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spino; così appunto tanto erano ben disposte, e ben impresse le erudizioni nella mente della rara donna, che, formando retti giudizi, con imparziali sentenze addimostrava i mezzi sicuri per appianare le difficoltà più astruse, e con chiarezza sciogliendo le tesi sgombrava il cammino allo studioso di que’ triboli in ogni carriera di tanto inciampo.

Il che in tal modo ingiganti sua fama, che a richiesta dei discepoli, dei dottori, dei riformatori, dei moderatori della repubblica e del Senato, le fu dal Vescovo Enrico Dalla Fratta, che era dottore in ambe le leggi, assegnata cattedra fra i lettori del pubblico studio di Bologna: perchè in aula più vasta potessero in maggior numero di uditori attignere a sì chiara e si profonda sorgente di sapere.

Ricusò dessa sulle prime un tale incarico per modestia, dono quasi mai disgiunto dal vero sapere: riflettendo poscia all’obbligo che riconosce avere ogni vivente, di far parte al suo simile dei doni largitigli dal cielo, e sapendo che il vantaggio maggiore da procurarsi all’uomo è il fornirlo di que’ lumi, che col retto pensare, e ben ragionare al ritrovamento del vero lo porta, Ella di buon grado assunse questo impegno, e vi attese sino al finire di sua vita.

Nè solo tributo dai dotti giureconsulti dell’età sua, che da ogni banda accorrevano per essere presenti alle di Lei lezioni, si ebbe la Dottoressa, ma per vari secoli passarono i suoi scritti ad essere consultati da ogni giurista, e si consulterebbero forse tutt’ora se i torchi avessero prestato l’ufficio loro qualche tempo innanzi. Scrisse, sulla legge Omnes populi ff. de justitia, et jure, e su quella del Digesto De negotiis gestis, e qualche non antico scrittore accenna queste opere come esistenti ancora, ma fu vana ogni ricerca per rinvenirle.

Era Bitisia ancora nell’oratoria inarrivabile, e di quanto