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SULMONA.
La più bella gloria di Sulmona è quella di aver dato i natali ad Ovidio, com’egli stesso ci attesta nella decima elegia del quarto libro delle Tristi:
Sulmo mihi patria est, gelidis uberrimis undis,
Millia qui novies distat ab urbe decem.
E tanto caro ebbero i sulmonesi questo vanto della loro terra, che ne’ bassi tempi, a somiglianza dei mantovani i quali nelle monete il nome e l’effigie di Virgilio improntavano, adottarono per insegna del comune le quattro iniziali dell’emistichio Sulmo Mihi Patria Est, iscrivendole in oro sul campo rosso del loro scudo, e ripetendole nelle monete e nei sigilli. A ciò non ponendo mente l’infaticabile Muratori, quando pubblicò i bolognini sulmonesi di Carlo di Durazzo e di Ladislao, già dati in luce dal Vergara, che aveva lasciate senza spiegazione le sigle s.m.p.e., così ne scriveva, disperando di rilevarne il senso: Has vero alii interpretentur, neque enim succurrunt nisi divinationes, quas facile utique proponerem, sed facilius alii possent rejicere1. Delle arbitrarie e strane interpretazioni che qualche oltramontano erudito ne tentò in appresso, senza mai coglier nel segno, taccia la critica nel silenzio pietosa. Primo a spiegarle fu quell’indefesso raccoglitore delle memorie storiche di Sulmona, Ignazio Di Pietro, la cui opera2 , che vide la luce