Bramante poeta/Prefazione
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Bramante poeta | I | ► |
Venendo a dare alle stampe i Sonetti, d’amore o burleschi, di Bramante da Urbino, sonetti rimasti fino ad ora in parte inediti, ci sembra opportuno chiarire anzitutto le ragioni che a ciò ci hanno particolarmente indotto, accennando brevemente al valore e all’interesse da noi attribuito all’opera poetica del celebre architetto.
La pubblicazione di questi Sonetti bramanteschi non può certamente avere per noi lo scopo di confutare la vecchia credenza la quale vuole che il Bramante sia stato illetterato.
Il Müntz, discorrendo nella Gazette des Beaux-Arts degli architetti che lavorarono al S. Pietro di Roma, ci avrebbe in tal bisogna preceduto là dove, parlando di Bramante, dopo aver riportata l’opinione che questi fosse illetterato, si impegnò a rilevarne il poco fondamento con vivo interesse, così da attribuire alla questione un’importanza quale, a nostro avviso, non ebbe mai. Il Sabba Castiglioni, citando a prova che il Bramante fosse illetterato la circostanza che l’artista appartenne al Collegio dei Frari del Piombo, non ha fatto, che un tentativo mal fondato per giustificare l’asserto del Cesare Cesariano, al quale si deve probabilmente la sola e vera origine della credenza. Il Cesariano nei suoi curiosi commenti al Vitruvio, ha infatti questa frase «licet et fusse illitterato » (pag. LXX verso).
Chi conosce però il bizzarro modo di esprimersi del Cesariano, ben difficilmente è indotto a prendere quelle parole in un senso preciso, assoluto, per farne argomento di una conclusione, la quale nel fatto viene a mettersi immediatamente in contraddizione, non solo coll’opera poetica di Bramante, ma più ancora colle varie testimonianze che ci restano in scritti del tempo di questo artista.
Così pure dichiareremo fin d’ora non essere nostra intenzione insistere sul valore letterario di queste poesie che or pubblichiamo, nè volerci giovare delle medesime per arrivare a considerazione qualsiasi sulla letteratura di quell’epoca; il che ci trarrebbe fuor dell’argomento. Il Vasari ebbe già a dire, a tale proposito, che Bramante «componeva qualche sonetto, se non così delicato come si usa ora, grave almeno e senza difetti.»
Il Trucchi dice di tali sonetti che sono dettati «senza alcuna benchè minima pretesa letteraria» e il Müntz osserva come «le style n’est pas toujours d’une correction, d’une clarté parfaites» però «temoigne d’une grande facilité de versification et d’une bonne humeur à toute épreuve.» Ci accontenteremo su tale punto della questione di accennare all’importanza che Bramante ha potuto avere fra i suoi contemporanei quale poeta; come già si disse, varie sono le testimonianze, e il nome di Bramante lo vediamo più volte apparire nelle opere di parecchi poeti convenuti alla Corte di Lodovico il Moro: fra questi citeremo anzitutto il Gaspare Visconti, consigliere ducale, anzi confidente di Lodovico, amico e protettore di Bramante, autore di molti sonetti, di un poemetto dal titolo De dui Amanti ed altri componimenti poetici che vennero per le stampe in Milano nel 1493 e 1495: il quale Visconti apparteneva a quella famiglia che, prima degli Sforza, avea governato Milano, come egli stesso lo dichiara nel libro VII del suo poema De dui Amanti, dedicato a Lodovico Sforza:
Scendera de Gasparro un pronepote
Compilator di questa historia in rima.
In quale stima il Visconti tenesse il Bramante, lo si vede nel suo poema là dove dice che:
«Quanto è Bramante al mondo huom singulare
Ciascuno a questa etate il vede e intende»
«. . . . nel ciel l’anime sante
Che dir le cognition ch’a in se Bramante.»
E poco dopo:
«Questo che de Bramante hor scrivo e narro.
A te nol dico già per cosa nova.»
Questo Visconti, come poeta, era abbastanza pregiato dai contemporanei, e ce lo attestano gli elogi adulatorii che accompagnano l’edizione delle sue poesie fatta dal P. Franciscus Tantius Corniger: Stefano Dulcino, canonico della Scala, lo chiama «splendido caualiero et prestante poeta.» Il suo modo di poetare presenta qualche analogia con quello del Bramante, col quale era in continua relazione: dei sonetti d’amore del Visconti più d’uno ricorda quelli del Bramante: ad esempio quello che comincia:
«Dolce nimica della mia salute.»
Il Visconti ci riporta l’ammirazione del Bramante verso Dante con una nota a un sonetto, dove dice: non fu facto questo sonetto per voler judicare fra due tanti huomini (Dante e Petrarca) ma sol per motteggiare con Bramante, sviscerato partigiano di Dante.
In altro sonetto indirizzato a Hieronimo Tuttavilla, lo stesso Visconti dice:
«Da l’altra parte il mio dottor Bramante
Mi morde quando il verso è grosso e umile.»
Noteremo infine come Bramante abbia suscitato più di una rivalità fra i poeti contemporanei, rammentando a tale riguardo i due epigrammi poco rispettosi, uno intitolato: Desiderium Bramantis, e l’altro attribuito al Maccagni; sorvolando ad un terzo Epigrama a la sepoltura di Bramante da noi trovato in un codice Magliabechiano (VII, 9, 720, Var. Poes.) e che per la sua trivialità merita di rimanere ancora inedito.
★
Veniamo a determinare l’epoca di tali componimenti poetici. Parecchi, e precisamente quasi tutti i burleschi, si indirizzano al consigliere Ducale Gaspare Visconti il quale morì di 38 anni nel marzo 1499 (V. anche Argelati Bibl. Script. Mediolan. T. II, part. I col. 1604); questo, e il vedervi al tempo stesso citati il Maccagni, il Bergonzio ed altri, mette in chiaro che fu nel periodo della sua dimora a Milano che Bramante si dilettò di poesia, in quel periodo cioè che dal 1476 circa, si protrae fino al 1499, epoca della caduta di Lodovico il Moro e del disperdimento della Corte ducale e degli artisti ivi accolti; e come Serafino Aquilano recossi a Napoli, il Tebaldi a Ferrara, il Pulci a Firenze, il Bramante lasciò Milano per recarsi a Roma, dove la sua presenza è segnalata a partire del 1500. Anche le poesie d’amore possono essere assegnate allo stesso periodo del soggiorno a Milano; ad ogni modo non furono scritte dopo il 1497, inquantochè il MSS. parigino, come vedremo fra breve, porta la data «a dì primo di setembre 1497»: d’altra parte una volta stabilito a Roma, non crediamo che il Bramante trovasse occasione di coltivare ancora le muse: occupato in molti ed importanti lavori alla Corte pontificia, e già innanzi ormai negli anni, gli dovettero necessariamente mancare i due argomenti che vediamo campeggiare nelle sue poesie, l’amore e la miseria.
Ora è appunto per l’epoca nella quale furono scritti, che questi sonetti acquistano particolare importanza: poichè se le notizie intorno Bramante non fanno difetto per il periodo del suo soggiorno a Roma, che corre dal 1500 al 1514, permettendoci le sue opere di tener dietro alle vicende della sua vita, mentre i documenti ci danno anche il giorno della morte (Romæ, die XII Mart. hore IIII noctis 1514: M.o Bramante morì hiermatina), sono al contrario assai scarse le notizie riguardanti il periodo molto più esteso del soggiorno a Milano, periodo che ci riesce assai oscuro per la scarsità dei documenti e per la confusione stessa che durò a lungo sul nome di Bramante: egli è appunto per tale povertà di documenti che dobbiamo tener calcolo, con particolare interesse, delle notizie che si possono ricavare dalle poesie. Ed anzitutto ci sorprendono le ripetute dichiarazioni e descrizioni della miseria in cui si sarebbe trovato a quel tempo l’autore.
In uno dei sonetti, Bramante, rivolgendosi all’amico Visconti, annuncia il prossimo ritorno da lungo viaggio insino a Nizza, e si descrive tutto rotto negli abiti, malconcio e senza un soldo: in altro sonetto, sotto forma di dialogo, finisce per dichiarare che porta i borzacchini perchè ha le calze rotte: tre sonetti consacra a descrivere, adoperando anche espressioni e frasi volgari, le calze rotte, e conclude col chiederne un pajo.
Per quanto si voglia riconoscere in tali dichiarazioni di miseria l’intervento di una naturale inclinazione alla celia, pure un certo fondamento di verità si fa sentire e ci richiama alla memoria come il discepolo di Bramante, Cesare Cesariano abbia lasciato scritto di lui che «...fu patiente filio di paupertate.»
Questo artista che vediamo prender parte, coll’opera o col consiglio, a molti dei lavori che si compirono in Milano nell’ultimo quarto del secolo XV, incarnando il suo nome nel movimento dell’architettura a quell’epoca, e si presenta stracciato nelle vesti, mostrando le ginocchia, si confessa pidocchioso, non ha un soldo in tasca,
«Deh! tomi un soldo e poi fammi impiccare»
e va mendicando da un amico un pajo di calze, ci lascia un senso di profonda delusione.
Il fine sentimento delle proporzioni, la squisitezza delle decorazioni, la grazia che distingue le opere di questo artista, ci hanno facilmente portati a raffigurarci un Bramante ben diverso da quello che balza fuori della realtà: sfortunatamente tali delusioni non sono rare per chi si addentra alquanto nei particolari degli artisti di quell’epoca, così splendida nelle apparenze. Molti, che nella storia passano come mecenati, non hanno sempre meritato la loro fama. E fra questi si può annoverare quel Lodovico il Moro che pure accolse alla sua Corte tanti artisti.
Come appare da uno dei sonetti, al Bramante sarebbero stati assegnati dalla Corte di Lodovico il Moro, cinque ducati al mese, pari a lire imperiali annue 270; stipendio abbastanza ragguardevole — potendo essere ragguagliato a circa 5000 lire di nostra moneta — tanto più se vi mettiamo a raffronto altri stipendii di quel tempo, come ad esempio quello del Lazzaro Palazzi architetto del Lazzaretto, — di L. 50 imperiali annue. Però lo stesso Bramante ci lascia capire che lo stipendio non gli era pagato molto puntualmente. Anche il pittore Montorfano ebbe ad aspettare mesi e mesi d’esser dalla corte ducale pagato per lavori pei quali aveva tolto a credenza e impignato, così da vedersi infestato da li suoy creditori.
Dai sonetti abbiamo pure indizii di alcuni viaggi fatti da Bramante, ora sulla riviera di Ponente passando per Genova, Savona, Nizza, ora nel Monferrato, ad Asti, Acqui, Alba e Tortona: vi si parla di un passo fra gli Appennini per Pontremoli, di un viaggio a Pavia, probabilmente quello fattovi nel 1488 per invito del cardinale Ascanio: notizie che possono gettare qualche luce sul periodo del soggiorno a Milano di questo artista.
★
Dei ventitrè sonetti che or pubblichiamo, diciasette soli vennero già per le stampe: la Raccolta Milanese del 1756, in varii suoi fascicoli dava, per la prima, nove sonetti di Bramante, togliendoli da un MSS di proprietà di certo Carl’Antonio Tanzi: il Trucchi nel 3° volume della sua raccolta di Poesie inedite di 200 autori — Prato, 1847 — pubblicava 13 sonetti di Bramante, non tutti inediti però, essendochè cinque si trovavano già fra i nove pubblicati dalla Raccolta Milanese: il Trucchi li trascriveva da un Codice Magliabechiano (N. 342)1) accompagnandoli con un breve cenno biografico di Bramante. Non ci consta che siasi pubblicato altro lavoro poetico di Bramante, se si tolga il frammento di Sonetto a coda che il Müntz riportò nel già accennato suo lavoro della Gazette de Beaux-Arts, allo scopo di mostrare come Bramante fosse versato anche nella Mitologia.
Riguardo al MSS Tanzi che servì alla Raccolta Milanese, possiamo dire che conteneva altri sonetti di Bramante, oltre ai nove riportati dalla Raccolta, inquantochè in una nota che accompagna uno di quelli, si dice: «Serbiamo ad altra fiata il far vedere quant’egli (Bramante) valesse anche nello stile faceto» il che accenna alla esistenza, in quel manoscritto, dei sonetti burleschi che la Raccolta però, mancando alla promessa, non pubblicò.
Sappiamo pure che il MSS Tanzi conteneva poesie di Gasparo Visconti, ed altri, come la Raccolta Milanese, nel pubblicarli, accenna.
Siamo indotti a supporre che il MSS fosse da lungo tempo di proprietà Tanzi, ricordando come certo P. Francesco Cornigero Tanzi pubblicasse nel 1493, Le Rime del Mag.o Mess. Gasparo Visconti, e precisamente i Sonetti d’amore, seguiti da un poemetto sulla Fine del Carnovale; il quale Francesco Tanzi, probabilmente, doveva possedere anche altri lavori poetici, come sonetti burleschi, epistolari, ecc., del Visconti, nonchè di altri contemporanei, fra i quali il Bramante.
Due altre Raccolte manoscritte di tali lavori poetici si conoscevano nello scorso secolo. Infatti la Raccolta Milanese, parlando di quella del Tanzi, osserva che è una fedele ed esatta copia di quella magnifica che serbavasi nell’archivio dei C.C.R.R. di S. Paolo in S. Barnaba. L’Argelati ne cita un altro esemplare presso i Nobiliss. March. frat. Visconti.
Quale ventura abbian subìto questi MSS. non sappiamo. Due sono quelli che abbiamo potuto consultare: l’uno è il MSS. Magliabechiano, attualmente alla Biblioteca Nazionale di Firenze, quello che servì per la citata edizione del Trucchi l’altro è il MSS. che si trova alla Biblioteca Nazionale di Parigi sotto il N.o Ital. 1543 manoscritto di 244 fogli, acquistato nel 1869 alla vendita del Sig. H. d. S., e che porta su di una pagina la nota «A dì primo di Setembre 1497 in Taracina.» A tergo della copertina porta stampato il titolo di Proprietà «Comes Donatus Silva» collo stemma di famiglia. Il manoscritto quindi è molto vecchio, ma probabilmente non è alcuno dei 3 che si trovavano in Milano allo scorso secolo. Riscontrando i sonetti riportati della Raccolta con questo manoscritto, possiamo rimarcare una certa corrispondenza ortografica, che non esiste in pari grado con quello di Firenze il quale, assai più recente di quello di Parigi, ci dà una trascrizione non molto attendibile dei sonetti originali del Bramante; tanto che il Trucchi cadde in varie scorrezioni, dovendo al tempo stesso lasciare qualche verso incompleto, per casi di disperata lettura.
Ci siamo attenuti quindi di preferenza al MSS. di Parigi, procurando di trascriverne i 23 sonetti che vi si contengono, nella lor forma genuina, togliendo solo le scorrezioni amanuensi, senza pregiudicare, per quanto ci fu possibile, la fedeltà paleografica. Di qualche parola però non ci fu dato ricavare una interpretazione affatto sicura, e ciò per la difficoltà della scrittura. Riguardo alle due omissioni che il lettore troverà nei due ultimi sonetti burleschi, non possiamo che accampare le medesime ragioni addotte dalla Raccolta Milanese nella stessa circostanza.
Noteremo infine che non ci parve di alcun interesse il presentare i sonetti nell’ordine col quale si leggono nel MSS. di Parigi (ordine che si ritrova identico nel MSS. di Firenze) stimando invece opportuno disporre anzitutto i sonetti d’amore, e raccogliendo alla fine tutti i sonetti burleschi.
Abbiamo poi distinto con un asterisco i sonetti che vengono ora pubblicati per la prima volta.
Note
- ↑ Var. Poes., II, 75. — Bramante da Urbino, Sonetti XXIII quorum postremus inscriptum a Paolo da Taegio a fol. 25 recto ad 31 rectum.