IX

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VIII X

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IX.

Era già notte da un pezzo, allorchè Cesare si congedò dal signor Luigi, e giurò a sua cugina che il dimani sarebbe venuto più presto.

— Accompagnami fino al cancello, disse.

— Sì, certo; rispose Emilia: vai a piedi?

— Sicuro. C’è la luna e ho il mio fucile. Ma non aver paura, il fattore m’aspetta colla sua carretta alla casa del cipresso, ch’è a due passi dal muro di cinta, lo sai.

Erano giunti al cancello.

— Ancora un bacio, amor mio, disse il giovane. Come sarà bello il giorno che non ci diremo più addio la sera!

Emilia arrossì fra le tenebre e scappò via. [p. 107 modifica]

Un momento dopo era nella sua camera.

Dopo un giorno felice, il primo bisogno che provava era di chiudersi in sè stessa, e riandare con la memoria i punti più salienti della giornata e godere ancora un po’ di quella felicità nell’anima sua.

Non un dubbio turbava la serena contentezza di quel momento. Non avrebbe voluto per nulla al mondo incontrare il viso satirico del vecchio tutore, nè il sorriso ipocrita del signor Arturo. Già, li fuggiva sempre più che poteva.

Arrivata nella sua camera chiuse l’uscio e corse al ritratto di Cesare che aveva appeso al muro sopra il cassettone.

Lo aveva lasciato in quel momento e voleva vederlo ancora!

Stette un po’ a guardarlo, gli sorrise, lo baciò e lo rimesse al suo posto.

Poi s’avvicinò al pianoforte: cercò alcuni accordi, suonò un brano d’aria; ma se ne allontanò presto con impazienza. Aveva in cuore una melodia divina che la sua mano non sapeva esprimere; e quel po’ che poteva fare era così inferiore al suo, sentimento, da sembrarle una profanazione.

Avrebbe voluto possedere la parte tecnica [p. 108 modifica]dell’arte, quanto al genio di improvvisare in quel momento era certa di possederlo. Pensava che forse non c’era nessuno che in dati momenti della vita non abbia sentito un bisogno prepotente d’essere un grande artista, o un grande poeta: anzi il poeta e l’artista, grandi come forse nessuno è mai stato al mondo, le pareva dovessero esistere realmente dentro di noi in momenti simili, e che facessero sforzi giganti per svincolarsi e espandersi; ma in generale non trovavano l’uscita, perchè mancavano gli organi, o non erano abbastanza perfetti. Allora pensava che il povero genio imprigionato piangesse attraverso i nostri occhi mortali per sollevare così il suo dolore, o si riaddormentasse per sempre. Qualcuno tra i più fortunati riesciva qualche volta a metter fuori uno de’ suoi pensieri, una sola di quelle immagini, e creava, senza saperlo, una meraviglia.

Ma lei non era di queste creature privilegiate; nei momenti supremi piangeva, e nient’altro.

Finalmente s’avvicinò alla scrivania per leggere qualche cosa, prima di andare a letto.

Ma che voleva dire quella lettera piegata in triangolo, insidiosamente discreta, bugiardamente candida, che spiccava sul panno verde della scrivania, come una lapide sull’erba del cimitero? [p. 109 modifica]

Era veramente una lettera?

E da dove veniva?

Lei non osava toccarla; aveva un cattivo presentimento, le pareva che quelle tre punte divenissero acute come pugnali e le trafiggessero il petto.

Quest’esitazione però non durò che un momento. Di che doveva temere?

Prese il foglio e lo aprì: era un biglietto e conteneva queste parole:


«Signorina!

«Il vostro fidanzato vi tradisce. A quest’ora è nel bosco con un’altra donna: una donna che ha amato prima di voi e che lo ha reso padre. Andate cautamente fino alla grande quercia sull’orlo del bosco e vedrete. Un vostro fedel

Servitore ed
amico



— Vile! calunniatore! bugiardo! — gridò strappando il foglio dopo il primo momento di sorpresa.

— Vile! che non osa sostenere l’accusa col nome!

— Il mio Cesare è incapace di tradirmi! [p. 110 modifica]

Ma chi sghignazzava sotto le suo finestre? Chi rispondeva deridendola a quella sua convinzione amorosa?

Sotto la finestra non c’era nessuno. Eppure avrebbe giurato che qualcheduno l’aveva derisa.

Ma l’aver strappato il foglio, non voleva dire averlo dimenticato.

Pur troppo le era rimasto impresso.

Una donna che lo aveva reso padre! A chi poteva alludere il foglio?

Una luce improvvisa balenò nella sua mente: una luce che la fece vacillale nella sua fede.

Mille circostanze fortuite alle quali non s’era mai arrestata, le si riaffacciarono tutte a un tratto, rischiarandosi a vicenda.

Quella lettera così strana scritta di mano del fattore, che le aveva messo come un monte di ghiaccio sul cuore il giorno in cui visitò la camera di suo cugino: quella donna che aveva veduta piangere la notte quando era arrivata la falsa nuova della morte, per cui lei pure aveva pianto tanto: i sogghigni del signor Luigi davanti alle premure affettuose di Cesare; sorrisi che poco prima avrebbe giurato di non aver veduti, ma che ora si ricordava: la tristezza di Teresina, la sua insistenza [p. 111 modifica]a non lasciarle più l’Angiolina come una volta: l’inquietudine che aveva notato sul viso di Cesare quella domenica sul sagrato della chiesa... Dio! quanti indizi!

E che dubbio orrendo.

La donna ch’egli aveva amata e che lo aveva reso padre come diceva la lettera, se la lettera non mentiva, doveva essere la Teresina, e la sua figliuola quella bimba cui ella aveva fatte tante carezze!

Oh le vipere velenose della gelosia come le mordevano il cuore! Oh il dubbio, come avvelenava la sua anima!

Tutto era finito: tutto era distrutto.

No. Per disperare assolutamente bisognava vedere coi propri occhi.

E s’era vero, se Cesare l’aveva tradita, oh allora....

Emilia non completò il suo pensiero.

Vinta, prostrata dall’angoscia che la torturava, non pensò che a gettarsi addosso uno scialle scuro per non esser veduta tra l’ombra, e uscì di casa.

Non incontrò nessuno per le scale, trovò l’uscio di casa aperto, e anche il cancello: tutte circostanze che l’avrebbero meravigliata se ci avesse posto niente; ma la sua agitazione era così grande che non poteva osservare altra cosa.

Passò come un’ombra e s’avviò verso il bosco.