Capitolo contro il portar la toga (Favaro)

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Galileo Galilei

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CAPITOLO

CONTRO IL PORTAR LA TOGA.1





Mi fan patir costoro il grande stento,2
     Che vanno il sommo bene investigando,
     E per ancor3 non v’hanno dato drento.
E mi vo col cervello immaginando,
     5Che questa cosa solamente avviene
     Perchè non è dove lo van cercando.
Questi dottor non l’han mai intesa bene4,
     Mai son entrati per la buona via,5
     Che gli possa condurre al sommo bene.
10Perchè6, secondo l’opinion mia,
     A chi vuol una7 cosa ritrovare,
     Bisogna adoperar la fantasia,

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E giocar d’invenzione, e ’ndovinare;
     E se tu non puoi ire a dirittura,
     15Mill’altre vie ti posson aiutare.
Questo par che c’insegni la natura,
     Che quand’un non può ir per l’ordinario,
     Va dret’a una strada più sicura.
Lo stil dell’invenzione è molto vario;
     20Ma per trovar il bene io ho provato8
     Che bisogna proceder pel contrario:
Cerca del male, e l’hai bell’e trovato;
     Però che ’l sommo bene e ’l sommo male
     S’appaion com’i polli9 di mercato.
25Quest’è una ricetta generale:
     Chi vuol saper che cosa è l’astinenza;
     Trovi prima10 che cosa è ’l carnovale,
E ponga tra di lor la differenza;
     E volendo conoscer i peccati,
     30Guardi se ’l prete gli dà11 penitenza;
E se tu vuo’ conoscer gli12 sciaurati,
     Omacci tristi e senza discrizione,
     Basta che tu conosca i preti e’ frati,
Che son tutti bontà e divozione:
     35E questa via ci fa toccar il fondo13,
     E sciogl’il nodo14 alla nostra questione.
Io piglio un male a null’altro secondo,
     Un mal che sia cagion de gli altri mali,
     Il maggior mal che si trovi nel mondo15;
40Il quale ognun che vede senz’occhiali,
     Che sia l’andar vestito, tien per certo;
     Questo lo sanno in sino gli16 animali,
Che vivono spogliati e allo scoperto;
     E sia pur l’aria calda17 o ’l tempo crudo,
     45Non istan mai18 vestiti19 o al coperto.

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Volgo poi l’argomento, e ti conchiudo,
     E ti fo confessare a tuo20 dispetto,
     Che ’l sommo ben sarebbe andare ignudo.
E perchè vegghi che quel ch’io ho21 detto
     50È chiaro e certo e sta com’io lo dico22,
     Al senso e alla ragion te ne rimetto.
Volgiti a quel felice tempo antico,
     Privo d’ogni malizia e d’ogni inganno,
     Ch’ebbe sì la natura23 e ’l cielo amico;
55E troverai che tutto quanto l’anno
     Andava nud’ognun, picciol e grande,
     Come dicon i libri che lo sanno.
Non ch’altro, e’ non portavon le mutande,
     Ma quant’era in altrui di buono o bello24
     60Stava scoperto da tutte le bande.
E così ognun, secondo il suo25 cervello,
     Coloriva e ’ncarnava il suo disegno,
     Secondo che gettava il suo pennello;
Nè bisognava26 affaticar l’ingegno
     65A strolagar per via d’architettura,
     O ’ndovinar27 da qualche contrassegno:
Non occorreva andar per cognettura,
     Perchè la roba stava in su la28 mostra,
     E si vendeva a peso e a misura.
70E quest’è la ragion29 che ci dimostra
     Ch’allor non eron gl’inconvenienti30,
     Che si veggon seguire all’età nostra.
Quella sposa si duol co’ suo’31 parenti,
     Perchè lo sposo è troppo mal fornito,
     75E non ci vuole star sotto altrimenti;
Ma dice che ci piglierà32 partito,

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     E che gli han dato colui a malizia,
     Tal che gli è forza cambiarle marito33.
Altri34, che di ben sodi ha gran dovizia,
     80Talor dà in una ch’ha sì poca entrata,
     Che non v’è da35 ripor la masserizia.
Così resta la36 sposa sconsolata:
     Gli è ver che questo non avvien sì spesso;
     Pur di queste qualcuna s’è trovata:
85Dov’allor si vedeva a un di presso,
     Innanzi che venissino alle prese,
     La proporzion tra l’uno e l’altro sesso.
Non si temeva allor del mal franzese:
     Però che, stand’ignudo alla campagna,
     90S’un avea37 qualche male, era palese;
E s’una donna avea qualche magagna,
     La teneva coperta38 solamente
     Con tre o quattro foglie di castagna.
Così non era gabbata la gente,
     95Come si vede che l’è gabbat’ora,
     Se già l’uomo non è più ch’intendente:
Chè tal par buona, veduta39 di fuora,
     Che se tu la ricerchi sotto panno40,
     La trovi come ’l vaso di Pandora.
100E così d’ogni frode41 e d’ogn’inganno
     Si vede chiaro che n’è sol cagione
     L’andar vestito tutto quanto l’anno.
Un’altra, e non minor, maladizione
     Nasce tra noi di questa42 ria semenza,
     105Che tien il mondo in gran confusione:
Quest’è la maggioranza e preminenza43
     Che vien da’ panni bianchi, oscuri o persi44,
     Che pongon tra’ Cristian la differenza.
Questa pospone a i monaci i conversi,

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     110Antepon l’oste a i suoi lavoratori,
     E da i padron45 fa i sudditi diversi:
Dov’in que’ tempi46 non eran signori,
     Conti, marchesi o altri47 bacalari,
     Nè anche poveracci o servidori48.
115Tutti quanti eron uomini ordinari,
     Ognun si stava ragionevolmente,
     Eron tutti49 persone nostre pari,
E ciascun del50 compagno era parente;
     Se non era parente, gli era amico51;
     120Se non amico, al manco conoscente.
Credi pur ch’ella sta52 com’io ti dico,
     Che ’l vestir panni e simil fantasie
     Son tutte quante invenzion del Nimico;
Come fu quella dell’artiglierie,
     125E delle streghe e dello spiritare,
     E degli altri incantesimi e malie.
Un’altra cosa mi fa53 strabiliare,
     E sto per dirti quasi ch’io c’impazzo,
     Nè so trovar com’ella54 possa stare:
130Ed è, che se qualcun per55 suo sollazzo,
     Sendo ’ngegnoso e alto di cervello,
     Talor va ignudo, e’ dicon che gli è56 pazzo:
I ragazzi gli gridan: Véllo, véllo;
     Chi gli fa pulce secche e chi lo morde,
     135Traggongli sassi57 e fannogli il bordello;
Altri lo vuol legar con delle corde,
     Come se l’uomo fusse una vitella:
     Guarda se le persone son balorde!
E se tu credi che questa sia bella,
     140E’ bisogna che ’n cielo, al parer mio58,
     Regni qualche pianeto o qualche stella.

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Però se vuol così Domenedio59,
     Che finalmente può far ciò che vuole60,
     Io son contento andar vestito anch’io,
145E non ci starò a far altre parole61:
     Andrommen’anch’io dietro a questa voga;
     Ma Dio sa lui, se me n’incresce e duole!
Ma ch’io sia per voler portar la toga,
     Come s’io fussi qualche Fariseo,
     150O qualche scriba62 o archisinagoga,
Non lo pensar; ch’io non son mica Ebreo,
     Se bene e’ pare al nome e al casato
     Ch’io sia disceso da qualche Giudeo.
I’ sto a veder se ’l mondo è spiritato,
     155Se egli63 è uscito del cervello affatto,
     E s’egli è desto, o pure addormentato;
E s’egli è vero ch’un che non sia matto
     Non arrossisca che gli sia veduto
     Un abito sì sconcio e contraffatto64.
160In quant’a me65 mi son ben risoluto,
     Ch’io non ne voglio intender più sonata:
     Mi contento del mal ch’io n’ho66 già auto;
E perchè non paresse alla brigata,
     Ch’io mi movessi senz’occasione,
     165Come fan quegli ch’han poca levata,
Io son contento dir la mia ragione,
     E che tu stesso la sentenza dia:
     So che tu hai67 giudizio e discrizione.
La prima penitenza che ci sia
     170(Guarda se per la prima68 ti par nulla),
     È ch’io non posso fare i fatti mia,
Come sarebbe andar alla fanciulla;
     Ma mi tocca a restar fuor della porta,
     Mentre ch’un altro in casa si trastulla.

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175Dicon ch’è grave errore, e troppo69 importa,
     Ch’un dottor vadia a casa le puttane:
     La togal gravità non lo comporta.
E ’l veder70 queste cose così strane
     Mi fa poi far qualch’altro peccataccio,
     180E bene spesso adoperar le mane:
Onde costor, che71 si pigliano impaccio
     Della mia salvazione e del mio bene,
     Bravano e gridan ch’io72 non ne fo straccio.
A un che vada in toga non conviene73
     185Il portar un vestito che sia frusto,
     A voler che la cosa vadia bene74;
Perchè, mostrando tutto quanto il fusto75
     E la persona76 giù lunga e distesa,
     Egli è forza ch’ei faccia77 il bellombusto:
190E così viene78 a raddoppiar la spesa;
     E questa a chi non ha molti quattrini79
     È una dura e faticosa impresa.
Non ci vuol tanti rasi ed ermisini80,
     Quando tu puoi portare il ferraiuolo:
     195Basta aver buone scarpe e buon calzini81;
Il resto, quando sia82 di romagnuolo,
     Non vuol dir nulla, se ben par che questa83
     Sia una sottigliezza da Spagnuolo84:
E non importa che tu ti rivesta,
200Mutand’abiti e foggie a tutte l’ore,
Se è85 dì di lavoro o dì di festa.86

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Se per disgrazia un povero dottore
     Va per la strada in toga scompagnato87,
     Par quasi ch’e’ ci metta dell’onore88;
205E se non è da venti89 accompagnato,
     Mi par sempre sentir dir le brigate:
     «Colui è un ignorante e smemorato90»:
Tal che sarebbe meglio a farsi frate91;
     Ch’al manco vanno a coppie92, e non a serque,
     210Come van gli spinaci e le granate.
Però chi dice lor: Beati terque,
     Non dice ancor quanto si converrebbe,
     E sarie poco a dir terque quaterque93;
Dove ch’a un dottor bisognerebbe
     215Dargli la mala Pasqua col mal anno,
     A voler far quel ch’ei meriterebbe94.
Non so com’ei non crepi dell’affanno95,
     Quand’egli ha intorn’a sè96 diciott’o venti,
     Che, per udirlo, a bocca aperta stanno97.
220A me non par egli essere altrimenti,
     Che sia tra i pettirossi la civetta,
     O la Misericordia98 tra’ Nocenti;
E n’ho aut’99a’ miei dì più d’una stretta:
     E però, toga, va’ pur in buon’ora100,
     225Vatten’in pace, che sie101 benedetta.
Ma quand’anche un dottore andasse102 fuora,
     E ch’andar103 solo pur gli bisognassi,
     Come si vede che gli avvien talora,
Tu non lo vedi andar se non pe’ chiassi,
     230Per la vergogna, o ver lungo104 le mura,
     E ’n simil altri luoghi da papassi:
E par ch’e’ fugga la mala ventura;

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     Volgesi or da man manca or da man destra,
     Com’un che del bargello abbia paura:
235Par una gatta in una via maestra,
     Che sbalordita fugga le persone,
     Quand’è cascata giù dalla finestra105,
Che se ne corre via carpon carpone,
     Tanto ch’ella s’imbuchi in qualche volta,
     240Perchè gli spiace la conversazione106.

                        *          *          *          *

Se tu vai fuor per far qualche faccenda,
     Se tu l’hai a far innanzi desinare107,
     Tu non la fai che gli è or di108 merenda,
Perchè la toga non ti lascia andare,
     245Ti s’attraversa, t’impaccia e t’intrica109,
     Ch’è uno stento a poter camminare.
E però non par ch’ella si disdica
     A quei che fanno le lor cose adagio
     E non han troppo a grado la fatica,
250Anzi han per boto lo star sempre in agio,
     Come dir frati o qualche110 prete grasso,
     Nimici capital d’ogni disagio,
Che non vanno mai fuor se non a spasso,
     Come diremmo noi111, a cercar funghi,
     255E se la piglian così passo passo.
A questi stanno bene i panni lunghi,
     E non a un mie par, che bene spesso
     Ho a correr perch’un birro non mi giunghi;
E ho sempre paur di qualche messo,
     260O che ’l Provveditor non mi condanni,

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     Ch’a dire il vero è112 un vituperio espresso.
Però, prima ch’usar113 più questi panni,
     Vo’ rinunziar la cattedra a Ser Piero114,
     E se non la vuol lui, a Ser Giovanni115.
265Io vo’ che noi facciamo a dir il vero:
     Che crediam noi però però ch’importi116
     Aver la toga di velluto nero,
E un che dreto il ferraiuol ti porti,
     E che la notte poi ti vadia avanti
     270Con una torcia, come si fa a’ morti?
Sappi che questi tratti tutti quanti
     Furon trovati da qualcuno astuto117,
     Per dar canzone e pasto agl’ignoranti,
Che tengon più valente e più saputo
     275Questo di quel, secondo ch’egli arà
     Una toga di rascia o di velluto.
Dio sa poi lui come la cosa sta118!
     Ma s’io avessi a dire il119 mio parere,
     Questo discorso un tratto non mi va.
280Ch’importa aver le vesti rotte o intere,
     Che gli uomini sien Turchi o Bergamaschi,
     Che se gli dia del Tu120 o del Messere?
La non istà ne’ rasi o ne’ dommaschi121;
     Anzi vo’ dirti una mia fantasia,
     285Che gli uomini son fatti com’i fiaschi.
Quando tu vai la state122 all’osteria,
     Alle Bertuccie, al Porco, a Sant’Andrea,
     Al Chiassolino o alla Malvagia,
Guarda que’ fiaschi, innanzi che123 tu bea
     290Quel che v’è drento; io dico124 quel vin rosso,
     Che fa vergogna al greco e alla verdea:
Tu gli vedrai che non han tanto in dosso125,
     Che ’l ferravecchio ne dessi un quattrino;

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     Mostran la carne nuda in sino126 all’osso:
295E poi son pien di sì eccellente vino,
     Che miracol non è se le brigate
     Gli dan del glorioso e del divino.
Gli altri, ch’han quelle veste delicate,
     Se tu gli tasti, o son127 pieni di vento,
     300O di belletti o d’acque profumate,
O son fiascacci da pisciarvi drento128.




Note

  1. Nel cod. A si legge, su di una carta di guardia: Capitolo del Galileo; nessun titolo è in capo alla poesia. Nel cod. B in capo alla poesia è scritto: Contro le toghe. Del Sig.r Galileo Galilei. Il cod. C reca il seguente titolo, che si legge tanto su di una carta di guardia quanto in testa alla poesia: Capitolo del Sig.r Galileo Galilei contro il portar la toga, quando ei leggeva a Pisa. I codici D, F, G intitolano: In biasimo delle toghe: il cod. F soggiunge a questo titolo l'indicazione Capitolo; il cod. G, Capitolo del Sig. Galileo Galilei. Nel cod. E prima era stato scritto, in capo al componimento: Del Sig.r Iacopo Soldani; poi queste parole furono cancellate, e della stessa mano fu scritto: Capitolessa in biasimo della toga, del Galileo. La stampa s’intitola: Capitolo del Galileo in biasimo della toga.
  2. 1. Nel cod. D prima era scritto Mi fan patir costoro il grande tormento, poi fu corretto Mi fanno patir certi il grande stento che è la lezione dei codici E, F, G e della stampa s. Intorno alla mano di cui sono questa e le altre correzioni del cod. D, vedi l’Avvertimento.
  3. 3. E pure ancor, s — . Nè per ancora v’ànno, B
  4. 7. Nel cod. D prima era scritto han mai intesa, poi fu corretto hanno intesa, che è la lezione dei codici E, F, G e della stampa s.
  5. 8. Nel cod. D prima era scritto Mai son, che poi fu corretto in Nè son. I codici E, F, G e la stampa s leggono Nè sono. — Nel cod. C entrati, è stato corretto in luogo di andati, ch’era scritto prima. — per la vera via, s
  6. 10. Poi che, C
  7. 11. A voler una, C
  8. 20. Io ho notato, E, s
  9. 24. S’accoppian come, F — come polli, B
  10. 27. Provi prima, B, F, G
  11. 30. prete ne dà, C
  12. 31. E se conoscer vuoi gli, B
  13. 35. Che questa via ci fa trovar il fondo, E, s
  14. 36. E scioglie il dubbio, C
  15. 39. si ritrovi al mondo, C, D, F, G
  16. 42. sanno fino gli, F; sanno sin a gli, B; sanno insino agli D, s
  17. 44. l’aria dolce o, E, s
  18. 45. Non stanno mai, C; Non ne stan mai, E
  19. 45. vestiti nè al, B
  20. 47. al tuo, C, D, E, F, G, s
  21. 49. vegghi meglio quel c’ho, D, F, G - ch’io t’ho, E, s
  22. 50. Nel cod. D prima era scritto E chiaro e certo; poi fu corretto E tutto vero, che è la lezione dei codici E, F, G e della stampa se sta come la dico, C - io ti dico, D, F, G
  23. 54. s’la ragione e, B
  24. 59. buono e bello, B, C, D, E, F, G, s
  25. 61. Nel cod. D prima era scritto secondo il suo, e poi fu corretto a voler di, che è la lezione dei codici E, F, G e della stampa, s.
  26. 64. Non bisognava, D, F, G
  27. 66. E indovinar, s
  28. 68. stava su la, C, F
  29. 70. la cagion, E
  30. 71. Ch’allor non c’eran quegl’inconvenienti, F, G — Che non seguivan gl’, E, s
  31. 73. duol de’ suoi, C
  32. 76. che si piglierà, A
  33. 78. cambiarle il marito, D, F, G
  34. 79. Nel cod. D prima era scritto Altri, poi fu corretto Un poi, che è la lezione dei codici E, F, G e della stampa s.
  35. 81. non ha da, E, s
  36. 82. Così ne sta la, B
  37. 90. S’un aveva, A
  38. 92. La portava coperta, C
  39. 97. par bella, veduta, C
  40. 98. sotto il panno, D, F, G
  41. 100. E così d’ogni male e, E, s
  42. 104. da questa, B, C, D, G
  43. 106. o preminenza, s
  44. 107. o scuri, s — e persi, B, C, D, E, F, G
  45. 111. dal padron, E
  46. 112. Però ’n que’ tempi, E, s
  47. 113. Duchi, marchesi, E, s — e altri, B, C
  48. 114. e servitori, F
  49. 117. tutte, B, C, D, F, G
  50. 118. Ciascuno del, D, F, G
  51. 119. Se non gli era parente, F, G — egli era amico, B, C
  52. 121. Or di’ pur, C — che la stia, E
  53. 127. fammi, D, F, G
  54. 129. Nè so veder come la, E, s
  55. 130. Ed è, se qualchedun per, F
  56. 132. ignudo, dicon, E, s — nudo, è detto ch’egli è, D, F, G
  57. 135. Traggongli i sassi, D, E, F, G, s
  58. 140. a parer mio, s
  59. 142. se ’l vuol messer Domenedio, E, s
  60. 143. ch’ei vuole, B, D
  61. 145. E non vi [ci, C] star a, B, C — far tante parole, B, E, F, G, s
  62. 150. O rabbi o scriba, D, E, F, G, s
  63. 155. S’egli, A, s; Se gli, C, E; E s’egli, B, D, F, G
  64. 159. scontraffatto, s
  65. 160. Io, quant’a me, B; Io, in quanto a me, D, E, G, s
  66. 162. che ne ho, F, G
  67. 168. Ch’io so che t’hai, F, G
  68. 170. se pur la, A
  69. 175. errore, che troppo, C
  70. 178. Il veder, B
  71. 181. Onde color che, E, s
  72. 183. e dicon ch’io, E, s
  73. 184. Se tu vai in toga non ti si conviene, D, E, F, G, s
  74. 186. Altrimenti la cosa non va [sta, E, s] bene, D, E, F, G, s
  75. 187. il busto, C
  76. 188. Della persona, D, E, G, s
  77. 189. Gli è forza che si faccia, C; Bisogna che tu faccia, D, E, F, G, s
  78. 190. E così vieni a, E, F, G
  79. 191. ha troppi quattrini, E, s
  80. 193. o ermisini, B, C, D, e, F, G, s
  81. 195. buone calze e buon scarpini, F
  82. 196. quand’e’ sia, D, G
  83. 197. se bene poi questa, C
  84. 198. di Spagnuolo, B, G
  85. 201. S’è, A; S’egli è, B; Se gli è, C
  86. 200-201. I codici D, E, F, G e la stampa s in luogo dei v. 200-201 leggono i seguenti:
    E che tu faccia differenza alcuna,
    Ch’e’ sia dì di lavoro o dì di festa:
    Sia di nero o di bianco, tutt’è una;
    Tu non ha’ a mutar foggia a tutte l’ore
    Nè più nè manco come fa la luna.
    Nel penultimo verso i codici F, G leggono Non hai da mutar foggia, e il cod. E Tu non ha’ mutar fogge, e la stampa s Tu non ha’ a mutar fogge.
  87. 203. Andasse in toga e fusse scompagnato, D, E, F, G, s
  88. 204. Ci metterebbe quasi dell’onore, D, E, F, G, s
  89. 205. s’ei non, B — da trenta, D, E, F, G, s
  90. 207. ignorante, smemorato, B, s; ignorante, un smemorato, F, G
  91. 208. sarebbe il meglio, B — meglio farsi, C, F, G; meglio il farsi, D, s
  92. 209. a coppia, D, F, G
  93. 213. poco il dir, F, G — dir anco [anche, s] quaterque, E, s
  94. 216. che meriterebbe, C, E, s
  95. 217. come non, C, D, E, F, G, s — dall’affanno, F, G
  96. 218. attorno a sè, C
  97. 219. Ch’a bocca aperta, per udirlo, stanno, C
  98. 222. E la Misericordia, B
  99. 223. E ò auto, B
  100. 224. toga, vatten' in buon'ora, E, s
  101. 225. Vattene pur, che tu sia, E, s
  102. 226. Ma s'un dottor per sorte andasse, E, s
  103. 227. E di andar, s
  104. 230. o pur lungo, B
  105. 237. è caduta giù, B, C — da una finestra, F, G
  106. 239-240. Dopo il v. 240 i codici A e C lasciano uno spazio bianco, capace di tre versi; i codici B ed E e la stampa s segnano sei versi di puntolini, e il cod. E scrive un P come iniziale del primo verso mancante e una M come iniziale del quarto; il cod. D avverte soltanto: «Qui manca la rima»; i codici F e G leggono al v. 239 s’imbuchi e si difenda, e non hanno alcun segno di lacuna.
  107. 242. Se tu l’ha’ far, E; Se l’hai a fare, F, G — avanti desinare, B
  108. 243. Non l’hai finita a ora di, F, G
  109. 245. t’impaccia, t’intrica, F
  110. 251. Come son frati, E, s — e qualche, s
  111. 254. come sogliam dir noi E, s
  112. 261. Che veramente è, B
  113. 262. prima d’usar, F
  114. 263. a San Piero, s
  115. 264. E s’egli non la vuole, a, D, F, G — a San Giovanni, s
  116. 266. noi però che cosa importi, B
  117. 272. da qualch’uomo astuto, s
  118. 277. la cosa va, B
  119. 278. Ma s’avesse a dir io il, F, G
  120. 282. Che si dia lor del Tu, B
  121. 283. La non ne sta, C, E, s — e ne’ dommaschi, B, C, E
  122. 286. la notte all’, F, G
  123. 289. avanti che, F
  124. 290. dentro; dico, B
  125. 292. tanto addosso, C
  126. 294. nuda sin, C; nuda fino, E, F, s
  127. 299. tasti, e’ son, B
  128. 301. Il v. 301 manca nei codici A, C.