Zecche e monete degli Abruzzi/Tagliacozzo
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XI.
TAGLIACOZZO.
Il contado di Tagliacozzo, nel secondo Abruzzo ulteriore, sito sempremai memorabile per la battaglia ivi combattuta nel 1268 tra gli angioini e gli svevi, che costò all’infelice Corradino la libertà e la vita, primo ebbe Napoleone di Giacomo Orsini, recatogli in dote dalla moglie Isabella, ultima del suo casato, e ne ricevette nel 1255, come di feudo ecclesiastico, da papa Innocenzio IV la investitura. Gli succedette nella signoria il figliuolo Giacomo, dopo cui passò in Orso lo stato paterno; e morto Orso nel 1360, tennero Tagliacozzo indiviso cogli altri feudi i costui figliuoli, Rinaldo e Giovanni. I quali, seguitate prima le parti angioine a’ danni di Carlo di Durazzo, presero poscia le anni contro i Camponeschi d’Aquila, loro antichi alleati; e sospettati di ambire il dominio di quella città, furono massacrati ambidue il 1390. Rinaldo non ebbe prole maschile; Giovanni lasciò un figlio di nome Giacomo, che nel 98 prestò omaggio a re Ladislao, dopo di avere per lo innanzi spalleggiata la fazione angioina. Ma, deposti dal concilio di Pisa nel 1409 Benedetto XIII e Gregorio XII, ed eletto papa Alessandro V, il nuovo pontefice, minacciato dalle armi di Ladislao, chiamò il secondo Lodovico di Angiò al ricupero del reame, ed accolse la offerta fattagli dall’Orsino di mettersi a’ suoi servigii. Giacomo, recatosi a Bologna, ove s’era ritirato Alessandro, gli presentò il dì 5 febbrajo 1410 il gonfalone del popolo romano; ed il pontefice, per rimeritarlo della fede promessa alla Chiesa ed alla causa angioina, staccava dagli stati di Ladislao il contado di Tagliacozzo, e con rinnovata investitura gliene concedeva il vicariato perpetuo, trasmissibile a’ successori, sciogliendolo da ogni vincolo di vassallaggio alla corona di Napoli, e ponendolo sotto la diretta supremazia della Chiesa. Invaso frattanto il regno da Lodovico, l’Orsino guidava nel 1411 le truppe assoldate dalla Chiesa alla giornata di Roccasecca, ove Ladislao fu sconfitto. Malcontento poi dell’angioino, che non aveva tratto verun profitto da quella vittoria, Giacomo gli volse le spalle l’anno appresso, e fu compreso nella pace e, perdonato, rientrò in grazia del durazzesco. Ma nè anche questa volta gli si tenne lungamente devoto; perciocchè, invasi da Ladislao nel 1413 gli stati ecclesiastici, accorse alla difesa di Tivoli, invocato da quegli abitanti; sennonchè Tivoli cadde in potere del re, che subito statuì vendicarsi del suo ribelle, assalendone le castella. La morte di Ladislao liberò l’Orsino da ogni pericolo, e venne in grazia di Giovanna II, cui si mantenne fedele1.
Spetta a costui il bolognino, che si dà per la prima volta con ogni diligenza e verità intagliato al n. 56 nella tavola sesta, di cui un negletto disegno pubblicò il Cinagli, che non seppe a quale attribuirlo degli Orsini conti di Tagliacozzo2. Mostra esso da un lato il busto del pontefice Alessandro V, circondato dalla leggenda . alexandr. pp.v., e dall’avverso lato la iscrizione + .taliaco3o *.; e nell’area le sigle t. a . l . c . disposte in croce, ad imitare il consueto tipo dei bolognini di Roma e di Abruzzo. In esso devesi rimarcare il fiordaliso sul busto del pontefice, e la rosa che succede al nome della zecca, emblemi che non credo posti a capriccio, ma sì per indicare col primo la insegna di Angiò, col secondo degli Orsini. È parimente notevole nel rovescio il nome di Tagliacozzo, scritto per intero e ripetuto abbreviato nella stessa faccia; esempio singolare nella numismatica italiana, se non avesse un riscontro nei bolognini pontificii di quella età, notati dalla stessa parte colle due epigrafi v.r.b.i. e in.roma, ovvero de.roma.
Non mi fu dato di verificare se questa zecca si fosse dall’Orsino aperta arbitrariamente, o per concessione papale; e fino a che non possa l’una o l’altra opinione sostenersi con documenti, potrà con uguale probabilità questa o quella accettarsi. È vero che l’analogia ci moverebbe a credere Giacomo, sì caldo fautore di Lodovico d’Angiò, insignito del diritto della moneta da papa Alessandro, che lo aveva infeudato di Tagliacozzo, in quella guisa che Napoleone II, conte di Manopello e protonotario di Ladislao, era stato onorato di simile privilegio dal suo signore, diciannove anni addietro, come ho dimostrato illustrando la zecca di Guardiagrele; ma gli è altrettanto vero che molti baroni vassalli della Chiesa s’erano arrogato di loro arbitrio quel sovrano diritto. Sia la cosa come si vuole, è indubitato che la stampa del bolognino di Tagliacozzo dee riportarsi al brevissimo tempo che papa Alessandro V tenne la cattedra di san Pietro.
Non si avrebbe però in questa moneta l’unica memoria di quella zecca, se fosse da aggiustar fede alle parole di monsignor Corsignani vescovo di Venosa: «In Tagliacozzo ed in Solmona sotto Federigo di Aragona, e secondo di questo nome re di Napoli, fu qualche tempo per ordine regio da Lodovico Antonelli patrizio aquilano fatta coniar la moneta per gli bisogni degli Abruzzi, come consta dal privilegio colla data di Castelnuovo nell’anno 14963.» Quanta credenza abbiasi da prestare all’asserzione di monsignore, non so davvero; ma questo è certo che, delle monete di Federico d’Aragona, niuna reca indizio che ce la faccia ritenere od anche sospettare coniata a Tagliacozzo.