Canti (Sole)/Sorrento o Torquato Tasso

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Sorrento o Torquato Tasso
Torre del Greco Il negro
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SORRENTO
o
TORQUATO TASSO





 Perchè l’arte de’ carmi (e si può tanto!)
     Tutto de la pittrice arte non puote
     Visibilmente simular l’incanto,
     Tutte de l’armonie render le note?
     Perchè la Poesia nel furor santo,5
     Che il fatidico sen le infiamma e scote,
     Invan depreca obbedïenti ancelle
     Quante son le minori arti sorelle?

 Invan, pallido verso, in te ritento
     Stringere i rai di così bella aurora!10
     E nondimanco per mutar d’evento
     Dal pensier mio mai non cadrà quest’ora!
     Questo caro mattin, vaga Sorrento,
     Ripenserò, com’io lo veggio, ognora;
     E le coste fuggenti, e le marine,15
     Viste da l’alto de le tue colline!

 E benedico, giubilando, a Dio,
     Che ognor quest’alma regïon rinnova,
     E in così dolce proda a me sortio
     La vita de l’esiglio e de la prova,20

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     Però che ardente d’immortal desio
     Qui men lunge da lui l’alma si trova.
     Nei mai sì belli mi tornaste e cari,
     O curvi itali cieli, itali mari!

 Candida, senza rai, su le tranquille25
     Acque di Baia, ancor pende la luna;
     E per l’äer cilestre a le pupille
     Pur leggera non vien nuvola alcuna.
     Dal Vesbio a Capri, disgradata in mille
     Forme sen va come una lista bruna,30
     E, qual zodiaco pintovi dall’arte,
     I convessi del ciel tremula parte.

 E giù limpido il mar giace senz’onda,
     E par che a un sogno mattutin sorrida,
     Come la prima prima aura gioconda35
     Leve ne increspa la pianura infida.
     Un’amena quïete, una profonda
     Azzurra pace sovra l’acque annida;
     E l’aure, e l’acque, e le costiere intorno
     Sembran l’arrivo presentir del giorno.40

 A poco a poco per le sponde estreme,
     Cadenti a picco sul cilestre piano,
     Più gaiamente il mar mormora e freme,
     Quasi desto dal soffio antelucano.
     Lungi pe’ glauchi clivi intanto geme45
     Il flauto mattinier del mandrïano,
     E giù risponde da le pervie valli
     Un rumore di carri e di cavalli.

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 Per le macchie de’ tremuli aranceti,
     Che di perpetuo rezzo ombrano il lido,50
     Desti gli augei dai talami segreti
     Gittano il mattutin limpido grido.
     Altri montando armoniosi e lieti
     Dai novali, ove al maggio ebbero il nido
     Per l’etereo zaffir treman su l’ale55
     La lucida trattando onda vitale.

 Pare il golfo una curva aula aspettante
     L’ambito arrivo di real Signore,
     E l’aspetto del cielo ad ogni istante
     Pe’ cristalli del mar cangia colore.60
     Così le gote di fanciulla amante
     Vela d’una gentile iride Amore,
     Quando al nitido specchio ella si asside,
     Ed ascolta una nota orma, e sorride.

 Oh, come cara, e placida, e sincera65
     È quest’ora di gioia e di speranza!
     Come, o Sorrento, da la tua costiera
     Tutto parea ridesse in lontananza!
     Una rosata nebula leggera
     Correa sul mare, come l’alba avanza,70
     E i monti intorno e de le coste i seni
     Lambia di corti e tremuli baleni:

 E vania scolorando: e a poco a poco
     I monti, i colli, e l’isole vicine
     Un’ampia redimia zona di foco,75
     Che in porpora tingea l’onde azzurrine:

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     E non parea, donde rompesse, il loco
     Pel serpeggiante orïental confine;
     Chè il ciel diffuso d’una luce blanda
     Parimente ridea per ogni banda.80

 Candide in mar le vele ivano, e gai
     Canti mettea varcando il navichiere,
     Come affrettando gl’imminenti rai
     Del sol fecondo de le sue costiere.
     Deh, rivelati, o sole, anch’io sclamai,85
     De la Terra, che passa, in sul sentiere!
     Ve’ questa bella e peregrina amante
     Con che trasporto ti ricorre innante!

 Ella, che ovunque intentamente move
     Gli occhi al tuo raggio innamorati e fidi,90
     Non mai sì belle maraviglie e nuove,
     Non t’offre mai più grazïosi lidi!
     E tu sì mai non sorridesti altrove,
     Come in quest’alma regïon sorridi!
     Rïesci, o Sole, e la tua fiamma antica95
     Gitta sul crin de la fuggente amica! —

 Ed alto il Sole era sui bruni clivi,
     Ond’ha Sorrento orïental ghirlanda,
     E largamente sui conserti olivi,
     La sua luce piovea tremula e blanda.100
     E Napoli da i suoi flutti nativi
     Sorgea precinta di beltà miranda,
     E sorgean da la fresca onda tirrena
     L’isole ancelle a la real Sirena.

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 E il Vesbio pel dorato aere aperto105
     Come obelisco cerulo salia,
     D’una cangiante nuvola coperto,
     Che in pullulanti vortici vanìa:
     E giù pel fianco rigido e deserto,
     Cui l’aurea luce del mattin ferìa,110
     Quasi respinta negli abissi orrendi
     Tacea la vampa de’ notturni incendi.

 Quante volte, o Sorrento, un giovinetto
     Bello di fresca leggiadria novenne,
     Per queste rive a lo stupendo aspetto115
     Dei tuoi vaghi mattini il piè contenne!
     Io l’ho veduto il suo povero tetto,
     Toccata ho l’alga, ove mettea le penne
     L’epico cigno in solitario nido,
     E su l’acque gittava il primo grido.120

 Batte la refluente onda spumante
     Appiè d’un muro, e armonïosa riede
     E cinque brevi giovinette piante
     Di quel vetusto asil crescono al piede.
     Sparsa di musco e d’ellera vagante125
     La grigia pietra verdeggiar si vede,
     E bruna in alto al navigante appare
     Una finestra che vaneggia al mare.

 E rivolando ne la età fuggita
     Vidi in quel vano un giovinetto viso,130
     Altero e bello di beltà romita
     Sparsa d’un mesto genïal sorriso:

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     Azzurra e intenta è la pupilla ardita,
     Folto e lucido il crine in due diviso,
     Che del volto a l’oval molle acconsente — 135
     E per gli omeri muor profusamente.

 Per l’etere e pel mar come inspirato
     Quell’angiolo gl’intenti occhi smarria.
     E un nugolo di larve interminato
     Gli recingea la vergin fantasia;140
     Che in più matura età ripopolato
     D’armi e d’armati l’Oriente avria:
     Ed albeggiava in quella fronte pura
     Un gran giorno di gloria e di sventura.

 E il mar guardava meditando, e lene145
     L’aura marina lo baciava in fronte:
     E se le industri ondivaghe carene
     Salutasser, partendo, il patrio monte,
     Con gli occhi ei le seguia per le serene
     Acque nel più lontan de l’orizzonte,150
     Larga pregando ai poveri marini
     La pesca dei coralli oceanini.

 E con la nova fantasia partiva
     Anch’ei per intentate acque infinite,
     Stelle ignote cercando e ignota riva,155
     E fiumi e baie ed isole romite.
     La speranza rapìa la fuggitiva
     Prora per l’ideal vasta Anfitrite,
     E sedean lieti su la poppa bruna
     Gli estri in ale di foco e la fortuna.160

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 Era vivace ancor per l’Occidente
     La maraviglia dei trovati regni,
     E pel vasto Ocean l’orma recente
     Degl’Iberi parea storici legni.
     Ogni ispirata ambiva itala mente165
     Ridir d’Alcide vïolati i segni;
     Ed iva innanzi a le più chiare imprese
     La stupenda Odissea d’un Genovese.

 La fantastica luce era mancata,
     Che da le mediane ombre raggiava,170
     E come a terza de la sua giornata
     La vagabonda umanità posava.
     Nè d’ombre e d’auree fantasie velata
     Era l’ora che al mondo allor toccava,
     Nè larga sì, tumultuosa, ardente,175
     Come il meriggio de l’età volgente.

 Nei cruenti sepolcri eran già muti
     I Farinata de l’ausonia prole,
     E i bruni ispidi lucchi eran caduti,
     E de le Bici le severe stole.180
     Sovra tende di rasi e di velluti
     Blandamente ferìa l’Italo Sole;
     E sovra l’elsa del guerrier fulgea
     In ricche gemme la perizia Achea.

 Ma di Allighier la mattiniera musa,185
     Che, col grido de l’aquila, ridesta
     Avea l’Itala Donna entro la chiusa
     De’ barbarici tempi atra foresta;

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     Ma l’usignuolo, onde sonò Valchiusa
     Per lunghe notti armonïosa e mesta,190
     Echi più gravi ivan destando ancora,
     Chè mancata di corto era l’aurora.

 E nel petto dei fulgidi nepoti,
     Benché ardessero omai soli più miti,
     Fremean di guerra nondimanco i voti195
     Ne l’allegria degli aurei conviti.
     E più securi altari, e sacerdoti
     L’Arte si ottenne, e più tranquilli riti,
     E inclinata passava e trïonfale,
     Pe’ delubri, pei Fori, e per le sale.200

 Parea l’Ausonia gente un pellegrino,
     Che d’alta selva e tenebrosa emerso,
     A l’aperto si posi in sul cammino
     Coll’occhio indietro, a riguardar, converso.
     E per l’Etrusca notte e pel latino205
     Secol vagava il novo italo verso;
     Ed ai guerreschi procellosi ludi
     Seguian le pugne de’ risorti studi.

 E tu, quando sì lieta era la vita,
     Tu, vagabondo giovinetto, entravi210
     In quel mondo di feste e d’erudita
     Luce, e di più benigne arti e soavi.
     Ed ove più conserta ombra e romita
     Ti offeria l’Eridàn, lento vagavi,
     Muto seguendo da la curva riva215
     Le nubi erranti e l’onda fuggitiva.

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 Te seguian le fanciulle Eridanine
     Pe’ sinuosi e floridi viali,
     E del pensoso da l’incolto crine
     Paventavan gli ardenti occhi fatali.220
     De le nove tue rime e pellegrine
     Le Minerve del Po sentir gli strali;
     E sospirar segrete al tuo concento
     Sul sen di latte reclinando il mento.

 — Da qual ne approda incognita contrada225
     Questo alunno del canto e del valore?
     Ne la sua man ventenne, ecco la spada
     Splende e la piuma di virtù maggiore!
     Il sorriso, che placido digrada
     Per la sua bocca leonina e muore,230
     D’insueta magia l’alme incatena,
     Come il suo verso di profonda vena!

 Più che l’Eroe del suo splendido canto,
     Move costui bello ne l’armi e saldo,
     E il novo carme d’un più forte incanto235
     Gl’infiora il labbro sorridente e baldo! —
     Così le donne e i cavalier di vanto
     Proseguiano, o Torquato, il tuo Rinaldo,
     Quando la sera ai circoli festivi
     De l’Estense castel bruno apparivi!240

 E di Ferrara agl’incliti signori,
     Tra lo splendor de le tacenti sale,
     Del tuo giovine eroe gl’illustri amori
     Con epico narravi inno augurale.

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     Però che in esso i fortunati albori245
     Lucean del tuo divin carme immortale:
     Del potente usignuolo eran le prime
     Note, promessa di elegia sublime!

 Nè più l’Amor nel boschereccio albergo
     Di chiusa valle a meditar sedea,250
     Nè sospettoso nel sanguigno usbergo
     Del vagabondo venturier fremea.
     Lunge ei le penne irrequïete e il tergo
     Dai dolci colli Euganei volgea:
     Avea de’ molli contemplanti il saio255
     Deposto e il marzïal guanto d’acciaio.

 Del fuggitivo Iddio su le diffuse
     Chiome, per le turrite itale moli,
     Indarno al priego de l’Esperie muse
     Di Platone cadean gli ultimi soli.260
     Per le corti il perduto e per le chiuse
     Marmoree ville iva alternando i voli
     Con occhio ardente dal piacer, con viso
     Arguto, e sparso di maligno riso!

 E su la fronda de le tue corone,265
     Povero Tasso, iniquamente ei pose,
     Invido quasi de la tua canzone,
     Infausto premio di amaranti e rose!
     Ahi, di quanto dolor fora cagione
     Quel don malaugurato ei ti nascose!270
     Nè tu il pensavi, o giovinetto ardito,
     Pel vasto ciel de l’Epopea rapito!

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O trombe nostre! O timpani sonanti.
     Sovra l’Orebbe! O mar di Galilea!
     O bandiere di Cristo, sventolanti275
     Sui merli di Tortosa e di Nicea!
     O selve piene di stupendi incanti,
     E d’alti mostri, che la fè vincea!
     O tende! O fochi de’ notturni campi!
     O sol diffuso in infiniti lampi!280

 O giardini, o palagi, o fonti, o rivi
     Per la terra di Dio lene correnti!
     O spelonche difese ai raggi estivi!
     O gravide d’odori aure gementi!
     O feri aurei cavalli! O verdi clivi285
     Di largo sangue marzïal tepenti!
     O Golgota, o Sïonne, o santo avello,
     Ove spento scendea l’Emmanuello!

 In che stupenda vision passaste
     Per quella giovinetta alma ispirata,290
     Che, l’ali aprendo vigorose e vaste
     Verso l’Oriental aura infocata,
     Sovr’ampio mare di cavalli e d’aste
     E di tende e di carri iva portata,
     E, al chiaro suon de la guerriera tromba,295
     Com’aquila scendea sovra una tomba!

 Tempo verrà (se ne’ futuri eventi
     La generosa profezia non erra)
     Che più sereni soli e più clementi
     Di nova luce investiran la terra: 300

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     E risensate guarderan le genti,
     Come un delirio che passò, la guerra:
     E ammireran che per sì lunga etade
     Tanta fede asseguita abbian le spade.

Ma quante volte echeggerà profondo
     Pe’ secoli venturi il tuo poema,
     Parrà men empia al rinnovato mondo
     Questa de l’armi signoria suprema.
     Chè nel fero tuo carme e verecondo
     La Guerra, ancor che più superba frema,
     Par che giù ponga il cingolo cruento,
     E dei martiri assuma il vestimento.

Chè la tua Musa non venìa da monti,
     Che di qua de le stelle ergan le cime,
     Ma dai superni angelici orizzonti
     Messaggera scendea de le tue rime;
     E ne la manna de l’eterne fonti
     T’insoavìa la Cantica sublime:
     E su lo scudo, onde Michel si armava,
     Tu l’epica scrivevi itala ottava!

Era la Fè la tua Camena, e quando
     Nero salia da’ pergami del Reno
     Un turbo impetuoso e miserando
     Era la Fè che ti ruggia nel seno!
     E tu la fronte giovinetta alzando
     Irradïata d’immortal baleno
     Ponevi incontro all’Aquilon ruggente
     La tromba che fremea per l’Orïente!