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XIII Un settario che osserva la legge

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XIII Un settario che osserva la legge
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CAPITOLO XIII.

Un settario che osserva la legge.

— Bigino... fatti innanzi!... più innanzi! — cominciò con voce alquanto aspra il Torresani. — Sul tuo tessero veggo notate quattro trasgressioni dal primo d’anno a tutt’oggi... Un’altra ancora, e saremo autorizzati a levarti la patente di conduttore... Ciò dipende da noi... dal nostro beneplacito... Bada ora dunque a rispondere con sincerità alle nostre interrogazioni; a tale patto soltanto noi potremo usarti qualche indulgenza. Per tre notti consecutive, contrariamente alle prescrizioni dell’Ufficio di Sorveglianza, tu ti sei permesso di esercitare il servizio fuori di torno, e di prendere l’alto senza accendere i fanali...

Il Bigino, che posava dinanzi al pulpito in un’attitudine da cinico petulante, crollò leggermente le spalle, e fissando i suoi occhi avvinazzati in quelli del Torresani:

— Signor Questore — rispose — il servizio fuori di torno... com’ella può bene imaginare... qualche volta diviene obbligatorio... sopratutto... se gli altri colleghi di professione (ciò che accade sovente...) dopo essersi sbarazzati del soffietto acustico, si addormentano della quinta, e caschi il mondo, non scendono al richiamo. Quanto poi alla questione dei lumi, la colpa non è mia, dacché ai [p. 144 modifica] fanali della gondola mancano quattro vetri, ed ella sa meglio di me, signor Questore onorevolissimo...

— Io non mi chiamo Questore, ma Capo di Sorveglianza...

— La perdoni...! Noi altri milanesi siamo un po’ duri a imparare le parole nuove... sopratutto se queste parole non esprimano che idee antichissime... e rappresentino delle istituzioni altrimenti qualificate nei tempi addietro. Gli è già molto se abbiamo potuto abituarci a denominare Questura ciò che nel secolo scorso si chiamava Polizia...

— Lasciamo andare queste inezie — rispose il Torresani con un suo sorrisetto che aspirava ad essere ingenuo. — Bigino!... Io so bene che malgrado le tue irregolarità nell’esercizio della tua professione, tu sei un buon figliuolo, un buon cittadino, ed all’Università passavi anche per uno spirito pronto e illuminato... Tu conosci le leggi dello Stato e ne comprendi lo spirito e le intenzioni. Tu sai che in un Governo ben ordinato, libero, popolare, dove tutti hanno uguali diritti e uguali doveri, ciascun cittadino che non renda testimonianza del vero contro i malfattori... che non cooperi...

— Non serve studiare le frasi — interruppe il Bigino col suo fare più bislacco. — In un governo ben ordinato, libero, popolare... tutti siamo in dovere di fare la spia...!

— Tu profferisci una parola che in verità... suona alquanto sinistra ed antipatica alle masse... ma pure... ne convengo...

— Via! parliamo giù alla meneghina! Rendere testimonianza e fare la spia... sono due frasi che si equivalgono perfettamente... Ma via! Non sgomentatevi, signor Questore. Io amo alquanto bisticciare sulla elasticità del linguaggio umano e sulle consuetudini dei tempi. Dopo aver compiuto il corso completo nelle Università [p. 145 modifica] della Unione, anche a noi conduttori di gondole è permesso di filosofare un pochetto. Del resto io vi dichiaro, signor Questore, che fra i tanti doveri che opprimono i liberi cittadini della Unione, questo di rendere testimonianza per effetto di legge lo ritengo il più sacro. Per incoraggiarvi, dirò di più. Io appartengo a quella setta di politici, i quali si accordano nel principio che il mondo non sarà mai perfettamente governato, fino a quando il potere esecutivo non sarà nelle mani di tutti!

Il Torresani fece una smorfia sinistra.

Le ultime parole del conduttore di gondole rimescolavano nella sua mente una terribile idea, una idea che era il tormento delle sue ore inoperose, l’incubo delle sue notti più insonni. Commissari di polizia, questori, capi di sorveglianza, non sacrifichereste voi una metà del vostro stipendio per allontanare questo orribile fantasma che vi grida eternamente con un milione di voci: rivoluzione!... mutamento di Governo! anarchia!?...

Ma il vecchio Torresani riprese ben tosto la sua calma, e fingendo di non aver compreso la minaccia del suo interlocutore:

— Bigino! — gli disse — poiché ti veggo sì ben disposto a secondare l’autorità, nella quale, per ora, si concentrano i poteri necessarii alla tutela dell’ordine pubblico, non dubito che tu vorrai rispondermi con tutta schiettezza. Nelle tue ascensioni fuori di torno, tu hai condotto delle persone sospette alla volante stazionata da circa dieci giorni al disopra della città, portante abusivamente il numero 2724.

— Persone sospette!... Ecco delle parole molto elastiche e molto abusate dagli antichi e dai nuovi rappresentanti dell’autorità governativa. Sarebbe ormai tempo di sopprimerle, onorevolissimo Questore. Il sospetto è il nemico più naturale della equità, ed è quasi sempre il [p. 146 modifica] precursore della ingiustizia. Basta! A suo tempo muteremo il frasario... Io vi ho detto, onorevole Torresani, che intendo adempiere al dovere di testimonianza con iscrupolosa sincerità. Risparmiatevi dunque la pena delle subdole interrogazioni, e lasciate che io esponga i fatti nella schiettezza dell’animo mio. Il vostro metodo di inquisizione potrebbe irritarmi, ed io sarei tentato di reagire con quelle medesime armi che voi siete soliti adoperare in tali occasioni.

Il Torresani si morse le labbra, e ripensò ai tempi beati, quando una osservazione di tal genere, indirizzata ad un Commissario di Polizia, avrebbe valso all’inquisito due o tre mesi di arresto.

Il Bigino, senza attendere altro cenno, si fece a narrare la sua istoria:

— La sera dell’otto corrente, verso nove ore, uno sconosciuto venne a patteggiare la mia gondola per una ascensione diretta, eccedente l’elevatezza legale. Per altri mi sarei rifiutato; ma l’individuo mi si diede a conoscere per un graduato della setta equilibrista, ed io dovetti obbedire. Salimmo rapidamente, i lumi si spensero, il mio uomo non fece parola durante l’ascensione; egli governava il timone per dirigere la gondola, e frattanto girava rapidamente il suo chatvue per esplorare gli spazi tenebrosi. Giunti alla nave ancorata, egli stesso volle gettare gli uncini di presa, e dopo avermi generosamente regalato, mi pregò di attendere alcuni minuti. Poco dopo, quattro individui discesero nella mia gondola, staccarono gli uncini, e mi ordinarono di calare verso gli orti Balzaretti. Nell’atto di pagarmi, gli sconosciuti mi imposero di tornare la sera appresso in quel medesimo luogo, donde sarebbero ripartiti per l’alto colla mia gondola. Promisi e tenni parola. A dieci ore della notte, io presi l’alto co’ miei quattro individui [p. 147 modifica] per risalire alla volante ancorata. Essi entrarono nella nave; io, dietro loro richiesta, patteggiai di risalire la notte seguente per tenermi pronto ad ogni cenno. Si fecero parecchi viaggi...

— Basta! — interruppe il Torresani, il quale durante l’esposizione del Conduttore non aveva cessato mai di sfogliare i documenti che erano ammassati nel suo pulpito — so quante volte sei asceso, quante volte sei calato, e con quanti individui, e in quali circostanze. Lodo la tua schiettezza, Bigino. Ma ora, per abbreviare le formalità dell’esame, io ti prego rispondere alle poche domande che sono per indirizzarti: Nell’ultima tua calata, hai tu deposto in Milano qualcuno degli abitatori della Nave?

— Uno.

— Il primo, forse, lo stesso che, la sera dell’otto, venne a noleggiare la tua gondola, dandosi a conoscere per un graduato della setta equilibrista...?

— Un altro...

— Uno dei quattro...?

— Un individuo, che io non aveva mai visto, una persona molto seria, molto interessante.

— E questa persona... molto seria... molto interessante... ti ha fatto promettere di tornare colla tua gondola... a rilevarlo...?

— Al contrario, gusta volta io fui licenziato, e congedato formalmente.

— Bigino!... Un ultimo favore, poi ti lascio andare pei fatti tuoi, senz’altra molestia: ti prego di salire un istante sul mio pulpito...

Il conduttore si avanzò verso il pulpito colle mani in saccoccia, e giunto presso i gradini, si fermò come un ciuco restìo.

— Salite, dunque, cittadino fratello!... [p. 148 modifica]

— Cittadino questore, io non amo i luoghi alti...

— Tu! un conduttore di gondole volanti!...

— Le gondole si elevano nell’aria libera; ma qui... più si va in alto... e più manca il respiro...

— Dunque, cittadino Bigino, tu vuoi proprio che il vecchio Torresani discenda?...

— Chi è salito discenda, chi è caduto si rialzi, tale è il motto degli Equilibristi.

Il Torresani scese dal pulpito, e accostandosi al Bigino con affabilità carezzante, gli pose sottocchio un ritratto fotografico.

— Conosci tu questa figura?

— È lui!... quegli che la sera dell’otto richiese pel primo la mia gondola...

— Sta bene! Ed ora, sfogliamo rapidamente l’Album dei pregiudicati; e vediamo se fra questi duecento ritratti tu puoi riconoscere anche l’altro individuo che hai deposto in città nell’ultima tua calata.

Il Bigino sfogliò rapidamente il gran libro, e poi crollò la testa in segno negativo.

— Dunque egli non è qui? Osserva bene! Non v’è alcun figuro qua dentro di tua conoscenza?

— Ho detto di no!

— Bigino!... Tu hai parlato di una persona seria... interessante... Non sapresti fornirmi altri connotati di quell’uomo?... Aspetta... Bigino!... Una idea!... Colui è iscritto tra gli affigliati alla setta degli Equilibristi!... Vediamo un po’!...

Così parlando, il Torresani spiccò un salto verso il suo pulpito, aperse un cassettino, ne levò un ritratto in fotografia, e tornando presso il conduttore di gondole, glielo pose sotto gli occhi.

Il Bigino guardò fissamente l’effigie, poi il vecchio Capo di Sorveglianza che sorrideva maliziosamente — [p. 149 modifica] e obbedì alla voce del dovere, che gli imponeva la testimonianza legale:

— È lui!...

—Lui!!! — esclamò il Torresani — lui... a Milano!...

Ma il Capo di Sorveglianza non lasciò intravedere che un lampo della immensa sua gioia. Immediatamente egli congedò il conduttore, salì di nuovo in bigoncia, e adunati intorno a sé tutti i subalterni che durante l’interrogatorio erano rimasti sulle porticelle come altrettante cariatidi, riassunse con voce convulsa le sue deduzioni:

«Nella volante incriminata si trova il famigerato Antonio Casanova, altro dei graduati della setta di Equilibrio, ladro, falsario, truffatore, barattiere da giuoco, già processato in contumacia in due dipartimenti della Unione, privato d’ogni diritto di famiglia, e oggimai posto fuori della legge. Gli agenti di Sorveglianza hanno dunque sulla nave e sull’individuo il diritto di cattura e di esterminio, del quale possono prevalersi in ogni tempo e in qualsivoglia circostanza senza obbligo di intimazione. Il Compartimento di complicità è incaricato di segnalare la detta nave a tutti gli Uffizii dello Stato, trasmettendo a ciascun Uffizio una copia fotografica del veicolo, col ritratto del reo inassolvibile. Quanto poi all’altro individuo, parimenti affigliato alla setta degli equilibristi secondo ogni probabilità residente ora in Milano, noi possiamo constatare essere questi un celebre industriale da pochi giorni elevato al rango dei Primati dell’intelligenza, l’inventore della macchina per la pioggia artificiale, noto attualmente sotto il nome di Albani Redento. Non risulta dai nostri cataloghi verun delitto a di lui carico, ed essendo l’Albani nel suo pieno diritto di percorrere ed abitare a suo beneplacito tutti i dipartimenti della Unione, noi non ci terremo obbligati ad esercitare [p. 150 modifica] su lui una speciale sorveglianza. Pure, considerata la circostanza pregiudiziale di aver egli viaggiato in un veicolo sospetto e in compagnia di uomini riprovati e processati e condannati a tutto rigore di legge, credo opportuno e prudente far seguire le sue tracce, e far sindacare le sue azioni da quattro uffiziali di prevenzione, i quali verranno scelti fra i più cauti e manierosi del compartimento. Questi quattro uffiziali si pongano immediatamente sulle peste. L’Albani è proprietario di una villa suntuosa, sulle sponde del canale Lariano, a venti miglia dalla città. I nostri bracchi fiutino per quella parte, e troveranno il loro uomo. Prudenza, discrezione, alacrità, rapporti celeri e immediati! — Abbiamo inteso? Il processo è esaurito!...

Il Torresani, dopo queste parole, toccò la molla di congedo, i subalterni sparirono com’erano venuti, le porticelle si chiusero, e la sala rimase deserta.

Poco dopo, il vecchio Capo di Sorveglianza spediva a Pietroburgo un telegramma:

«Bolza, — sei un imbecille! — Albani è a Milano da otto giorni, e tu l’hai veduto ieri a Pietroburgo; da questo momento ti metto in disponibilità con un quarto di stipendio».

E subito da Pietroburgo un telegramma di risposta:

«Albani è qui; ho fatto colazione con lui stamattina al Caffè Kertzel. Mettendomi in disponibilità commettereste un abuso di potere, e la vedremo!

«Bolza».


Il Torresani, letto il dispaccio, rimase alcuni minuti sopra pensiero. I suoi occhi erano quelli del gatto che vede levarsi a volo una allodola sfuggitagli dall’ugna.

— Non importa! — esclamò poco dopo — le deposizioni del Bigino varranno a qualche cosa, se non altro a convincere il Gran Proposto della nostra buona volontà.