Baby (Rovetta)/X
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X.
Ma poi, Andrea di Santasillia, come succede quasi sempre in simili casi, invece di fuggire rimase a Verona e continuò a vedere la Contessina.
Non c’è coscienza quanto quella degli innamorati che sia facile alle transazioni e feconda di scuse.
Infine, pensava Andrea, acquietandosi, la povera Adele sarebbe sempre stata il suo unico e santo ideale. Nessun altro sentimento avrebbe potuto distoglierlo dalla sacra promessa. Egli doveva essere e sarebbe rimasto per tutta la vita lo sposo, il fidanzato fedele della vergine cara indimenticabile. Sì, egli sentiva, e adesso non dovea più arrossire confessandolo come fosse una colpa, sentiva di volere un poco di bene anche a sua cugina; ma questo affetto era di tutt’altra natura. Era la dolce confidenza di una amicizia quasi fraterna; era una simpatia intellettuale; era il conforto, ma non era l’oblìo dei suoi dolori. Dunque perchè fuggire?... Perchè non dovea più vedere la Castelguelfo, dal momento che quegli scrupoli erano esagerati? E, adesso, pensandoci meglio, si persuadeva anche di non essere geloso della Contessina. Gli seccavano tutti i corteggiatori che le stavano appresso, perchè non erano punto divertenti; perchè erano vuoti e banali. Se invece fossero state persone di spirito, li avrebbe veduti volentieri e si sarebbe goduto in loro compagnia!... In quanto al Damonte poi, l’esserne geloso, era addirittura una ridicolaggine... La Castelguelfo non faceva altro che metterlo in burletta!... — È vero; si era offeso e irritato udendo i pettegolezzi della Giustiniani; ma soltanto perchè gli premeva il buon nome di sua cugina, e non per altro. Tuttavia egli rimaneva convinto che quella vecchiaccia aveva una lingua maledica, e che il Damonte era un bamboccione, e non poteva proprio capire come mai facesse sua cugina a sopportarlo!...
Ma, intanto, a poco a poco, per amore o per forza, cominciava col sopportarlo anche lui. Andrea aveva finito coll’andare tutti i giorni in casa Castelguelfo e vi faceva visite che duravano per ore intere; e siccome la Baby non voleva punto cambiare le proprie abitudini, così anche Andrea doveva trovarsi coll’altra gente. Egli, però, non sapeva nascondere il malumore; non parlava mai con nessuno; rimaneva imbronciato e faceva musacce tanto che anche la Contessina principiava a esserne seccata.
Il Santasillia, adesso che tutti lo conoscevano da vicino, avea perdute le maggiori attrattive, ed era ritornato il Monsignore. Ma un monsignore pesante, pretensioso, il quale pativa di scrupoli, e si era innamorato a modo suo della Baby.
E come se tutto ciò non bastasse per infastidire la Contessina, gli amici i quali, sebbene non ne dessero l’aria, pure non avevano ancora perdonato al Santasillia il trionfo de’ primi giorni, congiuravano insieme per la sua completa disfatta.
La Castelguelfo cominciava ad essere annoiata del nuovo adoratore. Ed essi appunto, ormai sicuri del loro giuoco, glielo facevano godere a tutto spiano.
Il Damonte affettava di mostrarsi assiduo presso la Zanibon, la quale appunto se n’era innamorata per quell’unico merito che aveva il giovinotto di essere uno dei corteggiatori dell’elegante contessina. Scipio Spinola pareva preso d’una passione furiosa per il cotecio, e passava tutta la serata al club, a giocare. Gli uomini posati facevano capire alla Baby che ci andavano meno perchè temevano di riuscire importuni «a certe persone.» Insomma essa era disperata; non le rimaneva più fedele altro che qualche vecchio reumatizzato, il quale l’angustiava maggiormente domandandole ogni momento: — Come mai Scipio Spinola non si lascia vedere?... Perchè il Damonte corre sempre dalla Zanibon?
Il fiore più bello di cui poteva far mostra la Contessina era Marco Baldi: ma per essere sicura di non perderlo, doveva invitarlo a pranzo quasi ogni giorno, e ascoltare pazientemente il solito racconto degli antichi amori, e non solo tollerare, ma fingere di divertirsi assai alle scipitaggini del vecchio libertino.
Marco Baldi, sempre ossequioso quando si trovava in presenza del Santasillia, dietro le spalle ne diceva di cotte e di crude: specialmente a proposito del voto faceva pompa di tutto il suo spirito.
— Cheh, cheh! Il culto dell’anima era un pretesto, era una blague!... — E raccontava, in proposito, una sua storiella, secondo la quale il Santasillia, fatto prigioniero durante un’esplorazione, era stato trattato dai selvaggi in modo così barbaro da essere poi costretto a fare quel certo voto.
E la Baby, invece di offendersi per quelle volgarità, ne rideva più degli altri, temendo potessero credere che la corte del Santasillia fosse ben accetta, cosa che l’avrebbe resa ridicola in faccia a tutti.
In proposito, la Generalessa, la marchesa d’Arcole e madama Kraupen parlavano chiaro. Il Santasillia non aveva saputo cattivarsi gli animi di queste rispettabili signore. Egli le trattava tutte tre allo stesso modo, senza usare nessuna preferenza, senza mai darsi la pena di far loro una visita; e non le aveva neppure invitate a vedere il museo!
— Cara Baby, bada che cosa fai, — dicevano le signore. — Noi vogliamo consigliarti pel tuo meglio: quel santone del Santasillia ti compromette proprio senza sugo. Secca te, indispettisce i tuoi amici, e tutti t’abbandonano. Titta non viene quasi più; Scipio nemmeno, e gli altri non si lasciano vedere. Marco Baldi, il solo che ti rimane, confessa di annoiarsi assai; dunque pensaci, carina, finchè c’è tempo. Mettilo a posto quel superbioso, che vuol darsi l’aria di padrone di casa, o finirai col diventare ridicola, e coll’essere messa al bando della società.
E la Baby a tali parole, che vedeva colla prova dei fatti quanto fossero vere, si sentiva sgomenta: — ma come fare a levarselo d’attorno quel benedetto uomo? A dirlo era cosa spiccia... — ma come fare?... Era stata lei a invitarlo in casa, a lusingarlo, e adesso senza un motivo non poteva, in certo modo, metterlo alla porta. Poi, già, gl’incuteva sempre un pochetto di soggezione e fors’anche sentiva compassione di lui: pareva tanto innamorato, povero Andrea!
Allora, tutto sommato, continuò ad essere amabile col cugino, ma sfidò i suoi musi e i suoi brontolamenti, mettendosi di nuovo a dar pranzi e feste e a combinare ogni giorno partite di caccia, gite, cavalcate, per richiamare le pecorelle smarrite. Faceva un pochino la gelosa con Titta Damonte; nell’uscire da teatro, dava il braccio a Scipio Spinola, e tutti furono di nuovo a’ suoi piedi.
Andrea di Santasillia soffriva crudelmente, ma non avea il coraggio di allontanarsi; anzi, adesso, stimolato dalla gelosia, si era fatto ancora più assiduo presso la Castelguelfo; e lo si vedeva di giorno e di sera nel suo salottino, sempre muto, accigliato. Certe volte, quando la Baby si avvicinava sorridente al Damonte o a Scipio Spinola e diceva loro qualche paroletta gentile, oppure, quando i suoi adoratori le prendevano la mano per accarezzarla e baciarla con devota galanteria, gli occhi di Andrea sembrava gettassero fiamme.
Una mattina essa dovea uscire col Baldi, col Damonte e col Santasillia: andavano tutti insieme in Piazza d’Armi per veder correre certi cavalli, che la Castelguelfo voleva comperare. Gli amici attendevano nel salotto, e non volendo farli aspettare più del necessario, ella si presentò non del tutto abbigliata, allacciandosi ancora i nastri del cappellino; poi diede i suoi guanti al Damonte, perchè glieli mettesse... — Era questa una grazia speciale che la Baby concedeva per turno.
Il giovinotto le si inginocchiò dinanzi, come era di rito, le prese la manina, la baciò, e principiò a infilarle adagio il primo guanto.
— Guarda come stringe, quel mortale fortunato! — esclamò Marco Baldi.
Ma quasi subito la Castelguelfo strappò l’altro guanto che il Damonte aveva in mano e gli sfiorò con esso la guancia graziosamente, avviandosi sollecita per uscire.
— È troppo lento lei — esclamò — e si fa tardi: andiamo! chi mi ama, mi segua!
Mentre il Damonte le calzava il guanto, Andrea fattosi pallido, aveva guardato la Baby in modo tale da mettere paura.
Tuttavia, s’ella non sapeva ribellarsi interamente al predominio di Andrea, se ne vendicava poi, come Marco Baldi, mettendolo in ridicolo e burlandosi di lui. La Baby con quel musetto piacevole imitava la faccia trista e i sospiri di Andrea quando «la opprimeva» col solito racconto delle sue tragiche vicende. Tutti ne facevano le più matte risate, e persino il malinconico Damonte, se adesso tossiva, non tossiva altro che per il troppo ridere. La Baby, colla voce grossa, si metteva a descrivere le tenebre alte, il silenzio pauroso della notte, il lumicino piccolo che si vedeva in lontananza e il Santasillia inginocchiato «sotto le verdi piante» che recitava preghiere e si torturava col cilicio.
— È un espediente assai ingenuo, — esclamava il Baldi, toccandosi la punta dei baffi con fare altezzoso, — quello di voler rendersi interessanti coi piagnistei! Occorre ben altro per poter avere chanz colle signore!
Andrea non sospettava certo di servir da zimbello ad una leggerezza così perfida e crudele, ma pure sentiva di non essere più inteso, di non aver più il compianto, l’effusione sincera della cugina, e ciò gli dava al cuore uno strazio indicibile. Il suo viso pallido dimagrava, egli aveva la febbre; era misero, disperato; straziato insieme dai rimorsi e dalla gelosia. Dove trovare un conforto? La stessa sua fede lo impauriva con terribili minaccie... Il pensiero dell’Adele?... Egli l’aveva tradita... — Non era stato fedele a’ suoi giuramenti d’amore: non aveva saputo compiere i suoi propositi di espiazione... — Sì, egli era perduto; egli era dannato... Ma forse poteva essere ancora meritevole di perdono, perchè non era più padrone di sè stesso!... Diventava matto: ed era lei, sua cugina, che lo voleva proprio matto ad ogni costo!... Perchè, adesso, ritornava ad essere amabile e a lusingare tutti quei cretini? Pareva come presa da una mania!... Era sempre in moto; sempre in mezzo ai divertimenti e al frastuono!...
— Ma come mai il Castelguelfo la lascia sempre sola? — domandò al Baldi in uno dei suoi impeti d’ira, che non riusciva più a poter frenare.
— Per incompatibilità di umori. Erano ancora ragazzi, quando li hanno sposati.
— Dunque suo marito non le voleva bene?
— Au contraire! Le voleva troppo bene!
E Marco Baldi, con un ghigno da satiro sdentato, riferì, dilettandosi nei particolari, i motivi che avevano consigliato quella momentanea separazione.
Per Andrea cominciò un nuovo e più atroce martirio. Egli aveva pensato al Castelguelfo come in un possibile alleato che dovea mettere un po’ d’ordine e di quiete nella vita rumorosa della Baby e allontanare da lei gli sciocchi sdolcinati e sfacciati. La continua lontananza di questo marito, il non averlo mai veduto, avea indotto Andrea a considerarlo quasi come un personaggio mistico, incorporeo. Ma invece le rivelazioni del Baldi venivano a strapparlo brutalmente a quelle illusioni, mettendogli a un tratto dinanzi agli occhi la realtà più spietata. Allora immagini nuove e strane popolarono la sua fantasia e gli straziarono il cuore. Il sangue fervente della sua maturità intatta, non gli concedeva alcuna tregua. Non poteva più lavorare; non gli riusciva di scrivere nemmeno una riga. Molte volte, vergognando di sè stesso, egli si chiudeva nello studio col fermo proposito di vincere quell’inerzia che lo accasciava, compiere il lavoro che avea incominciato, e ritrovare nell’intelligenza uno svago, un conforto a’ suoi dolori. E per un momento pareva inebriarsi, stordirsi, ritornava pieno di ardore verso quelle aspirazioni prime della sua giovinezza, ma poi, dopo alcune righe che aveva scritte, rallentava la corsa della sua mano, si lasciava andare disteso sulla poltrona, e il pensiero suo abbandonava le vergini foreste e i popoli barbari per correre più vicino dove era la Baby, e di lì non poteva più muoversi.
Era geloso del passato e sgomento dell’avvenire. — Se il Castelguelfo fosse tornato?
.... Se fosse ritornato?!... — e poteva tornare da un momento all’altro.
Egli l’odiava quell’uomo, eppure aveva rimorso del suo odio; avrebbe voluto dimenticare, addolcire lo spasimo della propria gelosia, abbandonandosi a qualche nuova illusione. Ma nel medesimo tempo era trascinato, come dal delirio di una febbre maligna, a ricercare tutti gli argomenti, tutti i pensieri che lo torturavano; parlava sempre alla Baby di suo marito, e voleva tutto sapere di lui, per cercar di capire se quel marito assente poteva farsi strada nel suo cuore. E lungamente stava fisso cogli occhi in un ritratto del Castelguelfo che era appeso nel salotto, e lo scrutava, lo divorava; pareva gli volesse investigare anche l’anima.
La Baby rideva, indovinando i pensieri del Santasillia, e si godeva mostrarsi tenera, affettuosa verso suo marito; e quando il cugino guardava il ritratto così fissamente, ella esclamava con una grazietta piena di moine che «il suo Giuliano era molto più bello!»
— Che diritto aveva quel lunatico, — pensava la Baby stizzita, — d’essere geloso di suo marito? Era proprio una pretesa fuori di posto e ridicola assai! E avrebbe voluto «che il suo Giuliano» ritornasse per fargli dispetto. In tal modo la gelosia di Andrea riavvicinava la Castelguelfo a suo marito.
— Povero Giuliano! Egli almeno era sempre di buon umore e non l’avea mai seccata!
In quei giorni la Baby, com’era sua abitudine di ogni anno, aveva abbandonato Verona per recarsi alla villa di Castelguelfo: un vecchio palazzotto, innalzato sopra un dirupo enorme, che sporgeva nel lago di Garda. E la tiepidezza dolce del settembre penetrava misteriosa nel cuore della giovane donna, mentre la serenità placida del lago, azzurro e nitido, come una meraviglia orientale distesa ai piedi delle Alpi, infondeva nel suo spirito un raccoglimento affettuoso.
Ma pure, la solitudine della campagna non le piaceva punto e spesso era anche annoiata.
— Infine, — pensava qualche volta, — Giuliano deve trovarsi bene a Vienna perchè non parla più di ritornare! — E come avea fatto presto a consolarsi della sua lontananza!... Ciò faceva proprio credere che Giuliano forse le avea voluto bene, ma che non era mai stato innamorato... — Di tanta gente ch’ella avea conosciuta, suo marito era il solo che non avea perduta la testa per lei!... — Avrebbe però voluto scoprire a chi faceva la corte a Vienna, e conoscere la sua rivale... e fors’anche le sue rivali, perchè Giuliano era un certo tomo!... — Non tossiva come il Damonte e non sospirava come il Santasillia!... E poi, in complesso, Giuliano era bellino assai, un po’ piccolo, ma elegante. Non gli stavano bene le fedine che si era fatto crescere a Vienna, per darsi l’aria diplomatica, ma gliele avrebbe fatte tagliare. Gli occhietti erano furbi e vivi... e poi montava benissimo a cavallo!
E la Baby, che di solito scriveva ogni quindici giorni a suo marito, in quella prima settimana che si trovò in villa sola, gli scrisse tre volte, e l’ultima lettera era più lunga delle altre. Essa gli narrava la sua vita di ogni giorno; le passeggiate, le visite ricevute e ricambiate, e si doleva di veder poca gente a Castelguelfo perchè troppo lontano dalle sue amiche, e di non poter avere per correttivo alla noia del Santasillia, altro che le facezie di Marco Baldi.
«...Ti scrivo dal picco della quercia... te ne ricordi?... Mi piace tanto questa roccia! Sembra un luogo incantato, la rupe della strega... lo scoglio della fata nera... quello che vuoi! Sotto la quercia ho fatto distendere una grossa tenda, che di giorno ripara dal sole e la sera dalla brezzolina umida, perchè io sono molto frileuse (anzi frileuz, come direbbe Marco Baldi), e poi sono gracile e delicata assai. Non ho la salute florida delle tue tedesche, le quali del resto, come tipo, non mi piacciono punto... Tutto il giorno sto qui a leggere o a scrivere e ad aspettare chi non viene... Non lusingarti, sai, perchè proprio non aspetto te... — La sera fumo la sigaretta e si fa chiacchiere con Marco Baldi. Ben inteso che c’è sempre con noi anche quel noioso del Santasillia; ma non parla mai... Guarda il cielo e sospira; guarda tua moglie (che sono io, ricordati!) e geme profondamente, poi, certe volte, si avvicina al margine della roccia, proprio come se avesse l’intenzione di fare un capitombolo nel lago... Povero Andrea!... Ieri l’ho fatto tanto arrabbiare! L’ho avvertito che il lago sotto la roccia è profondissimo, e che se non era un forte nuotatore, non dovea risolvere di fare il salto. — Sarò cattiva col nostro reverendo cugino, ma mi secca assai!... Pensa, tanto per avere una scusa d’essere tutti i giorni a Castelguelfo, che s’è messo a restaurare la sua villa d’Oriano. Così l’ho qui a due passi e mi tiene sott’occhio... Carino carino!... — Scipio Spinola, adesso, lo chiama il mio tutore.
«... Includo per te, in questo foglietto, una bella viola, e trova modo di averla cara... Se sapesse il tutore che te la mando, guai!... Me ne offre sempre un mazzolino, che io porto tutto il giorno per renderlo felice. Ha riempito le sue serre di fiori splendidi. Tutti per me, ben inteso, e te lo dico perchè, tanto, tu non sei geloso.
«Ti mando la mia mano da baciare. Dicono i nostri amici che è bellina assai; ma tu, già, non te ne sarai accorto. E poi a te devono piacere le mani rosee e potèlèes delle tue tedesche. Scusami, sai, se ti addoloro, ma le tedesche mi sono proprio antipatiche. Preferisco le inglesi. Credilo; quando sono belle, sono più carine assai. Per altro lo devi credere senza farti trasferire a Londra. Cattivo!... Saresti ancora più lontano!»