantando e correndo. Ti ricordi? Quando le acacie erano fiorite, tu coglievi una grembiulata di que’ bei fiori bianchi, io empivo il mio cappello, e si faceva a gettarceli addosso a manate,...

— Sì, e questo tu dicevi ch’era fare il corso, ~ come i signori a Trieste e a Milano, gli ultimi giorni di carnevale, e io ero tutta felice di fare quello che facevano i signori....

— Il più bel momento però era dopo la pesca, quando il canestrino era pieno di telline e di chiocciole, e ci si sedeva sull’erba per far colezione....

Discorrendo così, Cesare l’aveva menata a poco a poco fin sotto la quercia e l’aveva fatta sedere al suo fianco sulla panchina.

Quasi senza avvedersene aveva passato un braccio attorno alle sue spalle, mentre colla mano libera continuava accarezzarle il viso e i capelli.

Era veramente bella la filatrice in quel momento d’espansione, cogli occhi umidi di lagrime e di voluttà. E Cesare pure era bello; e i loro cuori battevano insieme, e parlavano d’amore come una volta, [p. 124 modifica]meglio di una volta. O che c’era di mutato dunque fra loro?...

— E le visite al romitorio, e le allegre salite fin sulla cima del monte, ti ricordi? ricominciò Cesare.

— Fin nella chiesa della Madonna, hai a dire, per inginocchiarci sul banco degli sposi! Oh che bei tempi eran quelli!

— Bei tempi, sì! non li ho mai dimenticati. La vita, le circostanze mi hanno fatto provare altri affetti; ma la felicità di quegli anni è rimasta sempre la più intensa.

— Sì, ma poi, per me, quanti dolori! Ah, se tu sapessi quanto ho sofferto, Cesare, mentre tu ti divertivi!

— Povera Teresina! Così dicendole sfiorò i suoi capelli con le labbra, poi la baciò in fronte, e poi sulla bocca.

Lei non si moveva: riviveva nel passato; non pensava a nulla.

— E quella sera, Teresina, ti ricordi di quella sera? domandò lui improvvisamente abbassando la voce.

— Se mi ricordo! Ero tanto stanca, s’era corso tutto il giorno! Voleva riposarmi un poco, con te [p. 125 modifica]sull’erba; ma tu, invece di parlare come di solita mrguardavi in una maniera nuova che mi dava il giracapo. Mi sentivo un gran peso sulle palpebre: una gran voglia di dormire. Appena chiusi gli occhi cominciai a sognare. Sognavo che s’era in chiesa, là alla Madonna del Monto, inginocchiati sul banco degli sposi. Ma non era un gioco de’ soliti, si faceva davvero! Il prete ci benediceva... tu m’infilavi l’anello.. ero la tua sposa!... tua!... Fuori sul sagrato, c’era Nanni col violino, e il zoppo col contrabasso, e Piero il caporale col clarinetto; e suonavano un valzer bello bello, proprio di nozze... il violino poi aveva una voce così dolce, come non gliel’ho mai sentita a cavare a Nanni. Appena fuori di chiesa si cominciava a ballare sull’erba. Io ballavo con te, sempre con te: era la tua sposa!... Ma a poco a poco non so come, si cambiò la scena... s’era in una bella casa, tutta dorature: per tutto fiori e lumi. Ma le amiche mi menavano in una camera tappezzata di celeste con, una lampada bianca che pareva il chiaro di luna, mi levavano il velo, i fiori, il vestito... e mi lasciavano sola.. tu venivi allora e mi dicevi ch’ero tua... tua per sempre... e io ero tanto felice... tanto!... Ma poi mi svegliai......

— E eri sempre mia! esclamò Cesare fuori di sè, e lo sarai sempre e non ti lascerò mai!.... [p. 126 modifica]

Il passato era tornato presente: il sogno era realtà, un’altra volta.

Teresina non parlava più, nè Cesare.

Non si sentivano che i sospiri affannosi di due petti anelanti. Lui la teneva stretta stretta con tutte e due le braccia e le baciava il collo, le guancie, la bocca...

I sei anni che li separavano da quella sera fatale, si erano dileguati: un soffio era bastato a scacciarli come una nuvola leggera: il soffio ardente della passione.

Ma un urlo improvviso e furibondo turbò il silenzio del bosco: un urlo straziante, desolato vi rispose.

Una diecina di fiaccole illuminarono la campagna intorno ai due giovani: il signor Luigi e il signor Arturo e i contadini inebetiti colle fiaccole in mano, ridevano sghangheratamente.

La filatrice era sorpresa fra le braccia del suo amante: gliel’avevano fatta bella; se ne vantavano. Que’ contadini se la godevano. Quanto al signor Cesare era un traditore, un mancator di parola indegno di sposarsi mai più colla pupilla del signor Luigi. Il signor Luigi poi non aveva la lingua legata e non si fece pregare a dirglielo. [p. 127 modifica]

Ma Cesare fu grande in quel momento, ovvero si lasciò trascinare compiutamente dalla corrente che già lo portava via: e non vide altro che lo sfregio fatto alla donna che s’era data a lui per amore senza la garanzia della legge: alla mamma della sua figliuoletta, che si stringeva a lui e gli chiedeva di proteggerla, di salvarla.

Si drizzò imponente e guardando con disprezzo quelle faccie volgari:

— Questa è mia moglie! — disse: la contessa di ***. Inchinatevi!

I contadini s’inchinarono fino a terra, lasciando cader le fiaccole.

Il signor Luigi non domandava di meglio: aveva ottenuto il suo intento.