Vita di Frate Ginepro/Capitolo II
Questo testo è completo. |
◄ | Capitolo I | Capitolo III | ► |
Cap. II.
na volta, volendo lo demoniò suscitare a frate Ginepro scandalo e tribulazione, andossene a uno crudelissimo tiranno che avea nome Niccolajo, il quale allora avea guerra colla cittade di Viterbo, e disse: — Signore, guardate bene questo vostro castello, perocché incontanente debbe venire qui un grande traditore; mandato da’ Viterbesi, acciocché uccida e metta fuoco nel castello. E che ciò sia vero, io vi do questi segnali. Egli va al modo d’uno poverello, con vestimenti tutti rotti e ripezzato, e col cappuccio rivolto alla spalla lacerato; e porta con seco una lesina colla quale egli vi debbe uccidere, et allato uno focile, col quale esso debbia mettere fuoco in questo castello; e se questo voi non trovate vero, fate di me ogni giustizia. — A queste parole Niccolajo tiranno tutto impaurí e rinvenne, et ebbe grande timore, perocché colui che gli dicea queste parole parea una persona da molto. Comanda che le guardie faccino con diligenzia, e se questo uomo colli sopraddetti segnali viene, che di subito sia rappresentato dinanzi a lui. In questo mezzo viene frate Ginepro solo, che per la sua virtú siaveva licenzia d’andare e stare solo, come a lui piacesse. E scontrossi frate Ginepro con alquanti giovanazzi, quali truffandosi, cominciarono a fare grande dissoluzione di frate Ginepro. Di tutto questo non si turbava, ma piuttosto induce costoro a fare maggiori beffe di sé. E giugnendo alla Porta del castello, le guardie vedendo costui cosí dísformato, con l’abito stretto e tucto lacerato; perocché lo abito in parte per la via per l’amore di Dio avea dato a’ poveri, e non avea alcuna apparenza di frate minore, perocché de’ segni dati manifestamente appareano, con furore è menato dinanzi a questo tiranno Niccolajo. E cercato dalla famiglia, s’egli aveva arme da offendere, e trovandongli nella manica una lesina, colla quale si racconciava le suola; ancóra gli trovarono uno fucile, il quale egli portava per fare fuoco; perocché avea il tempo abile, e ispesse volte abitava per li boschi e diserti. Veggendo Niccolajo i segni, in costui, secondo la informazione del demonio, comandò che gli sia arrandellata la testa, e cosí fu fatto, e con tanta crudeltade, che tutta la corda gli entrava nella carne. E poi lo puose alla colla, e fecegli tirare et istrappare le braccia, e tucto il corpo dissipare e sanza nessuna misericordia. E domandato; chi egli era, rispuose: — Io sono grandissimo peccatore; — e domandato s’egli volea tradire il castello e darlo a’ Viterbesi, rispuose sono massimo traditore, et indegno d’ogni bene. — E domandata se egli volea con quella lesina uccidere Niccolajo tiranno, et ardere il castello, rispuose: —- Che troppo maggiori cose e piú grandi farei, se Iddio il permettessi. — E questo Niccolajo, vinto dalla sua iracundia, non volle fare altra esaminazione; ma sanza alcuno tempo di termine, a furore, giudica questo frate Ginepro, come traditore et omicidiale, che sia legato alla coda d’uno cavallo, et istrascinato per la terra insino alle forche, e ivi sia di súbito impiccato per la gola. Frate Ginepro di tucto questo nessuna escusazione né tristizia fa né prende, ma, come persona che per l’amore di Dio si contentava nelle tribulazioni, stava tutto lieto et allegro. E mandato ad esecuzione il comandamento del tiranno, e legato frate Ginepro per 1li piedi alla coda d’uno cavallo e strascinato per la terra, non si rammaricava, né doleva, ma, come agnello mansueto menato al macello, andava: con ogni umiltade. A questo ispettaculo e súbita giustizia corse qui tutto il populo a vedere giustiziare costui in festinazione e crudeltade, e non era’conosciuto. Nondimeno, come Iddio vuole, un buono uomo che avea veduto pigliare frate Ginepro, e di súbito il vedea giustiziare, corre al luogo dei frati minori e dice: — Per Dio, vi priego che vegnate tosto, imperocché è stato preso un poverello di súbito, et è stata data sentenzia e menato a morte: venite, almeno che egli possa rimettere l’anima nelle vostre mani, ch’a me pare una buona persona, e non à auto spazio dí potersi confessare; et è menato ad impiccare e non pare che la morte curi, né di salute della sua anima: piacciavi di venire tosto! — Il Guardiano, ch’era uomo piatoso, va di súbito per sovenire alla salute sua; e giugnendo, era già tanto multiplicata la gente a vedere questa giustizia, che non poteva avere l’entrata; e costui istava et osservava il tempo, e così stando, udiva una bocie infra la gente che dicea: — Non fate, non fate, cattivelli, che voi mi fate male alle gambe! — A questa bocie pigliò il Guardiano sospetto che non fosse frate Ginepro; et in fervore di spirito si gitta tra castoro e rimuove la fascia della faccia di costui, e allora conobbe veramente ch’egli era frate Ginepro: e però volle il Guardiano per compassione cavarsi la cappa e rivestire frate Ginepro. Et egli, con lieta faccia, quasi ridendo, disse: — O Guardiano, tu se’ grasso, e parrebbe troppo male la tua nudità: io non voglio. Allora il Guardiano con grande pianto priega questi esattori e tutto il populo che debbiano per pietade aspettare un poco, tanto ch’egli vada a pregare il tiranno per frate Ginepro, se di lui gli volesse fare grazia. Acconsentito gli esattori e certi istanti, credendo veramente che e’ fussi di suo parentado, va il divoto e piatoso Guardiano a Niccolajo tiranno con amaro pianto, e dice: - Signore, io sono in tanta ammirazione e amaritudine, che con lingua io non lo potrei contare; imperocchè mi pare che in questa terra sia oggi commesso il maggior peccato, e ’l maggiore male che mai fosse fatto a’ dí de’ nostri antichi: e credo sia stato fatto per ignoranzia. Niccolajo ode il Guardiano con pazienza, e domanda il Guardiano: - Quale è il grave difetto e male, che è oggi commesso in questa terra? - Rispose il Guardiano: - Che unode’ piú sncti frati che sia oggi all’Ordine di sancto Francesco, di cui siete divoto singolarmente, voi sí avete giudicato a tanta crudele giustizia, credo certamente senza alcuna ragione. Dice Niccolajo: - Or dimmi, Guardiano, chi è costui? che forse non conoscendo, i’ ò commesso grande difetto. Dice il Guardiano: - Colui che avete giudicato a morte, è frate Ginepro compagno di sancto Francesco. Istupefatto Niccolajo tiranno, perchè aveva udito la fama sua e della sancta vita di frate Ginepro, e quasi attonito, tutto pallido si corse insieme col Guardiano, e giungne a frate Ginepro, et iscioglielo dalla coda del cavallo e liberollo, e, presente tutto il populo, si gettò isteso in terra dinanzi a frate Ginepro, e con grande pianto dice sua colpa dell’ingiuria e della villanía, ch’egli avea fatta fare a questo sancto frate; e aggiunse: - Io credo veramente, che i dí della vita mia mala s’approssimano, dappoich’i’ò sto sancto uomo istraziato cosí sanza alcuna ragione. Iddio prometterà alla mia mala vita ch’io morrò in brievi dí di mala morte, quantunque io l’abbia facto ignorantemente. Frate Ginepro perdonò a Niccolajo liberamente: ma Iddio promisse ivi a pochi dí passati che questo Niccolajo tiranno finí la sua vita con molto crudele morte. E frate Ginepro si partí lasciando tutto il populo bene edificato. A laude di Jesú Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Cap. III.
mperocché li demonj non potevano sostenere la purità della innocenzia e profonda umilitade di frate Ginepro, siccome appare in questo: una volta uno indemoniato, oltre a ogni sua consuetudine e con molta diversitade gittandosi fuore nella via, con nepente corso si fuggì per diversi tratti sette miglia. Et addomaandato et avuto da’ parenti, li quali il seguitavano, con grande amaritudine perché tanta diversitade fuggendo avea fatta, rispuose: — La cagione è questa: imperocché quello istolto Ginepro passava per quella via: non potendo sostenere la sua presenzia, né