Al Polo Australe in velocipede/1. Il naufragio dell'Eira

1. Il naufragio dell'Eira

../2. Un uomo che va al polo per ingrassare IncludiIntestazione 9 marzo 2020 100% Da definire

2. Un uomo che va al polo per ingrassare


[p. 1 modifica]

CAPITOLO I.

Il naufragio dell’Eira.

— È vero ciò che si dice, signor Linderman?

— A proposito di cosa, signor Wilkye?

— Che la spedizione polare organizzata dai vostri compatriotti, è miseramente naufragata?

— È vero, rispose con voce secca, colui che si chiamava Linderman.

— Dunque il vostro illustre esploratore polare, è stato vinto dai ghiacci anche questa volta?

— Cosa v’importa?

By-God!... Ad un onorevole membro della società geografica degli Stati Uniti, può interessare molto.

— Me lo dite con una certa ironia, signor Wilkye, da farmi supporre che voi siate contento che il mio compatriota Smith non sia riuscito. [p. 2 modifica]

— Può essere, signor Linderman. Che volete? Sarei più contento che scoprisse il polo un americano, anzichè un inglese.

— Infatti, si è veduto come l’hanno scoperto i vostri compatriotti della Jannette.

— La loro missione era diversa, signor Linderman. La Jannette andava in cerca di un passaggio libero fra lo stretto di Behering e quello di Davis, e non del polo nord.

— Ed è naufragata miseramente, disse il signor Linderman, con ironia.

— Ma se si fosse diretta verso il polo, senza perdere tanti mesi a cercare il passaggio, forse sarebbe riuscita.

— A farsi schiacciare dai ghiacci qualche mese prima.

— Troppa fretta, signor Linderman.

— Eh!... Pretendereste voi che gli americani debbano riuscire in tutto?... E chi credete che siano gli inglesi?... Degli uomini di carta-pesta forse?... I miei compatriotti navigavano già nei mari polari, quando in Europa non si sapeva ancora che esistesse un’America.

— Colpa dei vostri grandi navigatori che non l’hanno scoperta prima, questa America che dà tanta ombra al vostro paese, rispose con accento acre il signor Wilkye. Ci voleva un italiano, un Cristoforo Colombo, per far sapere ai vostri navigatori che esisteva un altro continente!

— Basta!... M’avete seccato abbastanza.

— To!... Un flemmatico inglese che prende fuoco come uno zolfanello! Avete mai veduto una cosa simile, signori miei?...

Un allegro scroscio di risa echeggiò intorno ai due litiganti. Il signor Linderman s’alzò rosso come una peonia di China e lasciò cadere, sul tavolo che gli stava dinanzi, [p. 3 modifica] un pugno così formidabile, da far traballare le tazze ricolme o semi-piene di birra che vi stavano sopra.

— Calmatevi, signor Linderman, disse una voce. Volete diventare idrofobo?

— E vi prego di non rovesciare le nostre tazze, disse un’altra. Che diavolo!... Metterete in subbuglio tutto il club!...

Un secondo scroscio di risa, più fragoroso e più allegro di prima, echeggiò intorno al tavolo dinanzi al quale stavano sedute otto o dieci persone, fumando nelle pipe monumentali o dei puros o dei veri londres.

— Volete farmi scoppiare? gridò il signor Linderman.

— C’è del tempo! esclamò il signor Wilkye. Un inglese non scoppia così presto!...

— Se continuate ancora, vi dico che salto in aria come una caldaia caricata a quaranta atmosfere.

— Non avete raggiunta la pressione necessaria, disse uno dei bevitori.

— Ma, infine, si può sapere il motivo di tutto questo chiasso? chiese un pezzo d’uomo, grasso come un bove, con una folta barba rossa tagliata a becco, e che all’aspetto sembrava qualche negoziante. Come è vero che sono un onorevole membro della società degli uomini grassi di Chicago, non ho capito ancora niente.

— Cosa volete saper voi di spedizioni polari, Bisby? disse il signor Linderman, bruscamente.

— È vero che io non mi occupo che del prezzo delle carni salate, rispose l’uomo mastodontico, ma, giacchè siedo fra voi, onorevoli membri della società geografica, voglio che mi illuminiate.

— È vero, dissero parecchie voci. Nemmeno noi sappiamo su che cosa voi discutiate.

— Dell’infelice fine fatta dalla spedizione dell’inglese... [p. 4 modifica]

— Scozzese, rettificò il signor Linderman.

— È tutt’uno per noi. Dunque vi dicevo che si discuteva sul naufragio della spedizione di sir Beniamino Leight Smith.

— È andata a picco l’Eira? chiesero tutti, con una certa emozione.

— Gli ultimi dispacci hanno recato l’annuncio, che i superstiti della spedizione sono stati raccolti nello stretto di Matotekine.

— Quando?

— Il 25 agosto, disse Wilkye.

— È vero, signor Linderman? chiesero parecchie voci.

— Sì, rispose seccamente l’inglese.

— Ma chi è, innanzi a tutto, questo signor Beniamino Leight Smith? chiese l’onorevole membro degli uomini grassi. Io vi ho detto che non m’intendo...

— Che dei prezzi della carne salata, lo sappiamo, signor Bisby, rispose un bevitore.

— Sì, narrate, signor Wilkye, dissero gli altri. Manchiamo dei particolari della spedizione.

— Lasciatemi vuotare la mia tazza di birra e vi narrerò ogni cosa.
· · · · · · · · · · ·

Questa discussione, che minacciava di diventare molto acre fra il signor Linderman e il signor Wilkye, aveva luogo in uno dei locali della sezione della Società geografica americana di Baltimora, la sera del 26 ottobre dell’anno 1892.

Questa sezione, che contava fra i suoi membri i più ricchi yankees della città, armatori, geografi, esploratori, negozianti che si piccavano di occuparsi di scoperte geografiche, quantunque ignorassero l’esistenza di qualche continente, ogni sera era popolatissima, essendo in quel tempo assai fiorente. [p. 5 modifica]

Non crediate però che, in quelle sale, quei bravi americani si limitassero a discutere di geografia e di esplorazioni. Oibò!... Affaristi per eccellenza e grandi bevitori come sono in generale tutti gli abitanti degli Stati dell’Unione, s’occupavano molto dei loro affari, e fra una discussione e l’altra, fra la scoperta di un nuovo fiume, o di un’isola, o di un nuovo popolo di selvaggi, o fra qualche comunicazione della presidenza, parlavano dei prezzi degli zuccheri, dei caffè, delle carni salate, del pesce secco o dei porci di Chicago e bevevano come otri, alternando birra e bicchieri di wisky e di grogs.

Però dobbiamo dire che fra quei numerosi membri contavansi delle persone di valore, dei distinti geografi che s’occupavano con vera passione delle scoperte e dei valenti esploratori che avevano già intrapreso dei lunghi viaggi su tutti e cinque i continenti. Fra questi primeggiavano soprattutto i signori Wilkye e Linderman, due fieri antagonisti che mai si trovavano d’accordo sullo stesso terreno, pel semplice motivo che uno era americano e l’altro inglese.

Il signor Wilkye, un yankee purosangue, malgrado non contasse in quel tempo che trentadue anni, era già noto negli Stati dell’Unione. Figlio di un ricco costruttore di velocipedi, morto più volte milionario, aveva già intrapreso lunghi viaggi e compiuto assai ardite esplorazioni sulle coste della Groenlandia, spingendosi fino allo stretto di Smith, sulle spiagge della Terra della Regina e della baia di Baffin, perdendo la nave che aveva armata a proprie spese, rimasta prigioniera fra i ghiacci, dopo due svernamenti.

Oltre a ciò, professava un vero culto pel velocipedismo ed aveva fama di esserne uno dei più resistenti campioni. [p. 6 modifica] Aveva già fondato parecchi Club e di molti era il presidente.

Il secondo, invece, era un ricchissimo armatore, proprietario di una trentina di navi a vela ed a vapore e di un grandioso cantiere, ed era pure noto pei suoi numerosi viaggi intrapresi in tutte le regioni del globo e particolarmente nei mari australi del circolo polare.

Bei tipi entrambi però, audaci, risoluti, decisi a tutto. Erano tutti e due di statura atletica, con membra poderose, muscoli di ferro, abituati ai più duri esercizi del corpo; erano diversi soltanto nelle tinte. Mentre l’americano aveva i capelli e la barba nera e la pelle bruna, che tradivano un incrocio di razze nordiche colle meridionali, l’altro invece aveva i capelli e la barba rossi e la pelle rosea come un anglo-sassone.

Riprendiamo ora il filo della nostra veridica istoria.

Il signor Wilkye, dopo d’aver vuotata la sua tazza di birra per umettarsi la gola, disse:

— Questa spedizione inglese, così miseramente naufragata...

— Tagliate corto, lo interruppe Linderman.

— Adagio, caro signore, disse l’americano. Il signor Bisby deve essere illuminato.

— Grazie, amico, disse il negoziante di carni salate.

— Questa spedizione, dunque, era stata organizzata da Leight Smith, un uomo che aveva già conoscenza dei mari polari. Era partita da Peterheaand il 14 giugno dello scorso anno, diretta al polo, portando provviste per quattordici mesi.

Componevasi di Smith, d’un capitano, d’un chirurgo e di ventidue marinai. Il 23 luglio l’Eira, tale era il nome della nave, giunse alla terra Francesco Giuseppe, ma colà si vide la strada chiusa dai ghiacci. [p. 7 modifica]

La spedizione ritornò, sperando di trovare un altro passaggio, ma presso le isole Bell la nave veniva imprigionata dai campi di ghiaccio. Il 7 agosto riusciva ad aprirsi un varco ed a ripartire, ma otto giorni dopo veniva rinchiusa dai ghiacci presso il capo Flora, ed il 21 affondava sotto la pressione dei banchi. L’equipaggio s’accampò a terra, passò l’inverno vivendo di carni d’orsi bianchi e di morse e il 22 giugno di questo anno s’imbarcava nei canotti che aveva salvato, cercando di guadagnare le coste della Russia settentrionale. Dopo sei settimane impiegate ad attraversare un immenso campo di ghiaccio, giungeva al mare libero ed approdava alla Nuova Zembla. Ora il telegrafo annunziò che la spedizione è stata raccolta nello stretto di Matotkine dallo steamer Hope comandato da sir Allen Young, che era stato mandato in cerca dell’Eira dal governo inglese. Ecco il motivo della nostra discussione.

— Io non m’intenderò che di carni salate, ma mi pare, signor Linderman, che quella spedizione abbia fatto una magra figura, disse Bisby.

— Andate a parlare di buoi, voi! esclamò l’inglese con tono acre. Cosa ne sapete voi di spedizioni polari?

— Sono un membro della Società Geografica anch’io e...

— Degli uomini grassi che non s’occupano che di mangiare.

— Ma io dico che se quei signori che montavano quel bastimento fossero stati americani.....

— Si sarebbero affogati, signor negoziante di carni. La fine della vostra Jannette, informi1. [p. 8 modifica]

— Ma, disse uno dei bevitori, che non si possa proprio andarci al polo, signor Linderman?

— Sì e no.

— Eh!... esclamò Wilkye.

— Sì e no, ripetè l’inglese. Io dico che, finchè cercheranno di andarvi con delle navi che camminano come le lumache, le lasceranno fra i ghiacci.

— Vorreste andarci a piedi? chiesero alcuni.

— No, lo scorbuto, le fatiche, i grandi freddi ridurrebbero i marinai in tali condizioni, da non poter avanzare per lungo tempo.

— E allora?

— Io sono convinto che con una nave rapidissima si potrebbe giungervi.

— Vorrei vederla alla prova, disse Wilkye. Io invece affermo che solo con dei velocipedi montati da uomini robusti si potrebbe raggiungere il polo.

Un oh! di sorpresa echeggiò nella sala, a quella strana affermazione. Il signor Linderman proruppe invece in una clamorosa risata.

— Si è mai udita una cosa simile! esclamò. Ma voi impazzite, signor Wilkye...

— Con vostro permesso, non ancora.

— Ma vi pare!...

— Cosa vi trovate di così strano? Ragioniamo, signor Linderman.

— Ma fin che lo desiderate. Sarei curioso di conoscere il vostro sbalorditivo progetto.

— Una nave credete che possa spingersi fino all’80° di latitudine?

— Sì, se la stagione è propizia.

— Quale distanza corre dall’80° di latitudine al polo?

— Dieci gradi..... [p. 9 modifica]

— Ossia 600 miglia geografiche. Questa distanza sarà immensa per un equipaggio che deve percorrerla a piedi, traendosi dietro i viveri, le scialuppe, le slitte, le tende per l’accampamento, insomma tutto il pesante bagaglio ... che solo con dei velocipedi montati da uomini robusti.... (pag. 8)


necessario; ma cosa sono 600 miglia per un velocipedista? Sei giorni di viaggio, sette, ammettiamone pure otto.

— È vero! esclamarono gli astanti, con vivo stupore.

— Dunque in sette od otto giorni un velocipedista [p. 10 modifica] destro, robusto, può giungere al polo; in altrettanti voi ammetterete che possa ritornare.

— Ma i viveri, la tenda, la cucina per riscaldarsi le vivande...

— Si possono portare, signor Linderman.

— Non datemi da bere delle frottole. Vorrei vedere anch’io alla prova i vostri soci del Club velocipedistico.

— Vi dico che riuscirebbero meglio di una rapida nave.

— Storie!

— Sono pronto a dimostrarvelo coi fatti mentre voi, signor inglese, non osereste farlo! esclamò l’americano, riscaldandosi.

Il signor Linderman impallidì, poi s’alzò e, percuotendo per la seconda volta il tavolo, esclamò:

— È una sfida che voi, signor americano, gettate a me?

— Prendetela come volete, mi troverete sempre pronto.

— Credo che siate ricco, voi.

— Almeno così si dice.

— E che abbiate del tempo da perdere.

— Sì, signor Linderman.

— E che non abbiate tanto cara la vostra pelle.

— Peuh!... L’ho giuocata tante volte!...

— E ci tenete?

— A cosa, signor Linderman?

— Ad andare al polo?...

— Scherzate? chiesero gli astanti.

— No, parlo seriamente, disse l’inglese con voce grave. Io andrò alla scoperta del polo con una delle mie navi che fila venti nodi all’ora e voi, se non avete paura, ci andrete coi vostri velocipedi.

— Sia!...

— Fra otto giorni metterò a vostra disposizione la mia nave e andremo a sbarcare sulle terre australi. [p. 11 modifica]

— Australi?...

— Sì, signor Wilkye. Scelgo un terreno quasi vergine; andremo a scoprire il Polo Sud, anzichè quello Nord. La stagione è propizia, poichè nelle regioni australi comincia l’estate.

— Accettato, ma una osservazione prima.

— Parlate.

— Gli affari sono affari e non voglio dovere all’Inghilterra, che ora voi rappresentate, alcun debito. Fissate il prezzo pel trasporto di undici persone.

— Duemila dollari.

— Benissimo.

— Ho una osservazione da fare anch’io, ora.

— Parlate.

— Quando saremo giunti sulle spiagge delle terre australi, ricordatevi che io sono inglese e voi americano e che ognuno agirà per proprio conto.

— Saremo nemici.

— Mortali nemici, signor Wilkye. Io lotterò esclusivamente per la mia bandiera.

— Ed io per la mia.

— E non vi porgerò aiuto alcuno.

— E nemmeno io.

— Basta così: fra otto giorni, all’alta marea, noi salperemo.

— A due bandiere.

— Cosa volete dire?

— Che sul picco della randa, accanto alla bandiera inglese voglio si spieghi quella degli Stati dell’Unione.

— Avete ragione: pagate, e il diritto vi spetta: fra otto giorni vi attendo dinanzi ai miei cantieri!...

  1. La spedizione della Jannette era stata organizzata dal proprietario del giornale il New-York Herald nel 1880 e doveva cercare un passaggio libero fra lo stretto di Davis e quello di Behering. Affondata al nord della Siberia, soli pochi uomini poterono raggiungere la costa e anche di questi, alcuni morirono di fame nel delta della Lena.