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si compirono in Milano nell’ultimo quarto del secolo XV, incarnando il suo nome nel movimento dell’architettura a quell’epoca, e si presenta stracciato nelle vesti, mostrando le ginocchia, si confessa pidocchioso, non ha un soldo in tasca,
«Deh! tomi un soldo e poi fammi impiccare»
e va mendicando da un amico un pajo di calze, ci lascia un senso di profonda delusione.
Il fine sentimento delle proporzioni, la squisitezza delle decorazioni, la grazia che distingue le opere di questo artista, ci hanno facilmente portati a raffigurarci un Bramante ben diverso da quello che balza fuori della realtà: sfortunatamente tali delusioni non sono rare per chi si addentra alquanto nei particolari degli artisti di quell’epoca, così splendida nelle apparenze. Molti, che nella storia passano come mecenati, non hanno sempre meritato la loro fama. E fra questi si può annoverare quel Lodovico il Moro che pure accolse alla sua Corte tanti artisti.
Come appare da uno dei sonetti, al Bramante sarebbero stati assegnati dalla Corte di Lodovico il Moro, cinque ducati al mese, pari a lire imperiali annue 270; stipendio abbastanza ragguardevole — potendo essere ragguagliato a circa 5000 lire di nostra moneta — tanto più se vi mettiamo a raffronto altri stipendii di quel tempo, come ad