Ben Hur/Libro Ottavo/Capitolo X
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Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
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CAPITOLO X.
Quando la comitiva — Balthasar, Simonide, Ben Hur, Ester e i due fedeli Galilei — giunse sul luogo della crocifissione. Ben Hur ne era alla testa e la guidava. Come aveva potuto farsi strada attraverso la densa calca del popolo agitato, egli non seppe mai; e neppure seppe quale strada avesse seguito. Camminava in uno stato di completa incoscienza, senza vedere, senza udire, senza un pensiero per ciò che avveniva intorno a lui, senza la minima traccia di un proposito nella sua mente.
Un fanciullo non avrebbe potuto fare di meno per impedire il terribile delitto a cui egli doveva assistere. Le intenzioni di Dio ci sono sempre oscure e spesso incomprensibili, e tali sono i mezzi con cui sono messi in attuazione.
Ben Hur si arrestò; coloro che lo seguivano fecero lo stesso. Come si alza il sipario davanti agli spettatori, così la malìa di quel dormiveglia lo abbandonò, ed egli riebbe la chiara percezione delle cose.
Sulla sommità della collina, arrotondata come un teschio, era uno spazio aperto, arido, polveroso, senza traccia di vegetazione. Limitava questa radura una fitta siepe umana, urtata di dietro da una folla tumultuante e curiosa. Una schiera di soldati Romani, disposti in quadrato, teneva a distanza questo muro esterno. Un centurione vegliava sui soldati.
Contro a questo muro rigido Ben Hur era stato sospinto, ed ora sostava, col viso rivolto ad occidente. Quella collina era il Golgota degli antichi Caldei, Calvario in latino e in italiano.
Il suo pendio, con tutti gli avallamenti e tutte le sporgenze del suolo presentavano uno strano spettacolo. Dovunque Ben Hur girava gli occhi, non un palmo di terra, non una roccia, non un filo d’erba, ma solo un mare sterminato di visi umani. Erano i volti di tre milioni d’uomini, e tre milioni di cuori battevano nei loro petti. Ogni occhio era rivolto con appassionato interessamento verso la scena che si svolgeva sulla collina. Indifferenti, quanto ai ladri, tutti erano intenti alla figura del Nazareno, oggetto di odio, di paura e di curiosità, — Egli che tutti li abbracciava col suo affetto e che stava per morire per essi. —
Lo spettacolo di una grande assemblea di persone ha lo stesso fascino straordinario che esercita su di noi il mare agitato; ma Ben Hur degnò la folla di un solo sguardo passeggiero, tutta la sua attenzione essendo attratta a ciò che avveniva nello spazio vuoto prima descritto.
Sulla collina, più alto del muro vivente che lo circondava, attorniato da un gruppo di dignitari, stava il primo sacerdote, distinto dagli altri per la sua mitra, le sue ricche vestimenta e il portamento orgoglioso. Più alto ancora, si scorgeva il Nazareno, curvo e sofferente, ma silenzioso. Una guardia beffarda aggiungendo l’ironia alla corona di spine, gli aveva messo in mano una verga, a guisa di scettro. Il clamore di quelle miriadi di persone giungeva a lui come fiotti di mare che si abbattono ad uno scoglio. Risa, urla, maledizioni, piovevano da ogni parte, e tutti gli occhi erano rivolti a lui.
Fosse la pietà che lo commoveva, o un altro sentimento, Ben Hur si avvide che un mutamento avveniva nel suo interno. Più chiara e più nitida di mano in mano che vi pensava, cominciava ad albeggiare nella sua mente la percezione di qualche cosa di più grande e migliore di questa vita, di qualche cosa di tanto elevato, che poteva dare ad un corpo debole la forza di sopportare le maggiori agonie sì morali che fisiche, e tali da rendere fine la morte accetta — forse un’altra vita più pura di questa, forse quella vita spirituale a cui Balthasar credeva. Questo concetto si faceva strada in lui, insieme all’altro suo corollario, che, dopo tutto, la missione del Nazareno era quella di una guida attraverso il confine che separava i suoi fedeli dal regno celeste. Allora, come un ricordo che sorga indistinto da dimenticate profondità, gli parve di udire nell’aria il detto del Nazareno.
— «IO SONO LA RESURREZIONE E LA VITA,» —
Queste parole continuavano a ripertersi nelle sue orecchie, prendevano forma e consistenza, ed assumevano un nuovo significato. E come gli uomini ripetono una domanda per meglio afferrare e fissarne la portata, egli chiese, guardando la figura sulla collina, curva sotto il peso della croce: — «Chi è la Resurrezione? Chi è la Vita?» —
— «IO LO SONO,» —
sembrava rispondergli la figura — e subito una ineffabile pace gli si diffuse nel cuore, una pace ch’egli non aveva mai provato — la pace che segna il termine e lo svanire di ogni dubbio e di ogni mistero, e il principio di una fede nuova, di una più limpida conoscenza.
Da questo stato di estasi Ben Hur fu destato dal rumore di colpi di martello. Sul vertice del colle egli osservò ciò che prima gli era sfuggito: — alcuni soldati ed operai che preparavano le croci. I buchi per affondare gli alberi erano pronti, ed ora stavano inchiodando le travi orizzontali.
— «Ordina a quegli uomini di spicciarsi» — disse il Primo Sacerdote al centurione. — «Questi» — indicando al Nazareno — «deve esser morto e seppellito prima del tramonto, affinchè la terra non sia profanata. Così dice la legge.» —
Preso da un senso di compassione, un soldato si avvicinò al Nazareno e gli offrì da bere, ma egli rifiutò la coppa. Quindi un altro andò a lui e gli tolse dal collo l’asse con l’iscrizione, e la inchiodò all’albero della croce. I preparativi erano completi.
— «Le croci sono pronte» — disse il centurione al pontefice, che con un gesto della mano rispose:
— «Venga prima il bestemmiatore. Il figlio di Dio dovrebbe esser capace di salvarsi. Vedremo.» —
Il popolo, al quale i preparativi erano chiaramente visibili, e che fin qui aveva assalito il colle con un clamore continuo di urli e di fischi, tacque.
La parte più terribile del supplizio stava per cominciare — gli uomini dovevano venire inchiodati sulle croci. Quando i soldati afferrarono il Nazareno a questo scopo, un fremito corse nella folla, e i più abbrutiti provarono un senso di terrore. Alcuni dissero poi che l’aria era diventata più gelida e li aveva fatti tremare.
— «Come tutto è tranquillo!» — disse Ester, cingendo il collo del padre con le sue braccia.
Ricordando la tortura che egli stesso aveva sofferto, il vecchio si strinse al petto la figliuola, dicendo con voce tremante:
— «Non guardare, Ester, non guardare! Forse tutti noi, spettatori di questa scena, gli innocenti come i rei, saremo maledetti da quest’ora.» —
Balthasar cadde in ginocchio.
— «Figlio di Hur» — disse Simonide con crescente agitazione — «figlio di Hur, se Jeova non s’affretta a stendere la sua mano, Israele, tutti noi siamo perduti.» —
Ben Hur rispose con calma: — «Simonide, io mi sono destato da un lungo sonno, e, come in sogno, mi sono apparse le ragioni per cui questo si compie, e si deve compiere. E’ la volontà del Nazareno, è la volontà di Dio. Seguiamo l’esempio del buon Egiziano, e preghiamo in silenzio.» —
E quando sollevò gli occhi verso la collina, di nuovo gli giunsero, attraverso l’aria tranquilla, le parole:
IO SONO LA RESURREZIONE E LA VITA.
Ed egli chinò il capo riverente, come davanti ad uno che gli parlasse.
Intanto sulla sommità del poggio il lavoro continuava. Una guardia tolse le vesti al Nazareno, dimodochè rimase nudo al cospetto dei milioni di spettatori assiepati sul Golgota. I segni della flagellazione che aveva ricevuto quella mattina rosseggiavano sanguigni sulla sua schiena; nondimeno fu brutalmente gettato a terra e disteso sulla croce, e le braccia aperte sulla sbarra trasversale; i chiodi erano acuti, e in pochi colpi furono cacciati attraverso le scarne palme; quindi gli alzarono le ginocchia fin che le piante dei piedi riposavano sull’albero della croce, indi sovrapposero un piede all’altro, e con un chiodo li fissarono entrambi al legno. Il sordo rumore dei martelli si udiva a grande distanza, in quel terribile silenzio, e anche coloro che non l’intesero ma vedevano il martello sollevarsi e cadere, ebbero un brivido di paura. E con tutto ciò non un grido, non un lamento, non una parola d’ira o di dolore sfuggì al paziente; nulla per cui un nemico potesse beffeggiarlo, nulla che un suo fedele potesse rimpiangere.
— «Da che parte vuoi che lo si rivolga?» — chiese un soldato bruscamente. — «Verso il Tempio» — rispose il pontefice. — «Ch’egli veda morendo la santa casa che egli ha voluto profanare.» —
Gli operai sollevarono la croce e la portarono di peso sul luogo dove doveva esser piantata. Ad un cenno del pontefice, la lasciarono cadere nella buca; e il corpo del Nazareno cadde anch’egli pesantemente, e rimase appeso alle mani sanguinanti. Ma neppure allora gli sfuggì un grido, solo la frase sublime:
— «Padre, perdona ad essi, perchè non sanno quello che fanno.» —
La croce, innalzata sopra tutti gli altri oggetti vicini, risaltava nera contro lo sfondo del cielo, e al suo apparire fu accolta con un urlo di gioia selvaggia. Tutti quelli che potevano vedere e leggere l’inscrizione sull’asse, sopra il capo del Nazareno, la ripetevano ad alta voce, e passando di bocca in bocca fino agli estremi confini della folla, tosto tutta l’aria risuonò del grido beffardo e fatidico — «Re degli Ebrei! Salve, Re degli Ebrei!» —
Il pontefice, con più fine intuito, comprese quale significato si sarebbe potuto dare all’iscrizione, e protestò affinchè la levassero, ma invano. Così il Re, col titolo che gli era dovuto, guardò con gli occhi moribondi la città dei suoi padri, tranquillamente stesa ai suoi piedi, essa — che con tanta ignominia lo aveva cacciato e rinnegato.
Il sole era già alto in cielo, e i suoi raggi ardenti tingevano d’oro le sommità delle colline, e di porpora le vette delle montagne lontane. Nella città, i templi, i palazzi, le torri, le guglie ed i pinnacoli sembravano sollevarsi orgogliosamente verso il cielo, consci del loro splendore e della loro inarrivabile magnificenza. Improvvisamente un leggiero velo sembrò scendere dall’alto e avviluppare la terra, dapprima come un impercettibile svanire del giorno, indi come un crepuscolo precoce; poi si fece più denso e cominciò ad attirare l’attenzione degli spettatori, sì che tacquero le grida e si spensero le risa, e gli uomini, dubitando dei loro sensi, si fissavano in viso l’un l’altro; poi guardarono di nuovo il sole, poi le montagne che sembravano allontanarsi, e il cielo che l’ombra cominciava a coprire, poi la collina dove si svolgeva il triste dramma. Dall’uno all’altro oggetto si volgevano i loro sguardi, attoniti, pieni di una ignota paura.
— «Non è che un po’ di nebbia, o una nube passeggiera» — disse Simonide, cercando di calmare Ester, che s’era spaventata. — «Passerà quanto prima.» —
Ben Hur la pensava diversamente.
— «Non è nebbia, nè una nuvola» — egli disse. — «Gli spiriti dell’aria, i santi ed i profeti, cercano di nascondere l’obbrobrio di questa scena. Io ti dico, o Simonide, che com’è vero che esiste Dio, quello che pende colà è il figlio di Dio.» —
E mentre Simonide rifletteva, stupito, sopra quelle parole, Ben Hur si avvicinò a Balthasar, inginocchiato lì presso, e gli pose una mano sulla spalla.
— «O saggio Egiziano, ascolta! Tu solo avevi ragione! Il Nazareno è davvero il Figlio di Dio.» —
Balthasar rispose con voce fioca: — «Io lo vidi tenero fanciullo nella greppia; non è strano ch’io l’abbia riconosciuto prima di te. Ma perchè doveva io vedere questo giorno? Oh se fossi morto come i miei compagni! Felice Melchiorre! Felice Gaspare!» —
— «Ti conforta!» — disse Ben Hur. — «Senza dubbio anch’essi sono qui.» —
L’oscurità si faceva d’istante in istante più fitta, senza che perciò il lavoro sul poggio venisse interrotto. Uno dopo l’altro, i due ladri vennero inchiodati sulle loro croci, e queste infisse nel terreno. Quindi la guardia si ritirò, e il popolo, come un’onda che salga e converga da tutte le parti, si spinse fin sotto le croci. Risa di scherno e motteggi beffardi salivano contro il Nazareno.
— «Ah, ah! Salvati, se sei Re degli Ebrei!» — gridò un soldato.
— «Sì» — disse un sacerdote — «se egli discenderà ora, noi gli crederemo.» —
Altri crollarono il capo sapientemente, dicendo: — «Egli potrebbe distruggere il Tempio e riedificarlo in tre giorni, ma non può salvar sè stesso.» —
Nessuno ha mai saputo valutare l’oscura potenza del pregiudizio. Il Nazareno non aveva mai fatto male al popolo, anzi lo aveva aiutato in più d’un caso; molti lo vedevano allora per la prima volta, eppure, strana contraddizione! lo colmavano di insulti e di maledizioni, e compiangevano invece i due ladri.
Le tenebre, che scendevano sempre più dense, spaventarono Ester, come atterrivano le altre migliaia di spettatori, più coraggiosi è più forti di lei.
— «Andiamo a casa» — essa supplicò due, tre, volte. — «Questa è la minaccia di Dio, padre. Chi sa che terribili cose potranno accadere? Io ho paura.» —
Simonide era ostinato. Parlava poco, ma appariva assai agitato. Osservando che sulla fine della prima ora la calca intorno alle croci era alquanto diminuita, suggerì che la comitiva si avvicinasse alla sommità. Ben Hur offrì il braccio a Balthasar, ma l’Egiziano compì la salita senza difficoltà. Dalla loro nuova posizione, il Nazareno non era chiaramente visibile, scorgendosi solo un’indistinta figura sospesa. Ma lo potevano udire, udivano i suoi sospiri che rivelavano un esaurimento maggiore che non quello dei suoi compagni, i quali di tanto in tanto riempivano l’aria di lunghi gemiti ed urli.
La second’ora passò come la prima. Per il Nazareno furono ore di contumelie, di provocazione e di lenta morte. Egli non parlò che una sola volta in questo intervallo. Alcune donne vennero ad inginocchiarsi ai piedi della sua croce. Fra di esse egli riconobbe sua madre in compagnia del proprio discepolo favorito.
— «Donna,» — egli disse alzando il capo — «guarda tuo figlio!» — E al discepolo: — «Guarda tua madre!» —
Giunse la terza ora e ancora il popolo s’assiepava intorno al colle, attratto da una forza misteriosa. Ma era più tranquillo ora; solo ad intervalli si udiva nell’oscurità qualche grido. Avvicinandosi al Nazareno passavano in silenzio, e in silenzio lo fissavano negli occhi. Questo cambiamento s’era esteso anche alle guardie, che solo poco tempo prima avevano giuocato a sorte le vesti del crocifisso; soldati ed ufficiali stavano ora in un piccolo gruppo in disparte, vigili più di quell’uno condannato, che non di tutta la moltitudine; se un sospiro gli sfuggiva dalle labbra, se in un parossismo di dolore, moveva la testa, erano subito all’erta. Più meraviglioso di tutti era il mutato portamento del Primo Sacerdote e del suo seguito, i dottori che lo avevano assistito nel giudizio notturno ed erano stati i più zelanti persecutori della vittima. Quando cadde l’oscurità, cominciarono a smarrirsi d’animo. V’erano fra essi alcuni, profondamente versati in astronomia e famigliari coi fenomeni celesti in quei tempi così terribili alle masse; gran parte della loro scienza era ad essi discesa dai loro padri remoti, vissuti prima ancora della Cattività, e nel servizio del Tempio avevano avuto spesso occasione di applicarla. Questi, quando il sole cominciò a spegnersi e le montagne ed i colli si dileguarono alla vista, si raccolsero in gruppo intorno al Pontefice, discutendo sul fenomeno. — «La luna è piena,» — dicevano — «e questa non può essere un eclissi.» — Poi, non potendo nessuno rispondere alla domanda che tutti li agitava, non riuscendo nessuno a spiegare la crescente oscurità, nel secreto dei loro cuori cominciarono a connetterla col Nazareno, e un grande terrore li prese. Rannicchiati dietro ai soldati, intenti ad ogni movimento e spiando ogni parola del Nazareno, dicevano a bassa voce: — «Quell’uomo potrebbe essere il Messia, e allora...» —
Nel frattempo. Ben Hur, cui quel nuovo sentimento di pace non aveva abbandonato, pregava a che la fine si accelerasse. Egli comprendeva lo stato d’animo di Simonide, in cui la fede lottava col dubbio; vedeva la grande fronte corrugata nello sforzo del pensiero, lo vedeva gettare sguardi interrogativi al sole, come se cercasse la ragione di quelle tenebre. E neppure gli sfuggiva la sollecitudine con cui Ester lo guardava, cercando di soffocare i suoi timori per accondiscendere ai desideri del padre.
— «Non aver paura» — diceva Simonide a lei, — ma sta attenta con me. Tu potrai vivere due volte la durata della mia vita, ma tu non vedrai mai una meraviglia maggiore. Fermiamoci sino alla fine, forse verranno altre rivelazioni.» —
Quando la terza ora era trascorsa a metà, alcuni uomini, miserabili della più bassa specie, abitatori delle tombe fuori della città, vennero a piantarsi davanti alla croce centrale.
— «Eccolo» — disse uno — «ecco il nuovo Re degli Ebrei.» —
Gli altri gridarono, ridendo: — «Salve, salve. Re degli Ebrei!» —
— «Se tu sei veramente Re dei Giudei, o Figlio di Dio, discendi» — dissero ad alta voce.
Al che uno dei ladri cessò di lamentarsi, e gridò al Nazareno: — «Sì, se tu sei Cristo, salva te stesso e noi.» —
Il popolo rise ed applaudì; ma mentre aspettavano la risposta, si udì l’altro malfattore dire al primo: — «Non temi tu Dio? Noi abbiamo ricevuto il giusto castigo dei nostri misfatti; ma quest’uomo non ha fatto nulla di male.» —
Gli spettatori rimasero stupiti, e nel silenzio che seguì, il secondo malfattore parlò ancora, rivolgendosi al Nazareno:
— «O Signore,» — egli disse — «ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!» —
Simonide trasalì. — «Quando entrerai nel tuo regno!» — Era proprio questo il dubbio che angosciava la sua mente in quell’istante, il dubbio di cui tanto aveva discusso con Balthasar.
— «Hai udito?» — gli disse Ben Hur. — «Il regno non può essere di questa terra. Quel testimonio, sulla soglia della tomba, affermò che il Re prenderà possesso del suo regno, e lo stesso ho udito io nei miei sogni.» —
— «Silenzio!» — disse Simonide, con tono imperioso.
— «Taci, ti prego! Se il Nazareno rispondesse...» —
E mentre parlava, il Nazareno rispose, e con voce chiara e limpida disse:
— «Veramente io ti dico che tu oggi sarai con me in Paradiso.» —
Simonide giunse le mani e disse: — «Non più, non più, mio Dio! Le tenebre sono disperse; io vedo con altri occhi — come Balthasar, vedo con gli occhi della vera fede!» —
Finalmente il vecchio servitore aveva conseguito la meritata ricompensa. Il suo corpo rotto dalla tortura non sarebbe mai più guarito, e la memoria delle passate sofferenze rimarrebbe incancellabile; ma improvvisamente una nuova vita gli appariva, più bella di questa terrena — e il suo nome era: Paradiso. Là egli avrebbe trovato il Regno che sognava, e il Re per cui aveva lavorato. Una grande pace lo invase.
Ma fra i dottori e i sacerdoti ai piedi della croce regnava la costernazione e lo spavento. Essi avevano condannato il Nazareno per aver predicato in tutto il paese che egli era il Messia; ed ecco, che sulla croce, con maggior sicurezza che mai, non solo egli aveva riaffermato la sua missione, ma prometteva il godimento del suo regno ad un malfattore. Essi tremarono davanti alle conseguenze del loro atto. Lo stesso superbo pontefice ebbe paura. Donde traeva quell’uomo la sua convinzione se non dalla verità! E da chi la verità se non da Dio?
Il respiro del Nazareno diventava più affannoso: i suoi sospiri erano rantoli. Solo tre ore sulla croce, e stava già per morire!
La notizia corse di bocca in bocca e tutti tacquero; il vento cessò di soffiare, un’afa soffocante era nell’aria e si aggiungeva all’oscurità.
Nessuno che non lo avesse saputo, avrebbe detto che sul pendio di quella collina vi erano tre milioni di persone atterrite — così tranquille se ne stavano.
Attraverso le tenebre, sopra il capo ai più vicini, venne il grido di disperazione, se non di rimprovero del moribondo:
— «Mio Dio! Mio Dio! Perchè mi hai tu abbandonato?» —
La voce fece trasalire quanti la udirono, Ben Hur ne fu irresistibilmente commosso.
I soldati avevano portato con sé un recipiente di vino e di acqua, e lo avevano collocato a poca distanza dalla croce. Con una spugna immersa nel liquido, e attaccata all’estremità di un bastone, essi potevano inumidire la lingua dei torturati. Ben Hur pensò al sorso d’acqua ch’egli aveva ricevuto alla fontana di Nazareth; un impulso lo assalì; afferrando la spugna, la tuffò nel recipiente, e corse verso la croce.
— «Lascialo stare» — gridò il popolo con collera — «lascialo stare!» —
Senza badare alle grida, egli continuò, e bagnò le labbra al Nazareno.
Troppo tardi, troppo tardi!
Tuttavia il volto, chiaramente visibile a Ben Hur, bruttato com’era dal sangue e dalla polvere, si illuminò di un subito sorriso; gli occhi si spalancarono, e si fissarono su un punto che essi soltanto vedevano lontano nel cielo; e un grido di gioia, di trionfo quasi, sfuggì dalle labbra della vittima.
— «E’ finito! E’ finito!» —
Così un eroe, morendo, celebra con un ultimo urrà l’estrema impresa.
La luce degli occhi si spense; lentamente la testa incoronata cadde sul petto ansante. Ben Hur credette che tutto fosse finito; ma la grande anima si raccolse in un ultimo sforzo; sicchè egli, e quelli che gli stavano vicino poterono udire le parole estreme, pronunciate a bassa voce, come ad uno che stesse ad ascoltarle lì presso:
— «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito» —
Un fremito scosse le membra martirizzate; vi fu un grido di terribile angoscia, e la sua missione, e la sua vita erano terminate. Il suo gran cuore, così traboccante d’affetto, s’era spezzato. Perchè di questo o lettore, quell’uomo morì!
Ben Hur ritornò presso gli amici e disse semplicemente: — «E’ finito. Egli è morto. —
In un attimo la moltitudine seppe la nuova; ma nessuno la ripetè ad alta voce; non si sentì che un lungo sommesso mormorio che si propagò in ogni direzione: — «Egli è morto! Egli è morto!» — La volontà del popolo era fatta; il Nazareno era morto; ma ogni viso guardava il suo vicino con terrore. Il sangue di lui ricadrebbe sul loro capo! E mentre essi si fissavano l’un l’altro, il suolo cominciò a tremare, e un urlo di spavento uscì da ogni bocca. Tosto l’oscurità si dissipò, e alla chiara luce del sole ricomparso, ognuno col medesimo sguardo vide le croci vacillare sotto la scossa del terremoto. Quella di mezzo sembrava inalzarsi gigante sopra le altre, come volesse sollevare il suo peso verso il cielo. E tutti coloro che avevano vilipeso il Nazareno, tutti quelli che lo avevano battuto, tutti quelli che lo avevano condannato alla croce, tutti quelli che nel profondo del cuore lo volevano morto, si sentivano personalmente additati all’ira Divina, e minacciati dal cielo.
Allora cominciò una pazza fuga di uomini, a piedi, a cavallo, su cammelli e su cocchi; e, come se la natura fosse adirata contro di essi, e volesse essa medesima assumere la difesa e la vendetta della vittima innocente, l’onda del terremoto li inseguì, facendo traballare la terra sotto i loro piedi, gettandoli l’uno contro l’altro, urlanti per folle terrore. Il suo sangue ricadeva sul loro capo! Cittadini e forestieri, sacerdoti e laici, mendicanti. Sadducei, Farisei si urtavano, si percotevano nella loro corsa disperata. Se essi imploravano il nome di Dio, la terra, rispondeva all’oltraggio con nuovi scoppi di furore, colpendo tutti senza distinzione. Il gran Sacerdote fu gettato a terra come gli altri, le sue splendide vesti imbrattate, la sua bocca riempita di polvere. Egli e il suo popolo erano uguali in una cosa almeno: Il sangue del Nazareno era sul capo di entrambi.
Quando il sole riapparve sulla scena della crocefissione, la madre del Nazareno, il discepolo e le donne di Galilea, il centurione coi suoi soldati, e Ben Hur e la sua compagnia, erano i soli rimasti sulla collina. Essi non avevano badato alla fuga generale, troppo occupati nel provvedere alla propria salvezza.
— «Siediti qui» — disse Ben Hur ad Ester, obbligandola a sedere ai piedi del padre. — «Ora copriti gli occhi, e non guardare; ma poni tutta la tua fiducia in Dio — e nell’anima dell’uomo, così ingiustamente assassinato.» —
— «No,» — disse Simonide con riverenza. — «D’ora innanzi parliamo di lui come del Cristo» —
— «Sia» — disse Ben Hur.
In questa un onda di terremoto urtò la collina. Le urla dei ladri sulle croci barcollanti erano terribili. Quantunque stordito dai movimenti del suolo, Ben Hur trovò tempo di dare uno sguardo a Balthasar, e lo vide disteso a terra e immobile. Egli si piegò su di lui, lo chiamò — non rispose. Il buon uomo era morto! Allora Ben Hur si ricordò di aver udito un grido, quasi in risposta all’estremo appello del Nazareno; Egli non s’era voltato per veder d’onde procedesse; ma, fino all’ultimo giorno di sua vita serbò la convinzione che lo spirito dell’Egiziano avesse accompagnato il suo Maestro alla soglia del Regno Promesso. Quest’idea non riposava soltanto sul grido che aveva udito. Se la fede fu meritata ricompensa nella persona di Gaspare, e l’amore in quella di Melchiorre, era giusto che colui che nella sua vita così nobilmente aveva compenetrato ed illustrato le tre virtù riunite — Fede, Amore e Buone opere, fosse stato prescelto per un premio maggiore.
I servitori di Balthasar avevano abbandonato il loro padrone; e, quando tutto fu finito, i due Galilei riportarono alla città il vecchio nella sua lettiga, come in una bara.
Era una triste processione quella che entrò nella porta meridionale del palazzo dei Hur, al tramonto di quella memorabile giornata. Circa alla stessa ora il corpo di Cristo fu levato dalla croce.
Le spoglie di Balthasar furono deposte nella stanza degli ospiti.
Tutti i servitori lo attorniarono piangendo, perchè tutti lo avevano amato in vita; ma quando videro il suo viso composto ad un sorriso di ineffabile beatitudine, asciugarono le lacrime e dissero: — «Sta bene — Egli è più felice stasera, che non lo fosse quando uscì stamattina.» —
Ben Hur non volle confidare ad un domestico il compito di partecipare ad Iras la morte del padre. Andò egli stesso per condurla presso il cadavere. Egli s’immaginava il dolore della giovane, lasciata ormai sola nel mondo; era questo un momento di oblìo e di perdono.
Si ricordò che non aveva chiesto perchè essa non aveva fatto parte della comitiva quel mattino, e dove fosse; si ricordò che non aveva nemmeno pensato a lei, e riflettendo con rimorso a questa dimenticanza, era disposto a far pace, anche in vista del grande dolore che veniva ad arrecarle.
Egli scosse le tende della sua porta; e quantunque udisse il tintinnire dei campanelli, nell’interno, non ebbe nessuna risposta; la chiamò per nome, ad alta voce — nessuno rispose. Sospinse la portiera, ed entrò nella stanza. Essa non c’era. Salì rapidamente sul terrazzo, ma non la trovò. Interrogati i domestici, seppe che non era stata veduta in tutta la giornata.
Dopo avere invano frugato in ogni angolo della casa, Ben Hur ritornò nella stanza degli ospiti e prese il posto che sarebbe spettato alla figlia, vicino al corpo del genitore. Il suo cuore era pieno della bontà di Cristo, che sulla soglia del paradiso aveva voluto chiamare a sè l’anima del suo vecchio e fedele servitore.
Quando il lutto del funerale era già quasi dissipato, al nono giorno della guarigione, come prescriveva la legge. Ben Hur ricondusse a casa la madre e Tirzah; e da quel giorno, i due maggiori, nomi che la lingua umana sappia pronunciare, furono sempre riverentemente accoppiati,
— «DIO PADRE E CRISTO FIGLIO» —
Cinque anni erano trascorsi dal giorno della crocefissione, ed Ester, la moglie di Ben Hur, sedeva nella sua stanza nella bellissima villa di Miseno. Era un caldo pomeriggio di primavera e il sole d’Italia splendeva fervido sopra i mirti e le rose del giardino. Tutto quanto l’appartamento era Romano, solo l’abbigliamento di Ester era di foggia Ebraica, Tirzah e due fanciulli, che giocavano sopra una pelle di leone sul pavimento, le tenevano compagnia, e non si aveva che ad osservare con quale cura essa vegliava sopra i piccini, per conoscere che quelli erano suoi figli.
Il tempo era stato generoso con essa, e gli anni non avevano diminuita la sua bellezza. Nel diventare padrona della villa, aveva attuato uno dei suoi sogni più cari.
Ad interrompere questa semplice scena domestica, un servitore apparve sull’uscio e disse:
— «Una donna nell’atrio desidera di parlare con la padrona.» —
— «Lasciala entrare. La riceverò qui.» —
Dopo pochi istanti comparve la straniera. Nel vederla, l’Ebrea si alzò e stava per parlare; poi esitò, cambiò colore, e finalmente disse, tirandosi indietro: — «Mi pare di riconoscervi, buona donna — siete....» —
— «Iras, la figlia di Balthasar.» —
Ester celò la sua sorpresa, ed ordinò al domestico di portare una sedia.
— «No,» — disse Iras, freddamente — «parto subito.» —
Le due donne si guardarono in viso. Sappiamo ciò che fosse Ester — una bellissima donna, una madre felice, una sposa contenta. D’altra parte era chiaro che la sorte non aveva trattato con egual favore la sua antica rivale. La figura alta e slanciata riteneva ancora parte della sua grazia; ma una vita cattiva aveva impresso le sue traccie su tutta la persona. Il viso s’era fatto volgare; i grandi occhi erano rossi, e gonfie le palpebre; le guancie erano pallide ed infossate, le labbra dure e ciniche, e la generale trascuratezza la invecchiarono anzi tempo. La veste era laida e bruttata dal fango, della via. Iras ruppe per prima il silenzio penoso.
— «Sono questi i tuoi bimbi?» —
Ester li guardò e sorrise.
— «Sì. Vuoi parlare con essi?» —
— «Li spaventerei» — rispose Iras. Poi si avvicinò ad Ester, e vedendola indietreggiare lievemente, disse, — «Non aver paura. Io reco un messaggio per tuo marito. Digli che il suo nemico è morto, e che, per la miseria che mi ha fatto soffrire, io l’uccisi.» —
— «Il suo nemico?» —
— «Messala. Digli inoltre, che per il male che io gli ho voluto sono stata punita così amaramente, che anch’egli ne avrebbe compassione.» —
Le lacrime spuntarono negli occhi di Ester, ed essa voleva parlare.
— «No» — disse Iras. — «Io non voglio nè pietà nè lacrime. Digli in ultimo che ho fatto la scoperta che l’essere Romano equivale ad essere bruto. Addio.» — Essa fece per andarsene. Ester la trattenne:
— «Fermati, e parla con mio marito. Egli non nutre rancore contro di te. Egli sarà tuo amico. — Noi siamo Cristiani.» —
L’altra rimase ferma.
— «No; io sono ciò che ho voluto essere. Fra breve tutto sarà terminato.» —
— «Ma...» — disse Ester, esitando — «Non possiamo... Non c’è nulla che desidereresti... nulla che...» —
Il volto dell’Egiziana tradì la sua commozione, e l’ombra di un sorriso le sfiorò le labbra. Essa guardò i fanciulli sul pavimento.
— «Vi è qualchecosa» — disse.
Ester seguì la direzione del suo sguardo, e con rapido intuito, comprese, e disse:
— «Puoi farlo.» —
Iras si avvicinò ad essi, e inginocchiandosi sulla pelle di leone, li baciò entrambi. Alzandosi lentamente, li guardò ancora; poi andò verso la porta ed uscì, e senza una parola d’addio, camminando rapidamente, prima che Ester si decidesse a seguirla, era sparita.
Ben Hur, quando intese della visita, ebbe la prova di ciò che aveva sospettato da lungo tempo, che cioè il giorno della crocefissione, Iras aveva abbandonato suo padre per gettarsi nelle braccia di Messala. Ciò non ostante, egli uscì subito coi suoi servi e frugò la contrada, in cerca di lei, ma invano. La baia azzurra che ride così innocente sotto i baci del sole, cela oscuri segreti. Se potesse parlare, ci saprebbe narrare la fine dell’Egiziana.
Simonide visse fino a tarda età. Nel decimo anno del regno di Nerone, egli abbandonò la direzione della sua colossale azienda di Antiochia. Fino all’ultimo il suo commercio fu prosperoso.
Una sera di quell’anno, egli sedeva nella sua poltrona sul terrazzo del magazzeno. Ben Hur ed Ester coi loro tre bambini erano con lui. L’ultima delle sue navi galleggiava nella rada del fiume; tutte le altre erano state vendute. Dall’epoca della crocefissione, un solo grande dolore aveva turbato la calma serenità della loro vita, — il giorno che morì la madre di Ben Hur; ed anche allora il lutto sarebbe stato maggiore, senza il conforto della loro fede Cristiana.
La nave menzionata era arrivata il giorno precedente da Roma, recando la notizia delle persecuzioni dei Cristiani cominciate da Nerone nella capitale, e il crocchio sopra il terrazzo stava discutendo la nuova, quando Malluch, che si trovava ancora al loro servizio, si avvicinò, presentando un plico a Ben Hur.
— «Chi lo porta?» — chiese Ben Hur, dopo aver letto.
— «Un Arabo.» —
— «Dov’è?» —
— «E’ partito subito.» —
— «Ascolta!» — disse Ben Hur a Simonide.
E lesse la seguente lettera.
— «Io, Ilderim, figlio di Ilderim il Generoso, e sceicco della tribù di Ilderim, a Giuda, figlio di Hur.
Sappi, o amico di mio padre, quanto mio padre ti amava. Leggi lo scritto che io t’accludo, e saprai. La sua volontà è la mia; quindi ciò ch’egli ti diede, è tuo.
Tutto quanto i Parti gli tolsero nella grande battaglia in cui lo uccisero, io ho ripreso — questo scritto fra le altre cose, e la vendetta, e tutta la discendenza di quella Mira, che ai suoi tempi fu madre di altrettante stelle.
Pace sia con te e coi tuoi.
La voce del deserto è la voce di
ILDERIM, Sceicco.» —
Ben Hur svolse un rotolo di papiro ingiallito come un’avvizzita foglia di gelso, e lo spiegò con la massima cura. Poi lesse:
— «Ilderim, chiamato il Generoso, sceicco della tribù di Ilderim, al mio figlio e successore.
Tutto ciò ch’io posseggo, o mio figlio, sarà tuo, al giorno della mia morte, eccettuata la proprietà presso Antiochia, conosciuta sotto il nome di Orto delle Palme. Questa io lascio al figlio di Hur che tanta gloria ci procurò nel Circo — a lui ed ai suoi in eterno.
Non disonorare tuo padre.
ILDERIM il GENEROSO, Sceicco.» —
— «Che ne dici?» — chiese Ben Hur a Simonide.
Ester prese con gioia le carte, e le rilesse a bassa voce. Simonide rimase silenzioso. I suoi occhi erano fissi sulla nave, ed egli stava pensando. Finalmente parlò. — «Figlio di Hur» — egli disse con gravità. — «Il signore è stato molto buono con te in questi ultimi anni, e tu gli devi profonda riconoscenza. Non è giunto il tempo finalmente di decidere a quale scopo dobbiamo volgere la grande fortuna che la sua bontà ha voluto accumulare nelle tue mani?» —
— «Io l’ho deciso da molto tempo. La fortuna fu concessa perchè servisse a chi la diede; non una parte di essa, Simonide, ma tutta. Il problema sta soltanto in questi termini: Qual’è il miglior modo di metterla a profitto della nostra causa? Consigliami, ti prego.» —
Simonide rispose:
— «Io posso attestare alle ingenti somme che tu hai elargito alla Chiesa qui in Antiochia. Ora, quasi contemporaneamente al dono del generoso sceicco, arriva la notizia delle persecuzioni dei nostri fratelli in Roma. Un nuovo orizzonte ci si schiude dinanzi. La luce non deve spegnersi nella capitale.» —
— «Dimmi che cosa devo fare per ravvivarla.» —
— «Te lo dirò. I Romani, anche questo Nerone, tengono due cose per sacre — le sole che io sappia. — Esse sono le ceneri dei morti, ed i sepolcri. — Se non puoi costruire templi pel Signore sopra il suolo, fabbricali sotto terra, e per salvarli dalla profanazione, sepellisci in essi i cadaveri di tutti coloro che muoiono nella vera fede.» —
Ben Hur balzò in piedi, ed esclamò commosso:
— «E’ un’idea grandiosa! Non porrò tempo in mezzo per attuarla. La necessità è urgente. La nave che recò la notizia dei patimenti dei nostri confratelli, mi porterà a Roma. Io partirò domani,» —
Si rivolse a Malluch.
— «Attendi all’allestimento della galera, e fa ch’essa sia pronta per domattina. Tu m’accompagnerai.» —
— «Sta bene» — disse Simonide.
— «E tu, Ester, che ne dici?» — chiese Ben Hur.
Ester gli si strinse al fianco, e pose una mano sulla sua spalla.
— «Questo è il miglior modo per servir Cristo. O mio marito, io non ti voglio essere di ostacolo, ma lasciami partire con te, onde ti aiuti.» —
Se qualcheduno dei miei lettori, di passaggio a Roma, visiterà le Catacombe di San Calisto, che sono più antiche di quelle di San Sebastiano, egli vedrà ciò che avvenne della fortuna di Ben Hur, e lo ringrazierà. Da quella vasta tomba uscì il Cristianesimo a soppiantare i Cesari.
Fine dell’ottavo ed ultimo libro.