Zecche e monete degli Abruzzi/Sulmona

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X.


SULMONA.


La più bella gloria di Sulmona è quella di aver dato i natali ad Ovidio, com’egli stesso ci attesta nella decima elegia del quarto libro delle Tristi:

Sulmo mihi patria est, gelidis uberrimis undis,
Millia qui novies distat ab urbe decem.

E tanto caro ebbero i sulmonesi questo vanto della loro terra, che ne’ bassi tempi, a somiglianza dei mantovani i quali nelle monete il nome e l’effigie di Virgilio improntavano, adottarono per insegna del comune le quattro iniziali dell’emistichio Sulmo Mihi Patria Est, iscrivendole in oro sul campo rosso del loro scudo, e ripetendole nelle monete e nei sigilli. A ciò non ponendo mente l’infaticabile Muratori, quando pubblicò i bolognini sulmonesi di Carlo di Durazzo e di Ladislao, già dati in luce dal Vergara, che aveva lasciate senza spiegazione le sigle s.m.p.e., così ne scriveva, disperando di rilevarne il senso: Has vero alii interpretentur, neque enim succurrunt nisi divinationes, quas facile utique proponerem, sed facilius alii possent rejicere1. Delle arbitrarie e strane interpretazioni che qualche oltramontano erudito ne tentò in appresso, senza mai coglier nel segno, taccia la critica nel silenzio pietosa. Primo a spiegarle fu quell’indefesso raccoglitore delle memorie storiche di Sulmona, Ignazio Di Pietro, la cui opera2 , che vide la luce [p. 94 modifica]in Napoli nel 1804, mi sarà guida ad illustrare i monumenti superstiti della zecca sulmonese.

Sulle monete nel medio evo in essa coniate appare talvolta il busto di san Panfilo, più di frequente quello di san Pier Celestino, che abbiamo già osservato impresso del pari sulle aquilane. Fu san Panfilo vescovo di Sulmona dal 682 al 701; e discopertone nel nono secolo il corpo, venne onorato di pubblico culto nella cattedrale che dal suo nome si volle intitolata. Pietro di Angelerio, nativo d’Isernia, menò santa vita nell’eremo del Morrone appo Sulmona, e assunto al pontificato, che tenne solo pochi mesi nel 1294, col nome di Celestino V, fondò l’ordine dei celestini, e ne costituì sede precipua l’antico e diletto suo romitorio. Annoverato fra’ santi negli anni 1313, ebbe sempre venerazione particolare dai sulmonesi; talchè sui bolognini di Carlo III e di Ladislao lo si effigiò a preferenza del santo vescovo Panfilo.

Dissi nel secondo capitolo risalire le origini delle contemporanee zecche dell’Aquila e di Sulmona alle guerre civili combattute negli Abruzzi fra il primo Lodovico di Angiò e Carlo di Durazzo, terzo re di Napoli di questo nome. Riportandomi alle ragioni ivi esposte, e stante la mancanza di documenti della fondazione di queste due zecche, che per Sulmona nè anche al Di Pietro fu dato di precisare, ricorderò solamente che questa città si tenne sempre ligia a Carlo, e fu da lui prediletta, e ne fece egli sua residenza in Abruzzo. Non dee perciò farci specie se, nell’agitato e breve governo di quel monarca, mentre stava inoperosa la maestra zecca di Napoli, ond’era uscita a’ giorni di Carlo II e di Roberto favolosa quantità di gigliati o di robertini, la sola Sulmona battesse monete di Carlo III, e tali che, scostandosi dal sistema napoletano, meglio si convenissero a stipendiare le truppe ed agevolare i traffichi in una provincia posta a’ confini della Chiesa, e tutta innondata dalle pontificie monete.

Il bolognino di Carlo di Durazzo, simile per tipo e valore a quello di Lodovico I, del quale ho dato bastevoli cenni nel [p. 95 modifica]secondo capitolo, ci mostra da una banda le quattro sigle s*m*p*e* disposte in croce, che prendono in mezzo una rosetta, e all’ingiro la leggenda *r*krolvs*t*, Rex Karolus Tertius, preceduta da un fiordaliso; dall’altra il busto colla tiara e veduto di fronte di san Pier Celestino, circondato dalla epigrafe *s*petrvs*p*, Sanctus Petrus Papa3. Pesa acini 21. Lo si vede intagliato nella quinta tavola al n. 44.

Re Ladislao continuò a tenere aperta la zecca in quella città, devota alla causa dei durazzeschi, e il 28 dicembre 1407 le concedette facoltà di rinnovare il sigillo del comune, che figurava le consuete iniziali s . m . p . e . d’oro in campo rosso, e aveva nel giro la iscrizione sigillvm vniversitatis civitatis svlmonis. Il bolognino di Ladislao, avvegnachè scemato non poco nel peso, è conforme nel tipo al precedente di Carlo, siccome quello che da una faccia ci rappresenta le sigle s . m . p . e ., e nel giro il nome ladislavs.r.; e dalla opposta leggesi intorno al busto di san Pier Celestino .s.petrvs.p., come vedemmo nell’altro4. È del peso di acini 14, e sta al n. 45 della tavola stessa.

Nelle guerre che scompigliarono le province del regno, e specialmente gli Abruzzi, i primi anni di Alfonso di Aragona, il costui competitore Renato di Angiò accordò ai sulmonesi, che per lui avevano parteggiato, la conferma della zecca; del qual fatto, quantunque manchino i documenti nè si trovin monete, pure ci serbarono indubitata notizia e prova i capitoli concessi a quella città da Carlo VIII nel 1495 e dal Lautrec nel 1528, che più sotto riporterò. Ma ricondotti coloro poco appresso alla obbedienza di Alfonso, nuovo privilegio di zecca conseguirono nel 1439 da questo re col diploma che segue:

Alfonsus Dei gratia rex Aragonum, Sicilie citra et ultra farum, Valentie, Hungarie, Ierusalem, Majoricarum, Sardinie et Corsice, comes Barchinone, dux Athenarum et Neopatrie, ac etiam comes Rossillionis ac Celitanie. [p. 96 modifica]

Nobilibus viris, universitati et hominibus civitatis nostre Sulmonis, fidelibus nobis sincere dilectis. Gratiam et bonam voluntatem gratis exhibere ad collationes beneficat ex debito naturalitatis adstringimur, sed illis qui pro nobis personarum et rerum dispendia subierunt obnoxius obligamur. Sane fuit noviter pro parte vestra dictorum hominum dicte civitatis nostre Sulmonis, per vestros sindicos presentes in nostra curia, expositio facta nobis quod vos, tam pro fama et bono nomine vestris, tam pro aliquo commodo reportando, cuperetis in ipsa civitate nostra Sulmone siclam ordinare et facere, super quam consensum per nostram majestatem prestandum ipsi sindici nomine et pro parte vestra humiliter postularunt. Nos vero, vobis et beneplacitis vestris quantum in nobis est viis omnibus exquisitis annuentes, maxime ubi cernimus vestrum imminere proficuum, consideratione presertim vestre fidelitatis intemerate quam ad nostram gessistis et geritis majestatem a qua, nedum ipsa, verum etiam et majora rationabiliter promeretis, his propterea et aliis considerationibus et causis mentem nostram moventibus inducti, supradictis universitati et hominibus dicte civitatis nostre Sulmonis tenore presentium, de certa nostra scientia et gratia speciali, tanquam benemerentibus, ex nunc in antea et usque ad nostram beneplacitum, liberam omnimodam et plenariam potestatem concedimus impartimur et tradimus quod ex nunc in antea de cetero, et usquedum nostrum perduraverit beneplacitum, in ipsa nostra civitate Sulmone siclam exerceri facere pro vestro libitu valeatis, et cudere infrascriptas monetas, videlicet:

mezzaninos argenteos, et de argento carolenorum, quemlibet scilicet eorum medium carolenum seu gigliatum constituentem, cum imaginibus et literarum nota legibili, demonstrantem majestatis nostre nomen impressione et clara visione;

bolognenos de argento, de liga bolognenorum, ita quod quinquaginta ipsorum ducatum constituant;

tornienses, valoris duorum denariorum, et [p. 97 modifica]

denarios, quorum duodecim bologninum constituant,

libere et sine aliqua contradictione, vobis quomodolibet per nostram majestatem seu quemcunque alium inferenda, servatia tamen per vos, in cusione ipsarum monetarum, ordinationibus probis et legalitatem servare solitis et consuetis, possitis et etiam valeatis; mandantes propterea tam magno camerario regni nostri Sicilie ejusque locumtenenti et presidentibus camere nostre summarie et thesaurariis, quam aliis quibuscunque officialibus nostris majoribus et minoribus, quocunque titulo et denominatione notentur officioque fungantur, ac quibuscunque nostris subditis et fidelibus dicti regni nostri Sicilie citra forum presentibus et futuris, qualenus jam dictus magnus camerarius et officiales dicte camere summarie et officiales predicti sinant et permittant ipsos universitatem et homines dicte civitatis Sulmonis, quamdiu nostrum perduraverit beneplacitum, dictam siclam laborare dictasque monetas cudi facere sine contradictione quacunque, nec non ipsi fideles nostri supra dictam pecuniam expendere recipere et dare pro quantitate superius distincta et declarata, sine renitentia aliqua, debeant et procurent, et contrarium non faciant, sicut ordinationes et mandata nostra non cupiunt disturbare, quibuscunque facientibus in contrarium vel quidquam in contrarium loquentibus nullatenus obetituris; presentes autem literas nostras parvo sigillo munitas et propria manu subscriptas vobis propterea dirigentes et concedentes in testimonium premissorum.

Datum in Castro Lapidum civitatis nostre Capue, die V mensis martij, II indict., anno Domini 1439.

Rex Alfonsus.

Lucas de Caramanico5. 


Delle nuove monete, la cui stampa fu accordata ai sulmonesi col riportato diploma, cioè mezzanini o mezzi carlini, bolognini da 50 al ducato, tornesi o doppii denari da sei al bolo[p. 98 modifica]gnino, e denari semplici o metà del tornese, non si conosce che il bolognino, ultimo coniato nel regno, del quale offro ai lettori al n. 46 la imagine, comunicatami dal dotto numismatico berlinese Giulio Friedländer6. Sopra una delle facce la scritta + r.alfonsvs. circonda le consuete sigle s . m. p. e . disposte in croce, e nel cui mezzo è una stellina o rosetta; sull’altra, il busto del santo vescovo protettore della città, il cui nome si legge nel giro s.panphilvs. Pesa acini 16.

Anche nella invasione di Giovanni di Angiò, ne’ primi anni del regno di Ferdinando I, Sulmona ottenne nuova conferma della zecca dal figliuolo di Renato, della quale non si conosce il tenore, nè più ci rimane verun monumento, ma che n’è accertata dai capitoli di Carlo VIII e del Lautrec. Ritornata poscia la città alla obbedienza di Ferdinando, la zecca vi fu riaperta, come lo prova il carlino, detto anche ferrantino d’argento dal nome del re, edito la prima volta da Giuseppe Maria Fusco7, e che ripubblico sotto il n. 47:.

D. + ferdinandvs:d:g:r:sicilie:v. Vtriusque. Arme inquartate di Aragona e di Napoli.

R. + dns:m:adivt — et:ego:d:im, Dominus mihi adjutor et ego despiciam inimicos meos. Il re seduto sopra due leoncini, d. scettro gigliato, s. globo crocigero, nell’area a mancina una s, iniziale dello zecchiere; nell’esergo, un cartellino bislungo colle sigle spme ci rivela coniato a Sulmona questo ferrantino. È la prima volta che le quattro iniziali rammemoranti la patria di Ovidio incontriamo collocate orizzontalmente sulle monete, e tali le scorgiamo eziandio in tutt’i pezzi di conio più recante.

All’appressarsi di Carlo VIII ai confini del regno, vedemmo già insorgere le terre di Abruzzo, ed aprire le porte agl’irruenti francesi. Sulmona aveva inalberata la bandiera dell’in[p. 99 modifica]vasore ancor prima dell’abdicazione di Alfonso II, nel gennajo 14958; e mandati poi suoi ambasciatori ad assistere alla solenne incoronazione di Carlo, ed a prestargli omaggio di fedeltà, ne otteneva in ricambio a’ 18 maggio di quell’anno una litania di capitoli di grazie e di privilegii, tra’ quali quello pure comprendeasi dell’antico onor della zecca, così suonando il tenore del XIX: Che in Solmona si possa battere la zecca in perpetuo, come si batte nell’Aquila, giacchè il re Raniero e il duca Giovanni d’Antegavia concederono ad essa città simil grazia. Carlo VIII rispose: Placet regiae majestati quod in dicta sicla cudatur moneta argentea ejusdem ligae et ponderis quemadmodum cuditur in sicla neapolitana9.

La università ne profittò, dando tosto mano alla stampa dei nuovi carlini, serbata nel titolo dell’argento la bontà prescritta dalle anteriori provisioni de’ principi, e nel peso il consueto dei ferrantini. Ho tratto dal Fusco il disegno di questa rarissima moneta, che do al numero 48:

D. + krolvs:d:g:r:francorv:si:i. Arme incoronala di Francia, nell’area a’ lati dello scudo le lettere k e l, sott’esso in cartello ellittico smpe.

R. + xps:vin:xps:reg:xps:impa: Croce ricrociata e gigliata, chiusa da quattro semicerchii10.

Se scarsa quantità di monete d’argento emise la zecca di Sulmona durante la occupazione delle armi di Carlo VIII, ci si mostra, per la copia dei tipi, singolarmente attiva nella stampa del rame. E valga il vero, non meno di sei varietà precipue di cavalli sono a notarsi, fatteci la maggior parte conoscere dal dotto Fusco; le quali tutte ci porgono dal lato nobile i tre fiordalisi nel campo, non chiusi entro lo scudo, ma sciolti e sormontati dalla corona, e sotto ad essi il cartello colle sigle smpe . Vedansi nelle tavole quinta e sesta i numeri 49, 50, 51, 52, 53 e 54. [p. 100 modifica]

La prima varietà aggiunge al titolo di re de’ Franchi quelli di Gerusalemme e di Sicilia, krolvs d:g.r:fr:ie:sici, ovvero karolvs (krolvs).d.g.r.fra (fr).sic (si).ie (i).; e dal rovescio la impresa comune alle monete francesi e napoletane di quel re, + xps.vin (vincit). xps.re.xps.imp. ovvero imper. (Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat), circonda la croce potenziata e cantonata da quattro crocette del pari potenziate, nota col nome di croce di Gerusalemme11.

La seconda varietà differisce dalla precedente per la croce ancorata, messa invece di quella di Gerusalemme12.

Sulla terza la maggior differenza che incontriamo dalle due prime è la croce gigliata, accostala da trifogli13.

E parimente ne diversifica la quarta, la cui croce è gigliata, striata e caricata di una rosetta il centro14.

Sulla quinta varietà leggiamo i soli titoli regii di Sicilia e di Gerusalemme, l’uno anteposto o posposto all’altro, krolvs:d:g.rex:ie:sici, ovvero karolvs.d.g.r.sic.ie; ricomparendo sull’altro lato la croce di Gerusalemme15.

La sesta si discosta dalla prima, perchè reca il solo titolo di Sicilia, *karolvs.d.g.r.sic.16.

Ritornata Sulmona sotto lo scettro aragonese, implorava mediante i suoi ambasciatori, il 18 agosto 1496, nuovi capitoli di grazie dal re Ferdinando II, e per lui da Guidubaldo di Montefeltro duca di Urbino, luogotenente generale delle armi pontificie, venete e milanesi, collegate alla difesa del regno, accampato allora a Pescara; e fra gli altri chiedeva nei seguenti termini [p. 101 modifica]la restituzione della zecca: Item se suplica che nella dicta cità de Sulmona se possa in perpetuum battere la zecca, secundo se batte nella cità de Napoli, ad utilitatem commodum et benefieium dicte universitatis. Alla quale domanda il duca di Urbino apponeva il suo placet, e secolui don Carlo di Aragona, luogotenente di Ferdinando, che ivi parimente trovavasi17.

Stante però la morte del re, poco dopo avvenuta, non fu possibile a quella officina di coniare altre monete che quelle del successore e zio di lui, Federico, a cui spetta il sestino di rame inciso sotto il n. 55, che ne raffigura il busto incoronato e rivolto di profilo alla destra, cinto dalla leggenda federicvs.d.g.r.si.i., e dal rovescio una croce potenziata d’intorno alla quale gira la epigrafe + sin.nomen.dni.benedi, Sit nomen Domini benedictum, interrotta dalle sigle smpe18.

L’ultima memoria della zecca di Sulmona è del 1528, due anni dopo la infeudazione di quella città, conferita da Carlo V con titolo principesco a Carlo Lannoy, quando il duca di Lautrec, luogotenente generale del re Francesco I di Francia, trovandosi sotto Napoli, il dì 29 aprile accordava in nome del suo signore i capitoli presentatigli dagl’inviati di quella università; fra i quali leggiamo ancor questo: Item se supplica sua illustrissima signoria se degni concedere promettere et far observare che in dicta cità de Sulmona se possa battere la zeccha in perpetuo, perchè per li quondam serenissimi re Raniero et illustre ducha Johanni de Angioya fo conceduta nila dicta cità de Sulmona, et etiam li fo conceduta dal quondam christianissimo re Carlo, siccome appare per soi privilegii..... R. — Quia facta est fides per magnificum dominum Johannem Joachim regium consiliarium quod universitas ipsa praestitit juramentum fidelitatis, propterea confirmabuntur eorum privilegia, quatenus recte riteque universitas ipsa usa fuerit et utetur, salvis [p. 102 modifica]juribus cujiugue et regii fisci19. Sennonchè, mutati nel volgere di pochi mesi, dopo la morte del Lautrec, i destini del regno, pare che quella concessione non avesse verun effetto, e che deva ritenersi cessata la zecca sulmonese con Federico di Aragona.



Note

  1. Muratori in Argelati, I, p. 41.
  2. Memorie storiche della città di Solmona, in 4.
  3. Vergara, o. c., tav. XV, n. 1. — Muratori in Argel., I, tav. XXX, n. 1.
  4. Vergara, o. c., tav. XVII, n. 2. — Muratori in Argel., I, tav. XXX, numero 6.
  5. Di Pietro, o. c., App. pag. 24, doc. n. XII.
  6. Il Friedländer descrisse questo bolognino nel Beiträge zur älteren Münzkunde, Berlin 1851, T. I, p. 231.
  7. G. M. Fusco, Intorno ad alcune monete aragonesi, tav. I, n. 2.
  8. G. V. Fusco, Monete di Carlo VIII, p. 132, doc. n. VII.
  9. Di Pietro, o. c., p. 297.
  10. G. V. Fusco, o. c., tav. III, n. 1. — Cartier, l. c., tav. IV, n. 7.
  11. Leblanc, o. c., p. 316. — G. V. Fusco, o. c., tav. III, n. 2, 3, 5, 6, 7. — Cartier, l. c., tav. IV, n. 8, 9.
  12. G. M. Fusco, Intorno ad alcune monete aragonesi, tav. II, n. 1. — G. V. Fusco, o. c., tav. III, n. 10, 11. — Cartier, l. c., tav. IV, n. 11.
  13. G. V. Fusco, o. c., tav. IV, n. 1. — Cartier, l. c., tav. IV, n. 12.
  14. G. V. Fusco, o. c., tav. IV, n. 2. — Cartier, l. c., tav. IV, n. 13.
  15. Vergara, o. c., tav. XXXI, n. 4. — Muratori in Argel., tav. XXXIV, n. 11. — G. V. Fusco, o. c., tav. III, n. 8, 9. — Cartier, o. c., tav. IV, n. 10.
  16. G. V. Fusco, o. c., tav. III, n. 4.
  17. Di Pietro, o. c., App. p. 36, doc. n. XX.
  18. Bellini, Dissert, altera, p. 105, n. XVI.
  19. Di Pietro, o. c., App. p. 43, doc. a. XXII. L’anno 1529, che leggesi a proposito di questo documento nella stampa del Di Pietro, dev’essere errore tipografico, essendo morto il Lautrec il 16 agosto 1528.