Angelo Mazza

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Questo testo fa parte della raccolta Poeti minori del Settecento
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I

ALL’ARMONIA.

«Harmonia nimirum inconspicabile quiddam et incorporeum, et pulcherrimum quid et divinum».

Plato, in Phaedone.


     Io questo a te consacro inno festoso,
o sovrana Armonia, figlia del cielo,
anzi donna del ciel; ché nome ancora
non avea il ciel, e tu, con l’altre prime
5veraci, eterne, architettrici idee,
entro notavi a l’ineffabil luce
della somma Cagion; eri tu raggio
di quell’immenso, incomprensibil cerchio,
in cui s’estende l’increata Mente.
10Se mai desio di vagheggiar mi punse
il tuo mirabil magistero, ond’hanno
ordin le cose che produce amore;
se, a innamorar di tua bellezza il mondo,
che pur di te si bea, ma in te non vale
15il corto occhio affissar, unqua ti cinsi
lucido velo di colori ascrei;
deh! propizia m’ascolta, ed il mio canto,
soave a te, qual fumo arabo s’alzi.
     Tutto a te serve, o dea: saggia natura
20l’opre sue belle al tuo governo affida,
la rotatile terra e l’ignee sfere,

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che, rette da la tua mistica cetra,
movono in sacra inviolabil danza;
te i muti regni de la notte antica,
25te i vòti spazi del silenzio eterno,
te videro, te udîr, quando a la voce
onnifica, che gía sui misti abissi,
gli elementi risposero. Dal tuo
lume percossa, dileguò l’informe
30confusion, e si perdéo con l’atro
caos nel grembo a l’Erebo infinito.
Quindi il sereno, disiabil, vago,
il ridente, tranquillo ordine apparve,
idolo espresso del divin tuo volto,
35e alla grand’opra ti si feo compagno;
e, chiamati da sé, sursero il retto
moto circolator e il labil tempo,
d’immota eternitá mobile imago.
E l’uno spinse in via l’inerte mole,
40e lanciò il sol ne l’improvviso azzurro,
che, il buio original mettendo in volta,
la fulgida spiegò veste del giorno
e colori de la natura il seno:
l’altro dinanzi al sol ratto si pose,
45giovane auriga del fiammante carro,
che le stagion ricircolanti e i mesi
e i giorni mena irrequieto e l’ore,
e de le succedevoli apparenze,
ch’ornan la terra variate, e il cielo
50in giro infaticabile misura.
L’ordine intanto, appareggiando i corsi
spazi co’ tempi, e a le distanze, e a’ moti
inegualmente accomodando il peso
a’ diversi nel vòto orbi notanti,
55librò quel vicendevole contrasto,
in cui s’appunta l’universo e regge.
Ma fu tua man, che, da le Grazie scòrta,

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da le Grazie che stan sempre con teco,
di questo immobil lume ornò l’erranti,
60e d’un piú vivo e tremulo le fisse
stelle, ed avvolse di mutabil chioma
l’eccentrica cometa. Essa distese,
qual tenue panno, che rifascia il mondo,
invisibil per sé, ma pur soggetto
65di quante colassú miriam vaghezze,
il fluidissim’etra, onde, fra mille
dolci offici di vita, anche piú gaio
a noi scendesse a rallegrare il guardo
il tremol raggio de la varia luce.
70Essa al dubbioso mar termine impose,
segnò le vie del folgore e del tuono,
e sopra il fluttuante arco dipinto
la pacifica stese Iri, che al sole
rende in sette diviso il primo albore.
75Essa die’ l’ale a’ sibilosi venti,
perché, spedito dai vapor terrestri
l’elastico vigor del mobil aere,
degli animali, de le piante all’uso
vario pur giovi, e a l’incremento e a l’orto.
80Essa disseminò per ogni dove
lo spirto sottilissimo inquieto,
generator de le meteore ardenti,
e le vicende armonizzò de l’anno;
finché del vario, per cui l’uno è bello,
85tutto temprando con soavi modi
mirabilmente, o dea, festi natura
teatro agli occhi, musica agli orecchi,
incanti di ragion, prova di Dio.
Fu allor, che, surto di natura il genio,
90candidissimo spirto, ale disciolse
possenti sí, che pareggiò col volo
l’estension delle create cose.
Del supremo poter quivi le tracce

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scorgendo impresse, del saper supremo
95e del supremo amor, di quanto in terra,
di quanto in aria e in mar spirto ha di vita
raccolse i sensi, uní le voci e, a Dio
dando laude ed a te ministra a lui,
intonò l’inno, che dal centro cupo
100scosse la terra. Ed echeggiollo intorno
l’azzurra vòlta dei rotanti cieli:
indi a loro s’aggiunse; e, ripercosso
da un orbe a l’altro, ondeggerá mai sempre
lingua perenne del creato mondo.
     105Ma, se il voler de la Ragione eterna
di tutte cose a te commise il freno,
ond’è che l’uom, cui di sí docil limo
temprò natura e di sí dolci affetti
gl’impresse il cor, che duolsi al duolo altrui,
110mentre versagli in copia essa, e disserra
mille dolcezze e frutti ed erbe, quante
son le stille di pioggia e i rai del sole,
mentre, pur vaga di piacergli, alterna
il versatile aspetto e il vario seno,
115fa poi contrasto al tuo soave impero?
l’uomo, sì bella de la Causa prima
opra ed immago, che, spiegando il riso,
erge la fronte e il ciel vagheggia? l’uomo,
al qual tu stessa, o dea, del proprio marchio
120l’invisibil de l’alma indole impronti;
de l’alma, effluvio de la somma Essenza,
che ad essa, come al sole i minor astri
centreggiano da forza intima spinti,
tende e con essa per simile impulso
125a riunirsi eternamente aspira;
sará discorde a la natura, al cielo?
Discorderá da se medesmo ancora?
Deh! guardalo, gran dea. Ve’ come inforsa
tra la folle speranza e il van timore.

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130simulacro d’orgoglio e di viltate,
misto d’ombra e di luce, arbitro e servo
de le cose, e del ver giudice solo,
e sol prono a l’error. Torbide larve,
impeti ciechi di stemprati affetti,
135perturbatori de l’equabil metro,
che fa concorde con la mente il core,
e del cor l’un con l’altra ogni desio,
l’ingombran sí, l’aggiran sí col fiotto
di moltiplici error, ch’ei mai non posa,
140sempre incerto di sé, da sé difforme
sempre, e ognor lunge dal beato lido,
ove, promessa a lui, conforto e premio
al dritto oprar, felicitá l’invita.
E tu, letizia, de l’interna calma
145figlia, che di tuo fiato animi e avvivi
le vaghe d’onestá placide voglie;
tu, da cui rado, anzi non mai diparte
l’umano, liberal, mite, benigno,
il sociale di giovar talento,
150cedi al duro rimorso ed a la fredda
tristezza, innanzi a cui, miseramente
moltiplicata, d’ogni mal l’imago
difformasi cosí, come al maligno
chiaror di luna il passeggier, che guarda
155l’ombre distese da frapposti oggetti,
strane giganteggiar forme, e sembianze
terribili venir, mirasi a fronte.
Quindi aspro fiele il cor pasce: e lo spirto,
da nuvolose visioni oppresso,
160qual per lo zolfo il distendibil aere,
s’impiglia; e, spento il buon vigor natio,
livor sol cova, e malvoler nutrica.
Cosí la losca opinione audace,
la sdegnosa di freno fantasia:
165questa ognor pronta a secondar dei sensi

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l’ardor soverchio e l’intemperie acerba;
quella, che tratta come cosa salda
vane ombre e pone de le cose al pregio
infallibil misura il proprio affetto;
170qual si costringe il rigido metallo
a figurarsi d’ideato impronto,
torcon dal segno, ove risiede il vero,
il dritto giudicar. Invan ragione,
sacra favilla de la prima fiamma,
175che a l’uom l’anima accende e la fa bella,
s’adopra invano a diradar la nebbia,
che dal torbido cor s’alza a la mente
e impenetrabil le si addensa intorno;
ch’anzi, talora affascinata, il puro
180occhio anch’essa vi appanna, e corre in braccio
baldanzosa a l’error, che fa l’uom fera.
Stolto! che crede di cangiarsi in nume.
Trista condizion! E forse a tale
dura fatal necessitá ci preme,
185come naturalmente occhio a la luce,
e ad armonico suon volgesi orecchio?
Tu, che possanza col volere agguagli
e sempre del voler bontá fai norma,
perché di due sí mal concordi essenze
190festi del ciel l’erede, e il festi a un tempo
fiacco ente, ente immortal, un verme, un Dio?
Ma invan, che da se stesso altronde, cerca
il mal seme d’Adam del proprio scorno
la misera cagion. Tu lo governi,
195equabile Armonia: che in lui, per questa
discorde essenzial tempra, fai prova
di tuo poter, di tua mirabil arte,
ov’ei docile a te segua e secondi
d’innata volontá, che al bene aspira,
200i bei principi, ond’ha salute e vita.
E, se ben cure edaci, erti fastidi,

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scabrosi morbi e morte, ultimo danno,
per cui natura col Fattor si lagna,
a l’ordine miglior turbino il corso;
205pur, come salda tra procelle e nembi
serba sua legge il vicendevol mare,
tu quel correggi, sotto varie forme
trasfigurando te medesma; e, sempre
teco concorde nei diversi uffizi,
210e solo il tutto a conservare intesa,
tempri a massimo ben minimo male;
né lo temperi sol, ma ne consoli
la salubre amarezza, aprendo ai sensi
sorgenti di piacer. Prima fra tutte,
215e figlia a te, vien Melodia, stillante
limpida vena di vocal diletto,
esca dei cuori, per cui spira a l’alma
aura sottil d’armonico concento,
che nel sen del dolor desta la gioia
220e giustifica a l’uom l’opra di Dio.
Tal dopo le raggianti ore del giorno
succedon l’atre de la notte, amica
del silenzio e de l’ombre; a lei si veste
il moltiplice aspetto de le cose
225d’uniforme visibile tenèbra.
Mancano ai sensi i cari oggetti, ed alta
regna quiete, immagine di morte;
sospeso il moto par, natura incerta.
S’aggravano i vapor, striscian sovr’essi
230neri fantasmi, e li accompagna un tristo
gemito sconcio di ferali augelli,
che metton, non veduti ancor, paura.
Ma da l’oriental balzo, vibrando
suoi raggi a cerchio, li saetta il sole,
235alma del mondo, e il maligno aer fosco
inondando di luce e di colori,
sparge salute, e l’universo avviva.

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E chi de l’uom piú ne gioisce, e a l’uomo
chi può far mostra, al paragon, di tanto
240e sí diverso d’armonia tesoro?
In lui finezza di sincero udito,
giudice d’ogni suono, a cui non fugge
esilitá di tenui note, e a cui
di molte associate il fragor pieno
245colpeggia a un tempo ed il piacere addoppia:
di ben simmetrizzati organi a lui
dedaleo magistero, e petto e labbro
artefice di voci, e delle voci
abile i modi a variar col canto:
250docil d’affetti qualitá, che d’aura
modulatrice al vezzeggiar s’accorda,
e a tenore di lei vibrasi e posa,
in su le vie del giocondato orecchio
chiamando l’alma, che da lei sol pende,
255tal che questa incomincia ove pur quello
finisce di gioir; gioia celeste,
che sgorga a lei da la ragion sovrana
immutabil dei numeri, che vita
han da se stessi. Fa diletto a l’alma
260ber nei distinti armonici intervalli
l’ordin, che a voci dissimili il varco
fra le cognate consonanze adegua;
e quel diletto le ricolma e compie,
forma del bello, l’unitade, a cui,
265poiché, da imitatrice arte condotte,
vagar nel seno di natura e al raggio
di veritá si colorâr, le voci
con regolato error fanno ritorno.
Tal nei congiunti rai dal sole emerge
270il primigenio lucido candore;
e, poi che nel mondan chiostro ognun feo
leggiadra pompa del color natio,
tornan confusi a biancheggiar nel sole.

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     Ma tu puoi sola rivelarci, o dea,
275qual sia l’incanto grazioso e quale
il poter dei suoi numeri: tu puoi
sola agli eterei spirti e di te degni
pinger la gioia, che Iuballe assalse,
allorché melodia dinanzi ignota,
280e molle al par di carezzevol aura,
gli ondoleggiava su le tese corde,
e, dai ben traforati intesti legni
sprigionandosi tremola e canora,
facea d’intorno a lui, curvati e presi
285di giocondo stupore, immobilmente
pendere i suoi fratelli, ebbri di fede
che in quelle voci ragionasse un Dio.
Tu puoi sola svelar l’estasi sacra
d’Enosse, che primier, l’alto ineffabile
290nome invocato in mental foco, accesi
figli del core inni scioglieva a Lui,
che non esteso l’infinito abbraccia
e di se stesso immensitá riempie,
del tutto largitor. Correva il vate
295su le penne de l’anima rapita
gl’ignoti abissi del poter sovrano,
e del sovrano amor; e dolce allora
tu gli versavi su le labbra il canto,
che, ripassando per le vie del core,
300scorreva in guisa di nettarea fonte.
     Se non che forse rammentar ti giova
quale piacesti a te, quando dal grave
organo inusitate aure traea
vergin melodiosa, e l’onor crebbe
305del musico concento. Ella col suono
facea agli angeli invito; ed essi intanto
veniano in terra e si credeano in cielo.
E ben cred’io che negli eletti stami,
di che tesse natura umane spoglie.

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310al tuo voler, fra quanti fûr, dei primi
ordissela costei, ch’esser dovea
conforme albergo de la music’alma;
e questa poscia ad informarla scese,
che in te specchiossi, e del tuo puro esempio
315bevve la luce, e dei periodi tuoi
l’immortal tempra apprese, e tal suggello
si feo di te, che inimitabil seppe
de l’armonica Idea far fede al mondo.
     Deh! torna, o musical vergine, torna;
320e il falso genio, che, ammaliando i sensi,
l’alme sol pasce di ragion digiune
nel frequente teatro, ambigua scola
di vizio e di virtú, genio protervo,
che, ad amor ligio e a sé simil, poi move
325licenzioso a folleggiar nel tempio,
deh! volgi in fuga omai, e il primo e vero,
qual piacque al regal vate e al duce ebreo,
qual piacque a te, deh! riconduci in terra.
Ritorna, o musical vergin, ritorna;
330e, qual giá rattemprasti entro il profondo
organo il suon di variate voci,
gli affetti in noi concorda e i sensi a l’alma,
e questa a Lui, che di tutt’alma è centro.