Atto primo

../Mutazioni di schiene ../Atto secondo IncludiIntestazione 12 settembre 2023 75% Da definire

Mutazioni di schiene Atto secondo
[p. 8 modifica]

ATTO PRIMO.

SCHIENA PRIMA.


Tempesta marittima sulle campagne di Cappadoccia con tuoni, lampade, saette, percosse, e battiture.

Ostilio, e Ciborra.


Cib. Assai dicesti, Ostilio, io nulla intesi:
          Forse il gran Domator degli Ateniesi
          D’una ciurma rubella
          Vincitor non sarà?
Ost. Roma non è più quella;
          I Dattili, e Spondei
          Più feroci, che mai,
          Regina, se nol sai,
          L’offerte d’amistà non hanno in calle1.
          La Tiburtina Valle
          Tutta d’armi risuona;
          Il Ciel folgora, e tuona.
          E se il rumor non senti,
          Odi le voci d’un, che ti consiglia,
          Fa, che poi non ti penti.
Cib. Già non è maraviglia,
          Che tu mi sii nemico.
          Ignoro i tuoi accenti;
          Ma da’ tuoi movimenti
          Conosco il tuo livor.
          So, che m’invidii il Soglio;
          Ma non ti lusingar, vendetta io voglio.

[p. 9 modifica]

               Sulle Affricane arene,
                    Là dove arrabbia il cane,
                    T’assalirò domane,
                    E ti farò tremar.
               Per la gran Dea d’Imene,
                    Per Giove, che va in cocchio,
                    Giuro, che almeno un occhio
                    Ti voglio sradicar.

corrono.


SCHIENA II.


Cessa la tempesta, e si vede l’Iride all’intorno.

Adramiteno, e Jetaco.


Adr. L’orbite delle Stelle
          Nel gran giro degli anni
          Versan giù nuovi affanni,
          Nè risparmian gli Eroi:
          Negalo tu, se puoi?
Jet. Signor, due luci belle
          Puon far misero un Re, che di trofei
          Abbia una soma immane.
          Le altre vicende umane
          Co’ Prenci Semi-Dei
          Quasi non han che far:
          Dimmi, se dico il ver?
Adr. Eh! che sei menzognero;
          Del folle cieco Dio
          Il vezzo lusinghiero
          Non si cura da noi.

[p. 10 modifica]

Jet. Pur dalle terme oscure
          Sollevasti alla Reggia
          Testè una Ninfa ignota:
          Se questo non è amor sarà una fota2.
Adr. Sarà quello, che vuoi; ma a te non lice
          Scrutare i miei pensieri.
          Vanne intanto a Ciborra;
          Dille, che aspetto qui; dille, che corra.
Jet. Ella ha un piede malsano...
          Scusa, Prence, il mio amor,
Adr. Come, tu l’ami ancor?
Jet. No, appunto parlavo di Tiziano....
Adr. Fa, che tu dica il vero.
Jet. Lo dico, e giuro per la Dea Vestale;
          Metti in pace il tuo cor, non son rivale.
               Prima vedrai sul Nilo
                    L’America in periglio,
                    Che di Ciborra il ciglio
                    Si vanti del mio amor,
               L’Asia non è l’asilo
                    D’ascetiche Sabine;
                    Nè a un rabbuffato crine
                    Quivi s’appende un cor.

si licenziano.


SCHIENA III.


Adramiteno solo.


(parlando colla Platea, e indicando il suggeritore.

Olà, Custodi, in carcere profondo
Traducete costui;
E del mio amor in pegno

[p. 11 modifica]

Attaccatelo a un legno.
Così fia noto al mondo,
Ch’amo più di me stesso
La vendetta, il rigor, la vita, il Regno.

parte, poi ritorna dicendo

E perchè egli non fugga i sdegni miei,
Mettetegli ben stretti i manichei:
Così con gentilissima maniera
D’ingegnoso ritegno
Ritrova freno una cervice altiera.
                    Aria tepida.
     Come il Leon feroce
          Va a divorar l’abete;
          Ma poi se incontra Ermete
          Comincia a vacillar:
     Così l’accesa foce
          D’un cor che non paventa,
          Si spegne, e si rallenta,
          Se sente a nevicar.

parte di nuovo.


SCHIENA IV.


Gran piazza del foro di Cappadoccia, in cui vedesi da una parte l’incanto dei mobili d’Adramiteno, e dall’altra Saltimbanchi, Cavadenti, Mimi, Zezzoli liscj, Acque, e Covili apparenti.

Ciborra, ed Asinio incatenato per equivoco.

Asin. Principessa gentil, le mie catene
          Opra son di tua man, e i miei tormenti,

[p. 12 modifica]

          Barbara, se nol credi,
          Figlj del tuo rigor, son tuoi eredi.
Cib. Queste son cantilene,
          Che già facea lo Scito
          Al grande simulacro di Nabuco;
          Credimi, Asinio caro;
          Prendi miglior partito,
          Lascia l’armi. e l’amor, e fatti Eunuco.
Asin. E poi?
Cib. Fra li più illustri Eroi
          Avrà luogo il tuo nome.
Asin. E come!
Cib. Di più non ricercare;
          Del furioso Orlando
          Sarai l’emulator.
Asin. E quando?
Cib. Allorchè il Sole perderà i suoi rai.
Asin. E dove mai?
Cib. Nel mare di Faenza,
          Là dove ogni Nocchiero
          Già perde la pazienza
          Nel gran buseo3 d’Ajace.
          Asinio, ho detto assai, lasciami in pace.
Asin. Che Principessa audace!


Duetto.


Asin.          Quando nascesti, oh Dio!
                    Tenera come scoglio,
                    All’ambizion del Soglio
                    Tu non pensavi ancor.

[p. 13 modifica]

Cib.          Tu quando in mezzo all’armi
                    Perdevi gli escrementi,
                    Degli amorosi accenti
                    Non ti curavi allor.
Asin.        Ah che bei sentimenti!
Cib.          Ah che soavi accenti!
A due          Son voci tenere,
                    Che l’alma Venere
                    M’inspira al cor.
Asin.        Fuligine tu sei.
Cib.          Fuggi dagli occhi miei.
A due          Amo, che il folgore
                    Ti renda in cenere,
                    E che il can cerbero
                    Ti cavi il cor.
Asin.        O che cari complimenti!
Cib.          O che amabili argomenti!
A due          Son voci tenere,
                    Che inspira Venere
                    La Dea d’amor.


FORA, FORA, FORA 4.


Da capo.

Asin. Quando nascesti, oh, Dio! ec.

dispajono.

[p. 14 modifica]

SCHIENA V.


Sala greggia, Orti penduli, e Case rustiche al meriggio con rabeschi di servitù urbane 5, di Lucerte, e Barbacane.

Curatore, e Somarinda.

Som. Importuno deh taci! Or non è tempo
          Di favellar di liti;
          I superbi Quiriti
          Già richiamaro a Roma Adramiteno,
          Le sue nozze tentai sin dalle fasce;
          E n’è contento il caro
          Mio consorte addottiyo, il buon Ostilio.
          Or se fia mai, che quel Duce mi lasce,
          Sdrucciola la mia sorte,
          E il mio onor è in periglio;
          Fa dunque il tuo dover, inarca il ciglio.
          Va quinci senza indugio
          A esporre a Adramiteno il nero inganno,
          Che arreca ai figlj suoi,
          Figlj, che meritaro in Te il rifugio,
          Figlj di grandi eroi, figlj sperati,
          Che da me nasceranno:
          Ah! di’, ch’egli è un tiranno.
Cur. Accheta, Somarinda, il tuo furore:
          Non sai, che de’ guerrieri
          È sempre austero il core,
          Nè si cura da loro,
          Che di sanguigne gesta
          Una fama funesta?

[p. 15 modifica]

Som. Ma di natura umana i dolci moti?
Cur. A loro sono ignoti.
Som. E la ragion, ed il buon senso umano?
Cur. Son cose da Pagano.
          D’Adramiteno il core
          È come l’obelisco,
          Ch’ė in mezzo al laberinto.
          Quando ei nacque, non l’ebbe, al dir di Prisco?
          E il cieco Dio d’Amore
          Col suo stral l’ha dipinto.
Som. Dunque i miei nascituri...
Cur. Cara, non ci pensare,
          Hanno in me un difensor, e son sicuri.
               Sai di loro che sarà?
                    Se gli vuol la sorte in braccio,
                    Voglio dirle: eccoli quà
                    I figliuoli ricercati.
               Ma se alcun lor tende un laccio,
                    Voglio dirgli: via di là,
                    Che i figliuoli non son nati;
                    Via di quà, via di là.
               Con un sì, o con un no
                    Voglio farli laureati,
                    E il mio cor giubilerà.
                    Ma frattanto i miei vacati...

grattandosi il capo.

               Qualchedun li pagherà.

partono per battello.




Fine dell’Atto primo.


Note

  1. [p. 74 modifica]Culle; metaplasmo usato in grazia della rima, per cale.
  2. [p. 74 modifica]Una fota; voce piemontese, originaria francese, vale una follia, un errore.
  3. [p. 74 modifica]Buseo; voce comune nel Bresciano; e propria di quel dialetto, che significa luogo immondo e puzzolente, o mucchio di laidezze.
  4. [p. 74 modifica]Fora; voce usata dai piemontesi nelle danze, nelle feste, e ne’ teatri, quando si desidera replica, ed equivale a fuora, fuora, voci italianizzate nel xvi secolo, ed ora non più in uso nel puro scrivere italiano.
  5. [p. 74 modifica]Servitù urbane; vedi la nota 18.