Antigone (Alfieri, 1946)/Atto terzo
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ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Creonte, Emone.
Udir da te cose importanti io deggio,
dicesti; e udirne potrai forse a un tempo
tali da me.
Emone Supplice vengo: il fero
del tuo sdegno bollente impeto primo
affrontar non doveva: or, ch’ei dá loco
alla ragione, io (benché sol) di Tebe
pur tutta a nome; io ti scongiuro, o padre,
di usar pietade. A me la negheresti?
Tua legge infranto han le pietose donne;
ma chi tal legge rotta non avrebbe?...
Creon. Qual mi ardiria pregar per chi la infranse,
altri che tu?
Emone Né in tuo pensier tu stesso
degna di morte la lor santa impresa
estimi; ah! no; sí ingiusto, snaturato
non ti credo, né il sei.
Creon. Tebe, e il mio figlio,
mi appellin crudo a lor piacer, mi basta
l’esser giusto. Obbedire a tutte leggi,
tutti il debbono al par, quai che sien elle:
rendono i re dell’opre loro ai soli
né sesso v’ha, che il rio delitto escusi
del non sempre obbedir. Pochi impuniti
danno ai molti licenza.
Emone In far tua legge,
credesti mai, che dispregiarla prime
due tai donne ardirebbero? una sposa,
una sorella, a gara entrambe fatte
del sesso lor maggiori?...
Creon. Odimi, o figlio;
nulla asconder ti deggio. — O tu nol sappi,
ovvero nol vogli, o il mio pensier tu finga
non penetrar finora, aprirtel bramo. —
Credei, sperai; che dico? a forza io volli,
che il mio divieto in Tebe a infranger prima,
sola, Antigone fosse; al fin l’ottenni,
rea s’è fatt’ella; omai la inutil legge
fia tolta...
Emone Oh cielo!... E tu, di me sei padre?...
Creon. Ingrato figlio;... o mal esperto forse;
che tale ancora crederti a me giova:
padre ti sono: e se tu m’hai per reo,
il son per te.
Emone Ben veggio arte esecranda,
onde inalzarmi credi. — O infame trono,
mio non sarai tu mai, se mio de’ farti
sí orribil mezzo.
Creon. Io ’l tengo, è mio tuttora,
mio questo trono, che non vuoi. — Se al padre
qual figlio il dee non parli, al re tu parli.
Emone Misero me!... Padre,... perdona;... ascolta;... —
Oh ciel! tuo nome oscurerai, né il frutto
raccorrai della trama. In re tant’oltre
non val poter, che di natura il grido
a opprimer basti. Ogni uom della pietosa
vergine piange il duro caso: e nota,
sará tal arte dai Tebani.
Creon. E ardisci
tu il dubbio accor, finora a tutti ignoto,
se obbedir mi si debba? Al poter mio,
altro confin che il voler mio non veggio.
Tu il regnar non m’insegni. In cor d’ogni uomo
ogni altro affetto, che il terrore, io tosto
tacer farò.
Emone Vani i miei preghi adunque?
Il mio sperar di tua pietade?...
Creon. Vano.
Emone Prole di re, donne, ne andranno a morte,
perché al fratello, ed al marito, hann’arso
dovuto rogo?
Creon. Una v’andrà. — Dell’altra
poco rileva; ancor nol so.
Emone Me dunque,
me pur con essa manderai tu a morte.
Amo Antigone, sappi; e da gran tempo
l’amo; e, piú assai che la mia vita, io l’amo.
E pria che tormi Antigone, t’è forza
tormi la vita.
Creon. Iniquo figlio!... Il padre
ami cosí?
Emone T’amo quant’essa; e il cielo
ne attesto.
Creon. Ahi duro inciampo! — Inaspettato
ferro mortal nel cor paterno hai fitto.
Fatale amore! al mio riposo, al tuo,
e alla gloria d’entrambi! Al mondo cosa
non ho di te piú cara... Amarti troppo
è il mio solo delitto... E tal men rendi
tu il guiderdone? ed ami, e preghi, e vuoi
salva colei, che il mio poter deride;
che me dispregia, e dirmel osa; e in petto
Di questo trono, oggi mia cura, in quanto
ei poscia un dí fia tuo.
Emone T’inganni: in lei
non entra, il giuro, alcun pensier di regno:
in te, bensí, pensier null’altro alligna.
Quindi non sai, né puoi saper per prova
l’alta possa d’amor, cui debil freno
fia la ragion tuttora. A te nemica
non estimavi Antigone, che amante
pur n’era io giá: cessar di amarla poscia,
non stava in me: tacer poteami, e tacqui;
né parlerei, se tu costretto, o padre,
non mi v’avessi. — Oh cielo! a infame scure
porgerá il collo?... ed io soffrirlo?... ed io
vederlo? — Ah! tu, se rimirar potessi
con men superbo ed offuscato sguardo
suo nobil cor, l’alto pensar, sue rare
sublimi doti; ammirator tu, padre,
sí, ne saresti al par di me; tu stesso,
piú assai di me. Chi, sotto il crudo impero
d’Eteócle, mostrarsi amico in Tebe
di Polinice ardí? l’ardia sol ella.
Il padre cieco, da tutti diserto,
in chi trovò, se non in lei, pietade?
Giocasta infin, giá tua sorella, e cara,
dicevi allor; qual ebbe, afflitta madre,
altro conforto al suo dolore immenso?
Qual compagna nel piangere? qual figlia
altra, che Antigon’, ebbe? — Ella è d’Edippo
prole, di’ tu? ma, sua virtude è ammenda
ampia del non suo fallo. — Ancor tel dico;
non è di regno il pensier suo: felice
mai non sperar di vedermi a suo costo:
deh, lo fosse ella al mio! Del mondo il trono
daría per lei, non che di Tebe.
sei parimente riamato?
Emone Amore
non è, che il mio pareggi. Ella non m’ama;
né amarmi può: s’ella non mi odia, è quanto
basta al mio cor; di piú non spero: è troppo,
al cor di lei, che odiar pur me dovrebbe.
Creon. Di’; potrebb’ella a te dar man di sposa?
Emone Vergin regal, cui tolti a un tempo in guisa
orribil sono ambo i german, la madre,
e il genitor, daría mano di sposa?
e la darebbe a chi di un sangue nasce
a lei fatale, e a’ suoi? Ch’io tanto ardissi?
La mano offrirle, io, di te figlio?...
Creon. Ardisci;
tua man le rende in un la vita, e il trono.
Emone Troppo mi è nota; e troppo io l’amo: in pianto
cresciuta sempre, or piú di pria nel pianto
suoi giorni mena. Un tempo a lei men tristo
risorgerá poi forse, e avverso meno
al mio amor; tu il potrai poscia...
Creon. Che al tempo,
ed a’ suoi dubbj eventi, il destin nostro
accomandare io voglia? invan lo speri. —
Al mio cospetto, olá, traggasi or tosto
Antigone. — Di morte ella è ben rea;
dargliela posso a dritto; e, per me forse,
dargliela fia piú certo util partito...
Ma pur, mi sei caro cosí, ch’io voglio
lasciarla in vita, accoglierla qual figlia,
s’ella esser tua consente. Or, fia la scelta
dubbia, fra morte e fra regali nozze?
Emone Dubbia? ah! no: morte, ella scerrá.
Creon. Ti abborre
dunque.
Emone Tropp’ama i suoi.
Vuoi, che la vita io serbi a chi torrebbe
la vita a me, dove il potesse? A un padre,
che tanto t’ama, osi tu chieder tanto?
SCENA SECONDA
Antigone, Creonte, Emone, Guardie.
a tuo favore, Antigone, mi trovi.
Non, ch’io minor stimi il tuo fallo, o meno
la ingiunta pena a te dovuta io stimi:
amor di padre, piú che amor del giusto,
mi muove a tanto. Il figliuol mio mi chiede
grazia, e l’ottien, per te; dove tu presta
fossi...
Antig. A che presta?
Creon. A dargli, al mio cospetto,
in meritato guiderdon,... la mano.
Emone Antigone, perdona; io mai non chiesi
tanta mercé: darmiti ei vuol: salvarti
vogl’io, null’altro.
Creon. Io, perdonar ti voglio.
Antig. M’offre grazia Creonte? — A me qual altra
grazia puoi far, che trucidarmi? Ah! tormi
dagli occhi tuoi per sempre, il può sol morte:
felice fai chi te non vede. — Impétra,
Emone, il morir mio: pegno fia questo,
sol pegno a me, dell’amor tuo. Deh! pensa,
che di tiranno il miglior dono è morte;
cui spesso ei niega a chi verace ardente
desio n’ha in cor...
Creon. Non cangerai tu stile?
Sempre implacabil tu, superba sempre,
o ch’io ti danni, o ch’io ti assolva, sei?
fora possibil piú.
Emone Questi m’è padre:
se a lui favelli, Antigone, in tal guisa,
l’alma trafiggi a me.
Antig. Ti è padre; ed altro
pregio ei non ha; né scorgo io macchia alcuna,
Emone, in te, ch’essergli figlio.
Creon. Bada;
clemenza è in me, qual passeggero lampo;
rea di soverchio sei; né omai fa d’uopo,
che il tuo parlar nulla vi aggiunga...
Antig. Rea
me troppo or fa l’incontrastabil mio
trono, che usurpi tu. Va; non ti chieggio
né la vita, né il trono. Il dí, che il padre
toglievi a me, ti avrei la morte io chiesta,
o data a me di propria man l’avrei;
ma mi restava a dar tomba al fratello.
Or che compiuta ho la sant’opra, in Tebe
nulla a far mi riman: se vuoi ch’io viva,
rendimi il padre.
Creon. Il trono; e in un con esso,
io t’offro ancor non abborrito sposo;
Emon, che t’ama piú che non mi abborri;
che t’ama piú, che il proprio padre, assai.
Antig. Se non piú cara, piú soffribil forse
farmi la vita Emon potrebbe; e solo
il potrebb’ei. — Ma, qual fia vita? e trarla,
a te dappresso? e udir le invendicate
ombre de’ miei da te traditi, e spenti,
gridar vendetta dall’averno? Io, sposa,
tranquilla, in braccio del figliuol del crudo
estirpator del sangue mio?...
Creon. Ben parli.
Troppo fia casto il nodo: altro d’Edippo
degno ei solo sarebbe...
Antig. Orribil nome,
di Edippo figlia! — ma, piú infame nome
fia, di Creonte nuora.
Emone Ah! la mia speme
vana è pur troppo omai! Può solo il sangue
appagar gli odj acerbi vostri: il mio
scegliete dunque; il mio versate. — È degno
il rifiuto di Antigone, di lei:
giusto in te, padre, anco è lo sdegno: entrambi
io v’amo al par; me solo abborro. — Darle
vuoi tu, Creonte, morte? or lascia, ch’ella,
col darla al figliuol tuo, da te la merti. —
Brami, Antigone, aver di lui vendetta?
Ferisci; in questo petto (eccolo) intera
avrai vendetta: il figlio unico amato
in me gli togli; orbo lo rendi affatto;
piú misero d’Edippo. Or via, che tardi?
Ferisci; a me piú assai trafiggi il core,
coll’insultarmi il padre.
Creon. Ancor del tutto
non disperar: piú che il dolor, lo sdegno
favella in lei. — Donna, a ragion dá loco:
sta il tuo destino in te; da te sol pende
quell’Argía che tant’ami, onde assai duolti,
piú che di te medesma; arbitra sei
d’Emon, che non abborri;... e di me il sei;
cui se pur odj oltre il dover, non meno
oltre il dover conoscermi pietoso
a te dovresti. — Intero io ti concedo
ai pensamenti il dí novel che sorge: —
la morte, o Emone, al cader suo, scerrai.
SCENA TERZA
Antigone, Emone, Guardie.
O perché almen, lui non somigli?
Emone Ah! m’odi. —
Questo, che a me di vita ultimo istante
esser ben sento, a te vogl’io verace
nunzio far de’ miei sensi: il fero aspetto
del genitor me lo vietava. — Or, sappi,
per mia discolpa, che il rifiuto forte,
e il tuo sdegno piú forte, io primo il laudo,
e l’apprezzo, e l’ammiro. A foco lento,
pria che osartela offrire, arder vogl’io
questa mia man; che di te parmi indegna,
piú che nol pare a te. S’io t’amo, il sai;
s’io t’estimo, il saprai. — Ma intanto (oh stato
terribil mio!) non basta, no, mia vita
a porre in salvo oggi la tua!... Potessi,
almen potessi una morte ottenerti
non infame!...
Antig. Piú infame ebberla in Tebe
madre e fratelli miei. Mi fia la scure
trionfo quasi.
Emone Oh! che favelli? Ahi vista!
Atroce vista!... Io nol vedrò: me vivo
non fia. — Ma, m’odi, o Antigone. Forse anco
il re deluder si potria... Non parlo,
né il vuol, né il vo’, che la tua fama in parte
né pur si offenda...
Antig. Io non deludo, affronto
i tiranni; e il sai tu. Pietá fraterna
sola all’arte m'indusse. Usar io fraude
or per salvarmi? ah! potrei forse oprarla
ove affrettasse il morir mio...
fitta in te sta l’alta e feroce brama,
deh! sospendila almeno. A te non chieggio
cosa indegna di te: ma pur, se puoi,
solo indugiando, altrui giovar; se puoi
viver, senza tua infamia; e che? sí cruda
contro a te stessa, e contra me sarai?
Antig. ...Emon, nol posso... A me crudel non sono: —
figlia d’Edippo io sono. — Di te duolmi;
ma pure...
Emone Io ’l so: cagione a te di vita
esser non posso; — compagno di morte
ti son bensí. — Ma, tutti oltra le negre
onde di Stige i tuoi pietosi affetti
ancor non stanno: ad infelice vita,
ma vita pur, restano Edippo, Argía,
e il pargoletto suo, che immagin viva
di Polinice cresce; a cui tu forse
vorresti un dí sgombra la via di questo
trono inutil per te. Deh! cedi alquanto. —
Finger tu dei, che al mio pregar ti arrendi,
e ch’esser vuoi mia sposa, ove si accordi
frattanto al lungo tuo giusto dolore
breve sfogo di tempo. Io fingerommi
pago di ciò: l’indugio ad ogni costo
io t’otterrò dal padre. Intanto, lice
tutto aspettar dal tempo: io mai non credo,
che abbandonar voglia sua figlia Adrasto
tra infami lacci. Onde si aspetta meno
sorge talora il difensore. Ah! vivi;
per me nol chieggo, io tel ridico: io fermo
son di seguirti: e non di me mi prende
pietá; né averla di me dei: pel cieco
tuo genitore, e per Argía, ten priego.
Lei trar de’ ceppi, e riveder fors’anco
il padre, e a lui forse giovar, potresti.
sentir t’è forza; e a te il rimembra, e, pieno
di amaro pianto, a’ tuoi piedi si prostra,
...e ti scongiura Emone...
Antig. ...Io te scongiuro...
Or, che costanza, quanta io n’ebbi mai,
mi è d’uopo, in molli lagrime di amore
deh! non stemprarmi il cor... Se in me puoi tanto,...
(e che non puoi tu in me?)... mia fama salva;
lascia ch’io mora, se davver tu m’ami.
Emone ...Me misero!... Pur io non ti lusingo...
Quanto a te dissi, esser potria.
Antig. Non posso
esser tua mai; che val, ch’io viva? — Oh cielo!
Del disperato mio dolor la vera
cagione (oimè!) ch’io almen non sappia. — E s’io
sposa a te mi allacciassi, ancor che finta,
Grecia in udirlo (oh!) che diria? Quel padre,
che del piú viver mio non vil cagione
sol fora, oh! s’egli mai tal nodo udisse!...
ove il duol, l’onta, e gli stenti, finora
pur non l’abbiano ucciso, al cor paterno
coltel saria l’orribile novella.
Misero padre! il so, pur troppo; io mai
non ti vedrò, mai piú:... ma, de’ tuoi figli
ultima, e sola, io almen morrò non rea...
Emome Mi squarci il core;... eppur, laudar mi è forza
tai sensi: anch’io virtú per prova intendo...
Ma, lasciarti morire!... Ultimo prego,
se tu non m’odj, accetta: al fianco tuo
starommi, e nel mio petto il mortal colpo,
pria che nel tuo, cadrá: cosí vendetta
in parte avrai dell’inuman Creonte.
Antig. Vivi, Emon, tel comando... In noi l’amarci
delitto è tal, ch’io col morir lo ammendo;
col viver, tu.
Padre inuman, re sanguinario, udrai,
le voci estreme disperate udrai
di un forsennato figlio.
Antig. Oimè! che trami?
Ribelle al padre tuo?... Sí orribil taccia
sfuggila ognora, o ch’io non t’amo.
Emone Or, nulla
piegar ti può dal tuo fero proposto?
Antig. Nulla; se tu nol puoi.
Emone Ti appresti dunque?...
Antig. A non piú mai vederti.
Emone In breve, io ’l giuro,
mi rivedrai.
Antig. T’arresta. Ahi lassa!... M’odi...
Che far vuoi tu?
Emone Mal grado tuo, salvarti.
Antig. T’arresta.
SCENA QUARTA
Antigone, Guardie.
guardie, a Creonte or mi traete innanzi.