Cenni biografici e ritratti d'insigni donne bolognesi/Bitisia Gozzadini

Bitisia Gozzadini

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Properzia De' Rossi
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BITISIA GOZZADINI

Le donne antiche hanno mirabil cose
Fatto nell'arme e nelle sacre Muse ;
E di lor opre belle e gloriose
Gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Arpalice e Camilla son famose
Perchè in battaglia erano esperte ed use :
Saffo e Corinna , perchè furon dotte ,
Splendono illustri , e mai non veggon notte.


ARIOSTO.


Lode alla Provvidenza! che per le bisogne che danno vita e moto alla società , tanto fra esse svariate quanto egualmente interessanti, sì saggiamente distribuì i doveri a seconda del vigore e del sentire dell'uno e l'altro sesso: assegnando al robusto e forte le sorti della patria, le gravi cure, lo investigare delle profonde scienze, e il commercio; mentre alla sensibilità dell'altro commise lo coltivarsi il cuore del consorte, acciò temperandone all'uopo lo ardore non degenerasse in fierezza; e spiegando quell'amore, di cui questo formasi un culto, da cui ha vita, alle generose azioni il primo incoraggiasse. Lode alla Provvidenza! di quanto all'amorevole dolcezza del secondo [p. 14 modifica]affidò ben formare il cuore e la mente della loro prole, affinchè onorino la religione, la virtù, il sovrano, la patria. Lode infine alla Provvidenza! che quella ritiratezza consigliatale dal pudore e richiesta dalla delicata lor fibbra volle utile alla pace e regola della famiglia, onde il capo sendo pago di essa e amandola, sia migliore uomo, miglior guerriero, miglior suddito.

Che fatta con incarichi tanto sacri cooperatrice la donna di ogni bene sociale, riesce pel uomo quell'essere interessante ch'egli deliziasi avere a compagna ; di cotale importanza riconoscendo il di lei ufficio per il vantaggio comune, che, quasi temendo da esso si scosti, ben raramente la consiglia corredarsi di estese cognizioni. Pure, onde talvolta mostrarle quanto si riprometta dallo ingegno compartitole da natura, tratto tratto alcuna di esse impegna seguirlo negli ardui studi, nei quali a onorevole meta scorgendola, spoglio allora dell'universale egoismo, che purtroppo rende l'uomo all'uomo d'inciampo in ogni avanzamento, in ogni bene, spontaneo egli cinge a questa il capo del poetico alloro, e cuopre gli omeri della toga dottorale.

Diffatti immenso si è il novero delle saggie spose, delle indefesse madri che da ogni storia sacra e profana, colme di lodi vengono tramandate alla posterità; perchè fino dalla culla furono a ciò destinate. Moltissime in ogni età, in ogni terra sorsero Sovrane onor del proprio, stupor dell'altro sesso, dando stabile ingrandimento ai lori regni, recando a questi come saggie legislatrici utile, decoro e pace; perchè o la culla, o il talamo dandole diritto al Trono ebbero insegnamenti per degnamente occuparlo. Varie furono le seguaci dell'emula di Pindaro, perché i primi slanci dell'estro poetico, non abbisognano di pellegrine e [p. 15 modifica]profonde erudizioni. Non poche si dettero con molto successo alle arti d’Apelle e di Fidia, come Sofonisba, Tentoretta, Lavinia, Elisabetta Sirani, e Properzia de’ Rossi. Poche fiate però videsi rinovellato il valore di Pentasilea, e Baodicea perchè quasi mai sono alle armi addestrate le giovanette: e del pari raramente le storiche pagine fanno menzione di dotte e di scienziate insigni; perchè abbisognando anco gl’ingegni più felici di darsi a profondi studi per degnamente conseguire una laurea, e venendo in ciascun tempo, e ciascun luogo da ciò allontanate le donzelle, per non disamorarle da quanto deve renderie degne madri di famiglia; ben poche furono e sono alle scienze prescielte. La sorte però volle accordare tal vanto a Bitisia Gozzadini della quale imprendo raccorne ie memorie.

Nacque questa illustre Donna in Bologna nell’anno 1209 da Amadori Gozzadini e Adelasia de’ Pegolotti. Questa stirpe vantava già la più antica e splendida nobiltà, resa più famosa nel quattordicesimo secolo da quel Nanne che ogni Bolognese conosce e ammira: e mantenuta nello antico splendore dalle virtù, che, quasi in essa avessero sede, successivamente si comunicarono a’ suoi discendenti.

Bitisia manifestò sino dagl’infantili suoi anni perspicacia somma, e immenso amore per lo studio; ciò che le rese intollerabile ogni occupazione femminile, a cui volevano applicarla nella scuola ov’era affidata: e scorgendo ella quanto, anzichè sagace, possano rendere vana la donna le instruzioni troppo superficiali con che ivi lo spirito delle condiscepole sue inorpellavano, volle ingemmare il proprio di quelle cognizioni che ai sani raziocinj lo portano. Per cui volgendo in sua mente non comune intrapresa si fe’ concedere da’ genitori suoi d’applicarsi interamente alle scienze, e disegnando ergere alta mole, divisò premunirla [p. 16 modifica] di sode fondamenta, forti procacciandosele coll'approfondire nella lingua latina, non meno che nella greca, onde cercarvi quei lumi che i dotti traggono da quest'idiomi.

Allora imitando le greche Donzelle, Assiotea e Lastemia, che per penetrare nell'ombrosa accademia ad intendere le lezioni di Platone, di cui si erano fatte discepole, vestirono virili spoglie, Ella del pari, eletti a suoi maestri i più accreditati filosofi di quel tempo, a loro insegnamenti, attese con ansia; e forse si fu per seguirli con più facilità anco nelle pubbliche scuole che vestì da uomo sino al termine dell'adolescenza sua. Tant'assiduità portò questa Donzella ad un grado di dottrina che formava l'ammirazione di quanti la conoscevano, la compiacenza de' severi suoi maestri di Filosofia, che chiamavanla portentosa, e in Lei accresceva il desiderio d'applicarsi allo studio delle leggi: nè guari si ristette dal darsi all'apprendimento del diritto sotto gli ammaestramenti di due celeberrimi Giureconsulti che decoravano allora le scuole di Bologna. L'uno era questi Giacomo Baldavino, quale dopo aver coperta con onore la carica di Pretore in Genova, con pari successo lesse nel Ginnasio della dotta Città, lasciando a viva memoria di lui molte sue opere. L'altro Tancredi Arcidiacono, al cui merito il Pontefice Onorio III, elevato dal molto suo ingegno alla Cattedra di Pietro, volle affidato nel 1220 con onorevolissima lettera il riordinamento dell'Ateneo Bolognese che allora contava sino a dieci mila scolari, e che a questo Gerarca tanto stavagli a cuore: concedendo di più al probo Tancredi ampie facoltà per raffrenare gli abusi, che a detrimento degli uomini di merito, e dei giovani studiosi vi si erano introdotti. Nè in minor stima si ebbe il dotto Arcidiacono dal S. Padre Gregorio IX. quale, tuttochè agitato fosse il suo regno da [p. 17 modifica] immense controversie mossegli da Federico II. non trascurò la causa dei Santi, e volendo con S. Vigilio e S. Francesco d’Assisi canonizzare anche il Patriarca Domenico Guzmano, al Tancredi in unione di altri uomini di santa “vita, con apostolica autorità, ordinò raccorne le gloriose gesta.” Inoltre restanci ad eternare la memoria di questo Giureconsulto i suoi commentarj tutt’ora in grande stima tenuti. Eppure, ingegni cotali ebbero a stupire dell’ingegno di Bitisia, chiamandola per antonomasia, mostro mirabile della scuola Bolognese.

E siccome al pari di questi fissò Ella pure l’attenzione del famoso giurista e scrittore Odofredo il giovane, quale rimarcando quanto la nobile giovanetta, nel rispondere e ragionare coi maestri, vi si scorgesse sciente in ambo i diritti, eloquente nello esporre, di bella voce e di bei modi nel porgere, la confortò a conseguire la laurea dottorale. Cosicchè dopo che con indefesso studio fu giunta a primeggiare su tutti i suoi colleghi, ella riportò il vajo de’ dottori, e ne fu ornata ad unanimi voti de’ Padri Togati che unitamente a tutti li dotti accorsi a tale funzione, nobiltà e popolo pur radunato, fecero plauso al di Lei merito, non meno che al Tancredi che le cinse la corona in ambo i diritti.

Scorreva il secondo anno dacchè la nostra Dottoressa con tanta pompa aveva ricevuto la laurea, come irrefragabile testimonianza dell’alta stima che ognuno faceva de’ suoi talenti, e quantunque non godesse in questo tempo la più perfetta salute, pure non seppe rinunziare alle predilette sue occupazioni, e in propria casa insegnava il diritto a più di trenta scolari con eloquenza singolare. Che siccome quanto più è ben disposto un rosajo, tanto più riesce facile raccorne il fiore senza restare offeso dal temuto [p. 18 modifica] spino; così appunto tanto erano ben disposte, e ben impresse le erudizioni nella mente della rara donna, che, formando retti giudizi, con imparziali sentenze addimostrava i mezzi sicuri per appianare le difficoltà più astruse, e con chiarezza sciogliendo le tesi sgombrava il cammino allo studioso di que’ triboli in ogni carriera di tanto inciampo.

Il che in tal modo ingiganti sua fama, che a richiesta dei discepoli, dei dottori, dei riformatori, dei moderatori della repubblica e del Senato, le fu dal Vescovo Enrico Dalla Fratta, che era dottore in ambe le leggi, assegnata cattedra fra i lettori del pubblico studio di Bologna: perchè in aula più vasta potessero in maggior numero di uditori attignere a sì chiara e si profonda sorgente di sapere.

Ricusò dessa sulle prime un tale incarico per modestia, dono quasi mai disgiunto dal vero sapere: riflettendo poscia all’obbligo che riconosce avere ogni vivente, di far parte al suo simile dei doni largitigli dal cielo, e sapendo che il vantaggio maggiore da procurarsi all’uomo è il fornirlo di que’ lumi, che col retto pensare, e ben ragionare al ritrovamento del vero lo porta, Ella di buon grado assunse questo impegno, e vi attese sino al finire di sua vita.

Nè solo tributo dai dotti giureconsulti dell’età sua, che da ogni banda accorrevano per essere presenti alle di Lei lezioni, si ebbe la Dottoressa, ma per vari secoli passarono i suoi scritti ad essere consultati da ogni giurista, e si consulterebbero forse tutt’ora se i torchi avessero prestato l’ufficio loro qualche tempo innanzi. Scrisse, sulla legge Omnes populi ff. de justitia, et jure, e su quella del Digesto De negotiis gestis, e qualche non antico scrittore accenna queste opere come esistenti ancora, ma fu vana ogni ricerca per rinvenirle.

Era Bitisia ancora nell’oratoria inarrivabile, e di quanto [p. 19 modifica]in cið se ne ripromettesse Bologna diedegliene prova non equivoca quando il 31 Maggio 1242 piangendo la morte di un suo concittadino nel Reverendo Canonico Lateranese Enrico Dalla Fratta, ch’essa aveva onorato come suo Ve scovo, e ardentemente bramando decorarne i funerali con orazione funebre elesse la Gozzadini come Oratrice con degna dello esimio defunto, e fece porgerle preghiera dal Vescovo e dallo Studio acciò si compiacesse esporne i pregi. Vi aderi Ella, e con isquisita facondia tessè dotta orazione nella quale esaltò la integerrima vita dell’ottimo Pastore, il saldo coraggio avuto nel difendere il suo gregge dalla prepotenza straniera, il terrore che seppe incutere nei perversi, quella carità che lo portò a spogliarsi de’ pro pri beni onde soccorrere i miseri rimasti senza tetto per il terribile terremuoto, spavento della notte 25 Decembre 1222, e sussidiarli quando nel 1227 una tremenda carestia mieteva vittime affamate sulle pubbliche vie.

Commendò quindi quella religiosa umiltà che al distin to prelato due anni prima della sua morte aveale fatto rinunciare nelle mani del Pontefice Gregorio IX la dignità di Vescovo per ritirarsi a vita monastica nel Chiostro de’ RR. Canonici Lateranesi che professavano quell’instituto da Lui professato, quando il clero gli affidò la Diocesi per le virtù che già in Lui tralucevano. Poneva fine a quella Orazione, che ogni storico l’accenna di sublime lavoro, commiserando Bologna per la perdita fatta con la morte di Enrico, e in pari tempo esortandola temprare il suo dolore per avere acquistato in cielo, in quello spirito eletto al guiderdone dei giusti, un nuovo e potente proteggitore.

Discordano gli storici nel fissare il Tempio ove la oratrice leggesse sua orazione, notando il Ghirardacci, il Falconi e altri accreditati che „quando furono celebrati i [p. 20 modifica]funerali di Henrico Dalla Fratta questa Signora com parve nel Duomo vestita da vedova e salita su’ tribuna ricoperta a nero vi spiegò le di Lui glorie, mentre l’archivio Lateranese più estesamente trasmise che, per l’esequie di questo ministro di Dio fù nella chiesa di S. Vittore eretta a bella posta una tribuna ammantata di nero per la celebre Dottoressa Gozzadini da dove recito funebre orazione, e che per udirla vi accorse sì gran numero di personaggi distinti, e immensa folla di popolo che quei colli ne furono in modo straordinario ricoperti: riportando la gran Donna l’encomio di tutti.„ La incontrastabile fedeltà adunque dei citati scrittori, e posto in appoggio alle estese nozioni date dall’archivio de’ Canonici Lateranesi, che l’esemplare Religioso morì nel loro chiostro situato sopra collina all’incirca di un miglio fuori di Porta Castiglioni, ove nell’annessa Chiesa riposan tutt’ora le di Lui ceneri; nel confermare sempre più la realtà del fatto porta a dedurre che in S. Vittore fossero celebrate sopra le spoglie del benemerito sontuose esequie decorate da Bitisia con la sua Orazione, e che poi la ripetesse quando il Duomo avrà dedicati onori e suffragi funebri, come si suole, al Soggetto che fu cospicuo per grado e per virtù.

Dotata com’era, questa celeberrima, del più delicato sentire non potea starsi indifferente agli avvenimenti che contribuivano alla gloria della Religione e della Italia; così quando il sommo Gerarca Innocenzo IV. elevò alla porpora ecclesiastici che fra ’ distinti distintissimi erano per meriti, ordinando che onde accrescere lustro alla dignità cardinalizia venisse d’allora innanzi adorna di cappello purpureo, di porpora ornando pure molti apparamenti che a seconda degli usi vennero poi commutati; ella giubilante [p. 21 modifica]glie ne diresse orazione di ringraziamento, e questo prege vole parto del preminente suo ingegno le meritò che il Pontefice comandasse fossegli presentata l’autrice, e quan do dal nipote dello stesso Santo Padre, Ottobano Fieschi, che egli pure portò poi la tiara per un mese; quando dunque venne la Gozzadini ammessa al bacio del piede, riportò elogi, onori, e magnifici doni da quell’Innocenzo tanto diligente per la Chiesa, operoso per le bisogne dello stato, intrepido e risoluto contro le macchinazioni di Federico II, la cui smisurata ambizione oscurò tutte quelle doti naturali e acquistate che lo avrebbero reso il modello de Principi.

Cagione di onore vero al bel suolo che le era stato culla, di stupore in chiunque poteva annoverare i pregi della Italiana Donna, svegliando sempre ne’ concittadini suoi, e negli oltramontani bramosia d’apprendere, sì per chè sprona alla virtù l’omaggio che alla virtù si offre, sì perchè un plauso non prodigato, e non dato a stento dalla sovrana delle scienze riesciva di trionfo; amata da tutti contava dessa il cinquantesimo secondo anno di sua vita quando ai due Novembre 1261 stando a deliziarsi in una sua Villa posta fra la Riccardina e la Mezzolara, fu costretta fuggire notte tempo per iscampare dalla furia delle acque dell’Idice, torrente che ben più d’ora, spes so straripava, e la innondazione, imperversando sempre più, guadagnata avendo la via ch’ella doveva battere, si fe’ dar ricovero in una casa poco distante; ma le fondamenta di essa doverono cedere alla forza di questo elemento, e la Dottoressa vi rimase vittima con quattro scolari, e due donne, ch’erano seco Lei.

Al giungere della infausta nuova in Bologna, si diedero i più manifesti segni di lutto. Al luogo della di Lei [p. 22 modifica] morte, a perenne testimonianza di dolore , gli ſu data la denominazione di Malgrado e conservatagli. Furono tosto chiuse le scuole , che come a' di nostri anche in allora sospendevano in tai giorni il loro corso. Ma suo maggior trionfo si furono le lacrime di tutti coloro che fecero cor teo al feretro. In quel momento , che intorno fredda salma , ogni vivente si fa giusto , severo , e franco giudice di chi più non gli cale adulare per isperanze , nè sfuggire per ti more , di modo leggonsi in quegli aspetti composti a sdegno , o a mestizia quasi in compendio le qualità dello estinto , tanto che se questi mal visse , la commozione che sveglia il lugubre apparato non lo salva dello esclamare del popolo ( mentre invoca pure pace all'anima sua ) oh finì l'ipocrita! l'egoista! Oh dal prepotente ci liberò il Cielo! Viceversa bagnando di lacrime le guancie ov'è di pinto quel sentimento che distingue da' canibali, singhiozzante dice — oh Anima sincera, benefica! ti benedica Iddio — Se fu segno d'invidia — povera vittima! .... Cosi zante dice — appunto, se a quella funebre cerimonia fosse accorso uno straniero, e al gemmato anello, che in segno di magiste ro aveanle posto in dito, all' aurea catena che le scendeva dal collo al petto, e all'abito di scarlatto con cappuccio, adorno di vaio, riconosciuto avesse la spoglia d'insigne Dottoressa, d'Illustre donna, il pianto ed i singulti dei Professori, scolari, magistrati, e capi dei quartieri che contornavano la bara, le avrebbero detto quanto di tutti ella regnasse in cuore, e quanto ad essi riuscisse aspro quel duro caso che gliela rapì anzi tempo. Morì nubile; e soleva dire che amava suo Padre perchè le aveva data la vita e Odofredo ( già innanzi citato ) perchè ammaestrata: des so ne accompagnò il cadavere sino al sepolcro, che le fu dato dopo esequie sontuose nella Chiesa dei RR. PP. Serviti.