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i - poemetti 11


130simulacro d’orgoglio e di viltate,
misto d’ombra e di luce, arbitro e servo
de le cose, e del ver giudice solo,
e sol prono a l’error. Torbide larve,
impeti ciechi di stemprati affetti,
135perturbatori de l’equabil metro,
che fa concorde con la mente il core,
e del cor l’un con l’altra ogni desio,
l’ingombran sí, l’aggiran sí col fiotto
di moltiplici error, ch’ei mai non posa,
140sempre incerto di sé, da sé difforme
sempre, e ognor lunge dal beato lido,
ove, promessa a lui, conforto e premio
al dritto oprar, felicitá l’invita.
E tu, letizia, de l’interna calma
145figlia, che di tuo fiato animi e avvivi
le vaghe d’onestá placide voglie;
tu, da cui rado, anzi non mai diparte
l’umano, liberal, mite, benigno,
il sociale di giovar talento,
150cedi al duro rimorso ed a la fredda
tristezza, innanzi a cui, miseramente
moltiplicata, d’ogni mal l’imago
difformasi cosí, come al maligno
chiaror di luna il passeggier, che guarda
155l’ombre distese da frapposti oggetti,
strane giganteggiar forme, e sembianze
terribili venir, mirasi a fronte.
Quindi aspro fiele il cor pasce: e lo spirto,
da nuvolose visioni oppresso,
160qual per lo zolfo il distendibil aere,
s’impiglia; e, spento il buon vigor natio,
livor sol cova, e malvoler nutrica.
Cosí la losca opinione audace,
la sdegnosa di freno fantasia:
165questa ognor pronta a secondar dei sensi