Se per disgrazia un povero dottore
Va per la strada in toga scompagnato1,
Par quasi ch’e’ ci metta dell’onore2; 205E se non è da venti3 accompagnato,
Mi par sempre sentir dir le brigate:
«Colui è un ignorante e smemorato4»:
Tal che sarebbe meglio a farsi frate5;
Ch’al manco vanno a coppie6, e non a serque, 210Come van gli spinaci e le granate.
Però chi dice lor: Beati terque,
Non dice ancor quanto si converrebbe,
E sarie poco a dir terque quaterque7;
Dove ch’a un dottor bisognerebbe 215Dargli la mala Pasqua col mal anno,
A voler far quel ch’ei meriterebbe8.
Non so com’ei non crepi dell’affanno9,
Quand’egli ha intorn’a sè10 diciott’o venti,
Che, per udirlo, a bocca aperta stanno11. 220A me non par egli essere altrimenti,
Che sia tra i pettirossi la civetta,
O la Misericordia12 tra’ Nocenti;
E n’ho aut’13a’ miei dì più d’una stretta:
E però, toga, va’ pur in buon’ora14, 225Vatten’in pace, che sie15 benedetta.
Ma quand’anche un dottore andasse16 fuora,
E ch’andar17 solo pur gli bisognassi,
Come si vede che gli avvien talora,
Tu non lo vedi andar se non pe’ chiassi, 230Per la vergogna, o ver lungo18 le mura,
E ’n simil altri luoghi da papassi:
E par ch’e’ fugga la mala ventura;
↑203. Andasse in toga e fusse scompagnato, D, E, F, G, s
↑204. Ci metterebbe quasi dell’onore, D, E, F, G, s