Abrakadabra/Il dramma storico/XIV
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CAPITOLO XIV.
Antonio Casanova1.
La strategia dell’astuto Torresani, tuttoché abilissima, questa volta non giunse a salvarlo dalle mistificazioni del più scaltrito industriante dell’epoca.
Questo industriante, o meglio cavaliere di industria, chiamasi Antonio Casanova.
Per discoprire i suoi ingegnosi stratagemmi ci converrà salire nelle regioni dell’aria, all’altezza di mille novecento metri, per introdurci nella sua cabina riservata.
La sua nave si era ancorata al disopra di Milano fino dal 4 settembre, sebbene gli esploratori dell’alto cielo non l’avessero avvertita che tre giorni più tardi.
Antonio Casanova aveva scelto il suo tempo per venire a Milano. La straordinaria affluenza di veicoli aerei e terrestri che portavano alla famiglia dell’Olona tante migliaia di forestieri attratti dal nuovo spettacolo della pioggia artifiziale, era una circostanza molto propizia a’ suoi disegni. I cavalieri di industria corrono dov’è la folla.
La biografia del nostro barattiere fornirebbe un romanzo poco edificante, ma pieno di interesse. Io mi limiterò ad accennarne alcuni tratti, nei quali si scorge come il progresso delle scienze, delle arti e delle industrie si possa facilmente usufruttare dai birboni al maggior danno della società.
Le prime scene del mio racconto splendevano di poesia, di amore e di felicità; io mi compiaceva di spaziare nella luce di questo secolo avanzato e meraviglioso, che io godeva raffigurarmi tanto diverso dal nostro nel più completo sviluppo di ogni idea liberale e umanitaria, nella soddisfazione di tutti i desideri più nobili e più audaci. Ed eccoci, troppo presto, intricati in quel labirinto di miserie, di bassezze, di fatuità, di stravaganze, di delitti, che costituiscono il fondo reale e positivo di tutta la istoria umana!
La nostra fantasia può ben colorire di rose tutta un’epoca, e abbellirla di un prestigio incantevole; può rappresentarsi la perfezione ideale dello spiritualismo e della virtù, incarnata nei suoi molteplici personaggi; ma essa non può mentire a sé medesima al punto da rinnegare uno dei due elementi che costituiscono la natura dell’uomo. Esageriamo il bene a comodo nostro, e noi vedremo, sulle orme di quello, insorgere il male in proporzioni gigantesche. Estraete il fuoco dalla silice; e mentre gli assiderati ne ritrarranno la vita, il prete si trarrà in disparte a meditare l’orrendo supplizio dei roghi. Mentre voi benedite l’acciaio che vi fornisce il vomere a coltura dei campi, il boia imaginerà la mannaia. Quale è la scienza, quale l’industria, che possa vantarsi innocente di corruzione e di calamità? La stampa, che diffonde la luce, moltiplica i pregiudizi!, il telegrafo accelera il moto del pensiero, e serve alla menzogna dei despoti, alle frodi della Borsa. Dappertutto i due elementi dell’uomo si rivelano: il bene ed il male camminano di pari passo. Il secolo d’oro è inconcepibile.
Perdonate la digressione, e proseguiamo il racconto.
Antonio Casanova di poco oltrepassava i trent’anni, e già il suo nome era tristamente famoso nella Cronaca criminale dell’epoca. Questo insigne barattiere avea già posto in allarme tutti gli uffizi di sorveglianza dei Dipartimenti della Unione, le Questure e le Polizie dell’altre parti del mondo.
Dotato di una forza fisica sorprendente, magnetizzatore di prima potenza, il Casanova aveva incominciate le sue prodezze nelle case da giuoco.
La sua volontà efficiente si esercitava con mirabile effetto sulle carte e sulle palle da bigliardo. Aveva viaggiato parecchi anni con una stecca di sua invenzione, nel cui legno perforato scorreva un zampillo di mercurio iniettato in una vena capillare di nervi umani. Quel tubo era un inalterabile conduttore della volontà. Il Casanova, lanciando la sua biglia, non aveva che a prescriverle il corso nella sua mente, perché quella obbedisse al suo volere come un corpo intelligente. La palla descriveva sul verde tappeto delle curve, dei circoli inverosimili. La colla, il salto degli uomini, la carambola, nessuna difficoltà di giuoco imbarazzava quell’avorio prudente e sicuro, il quale trionfava di ogni ostacolo, e pareva schernire la trepidazione dei circostanti. Il Casanova, usando della sua stecca, poteva dare venti punti al più abile giuocatore...
Al macao, al lanzichenecchi, all’ecarté, le istesse risorse magnetiche. Il Casanova, purché avesse le carte nelle mani, col semplice tocco delle dita, mutava i picche in fiori, i cuori in quadri, sostituiva un fante ad un asso, creava il suo giuoco. Egli vinceva colla volontà, portando ne’ suoi competitori il turbamento e la disperazione. Guadagnava tesori.
Ma questa professione del giuoco era troppo monotona per uno spirito insofferente e fantastico. Il Casanova ne fu presto annoiato. La sua natura era perversa. Più che l’utile proprio egli amava il danno d’altrui. Il giuoco non gli offriva che delle vittime volontarie, uscite per la più parte dai ranghi più screditati della società; egli aveva bisogno di portare il male nelle famiglie oneste, nelle classi più stimate e, a suo vedere, più felici. Sopratutto egli si compiaceva di truffare gli uomini altolocati, i funzionar! del Governo, i primati dell’intelligenza. Tutto ciò che era talento, illustrazione, rappresentanza di moralità e d’ordine pubblico, per lui, anima di Caino, era oggetto di odio e di persecuzione. Affigliato alla setta degli Equilibristi propugnatori della anarchia universale, in breve era salito ai primi gradi dell’ordine. Gli Equilibristi domandavano la perfetta uguaglianza sociale, ma fra essi era già stabilita la gerarchla. I settarii di buona fede cooperavano, inconscii od illusi, alle sue ladrerie. Nelle città più importanti della Unione e d’altre parti del mondo, il Casanova poteva impiegare al servizio de’ propri disegni una camorra potente. Rubava, e divideva co’ suoi correligionarii il quinto dei redditi. Il resto spendeva in gozzoviglie, ovvero in procacciarsi nuovi mezzi a compiere le sue imprese temerarie.
Ed ora, dopo questi brevi cenni, vediamo il nostro uomo nell’azione che direttamente si riferisce alla nostra istoria.
- ↑ Il narratore di questa istoria, riproducendo dei personaggi famigerati o famosi che già figurarono in epoche passate, intenderebbe di mettere in evidenza una delle tante ipotesi o teorie simboleggiate nell'Abrakadabra, cioè che le individualità costituenti l'umana specie sieno in ogni tempo le medesime, sebbene, a norma delle circostanze o delle consuetudini, si manifestino sotto aspetto differente. Così, ogni età ebbe i suoi Neroni, i suoi Caligola, come i suoi Bruti, e i suoi Scevola. Il secolo decimonono diede gli Haynau e i Murawieff proconsoli atroci, più crudeli e più sanguinari di quelli di Roma antica. Fondete in uno Garibaldi e Mazzini: eccovi il Rienzi tribuno. I nomi sono una convenzione del caso, ma i personaggi di tutte le istorie perfettamente identici. — Il secolo decimottavo produsse un Casanova, ciarlatano, barattiere da giuoco, briccone, vera stoffa da Cagliostro, altro furfante famigerato. Riportate al ventesimo secolo un personaggio di tal tempra, sussidiatelo colle nuove scoperte della scienza, dotatelo di singolare potenza magnetica, fornitegli una nave aerea, un chatvue, e tutti i meccanismi della industria contemporanea — e avrete il birbone più completo che mai sia esistito. Il Casanova del secolo decimottavo, cogli uguali mezzi, non sarebbe stato da meno, (Veggansi le Memoires de Casanova).