domandato s’egli volea tradire il castello e darlo a’ Viterbesi, rispuose sono massimo traditore, et indegno d’ogni bene. — E domandata se egli volea con quella lesina uccidere Niccolajo tiranno, et ardere il castello, rispuose: —- Che troppo maggiori cose e piú grandi farei, se Iddio il permettessi. — E questo Niccolajo, vinto dalla sua iracundia, non volle fare altra esaminazione; ma sanza alcuno tempo di termine, a furore, giudica questo frate Ginepro, come traditore et omicidiale, che sia legato alla coda d’uno cavallo, et istrascinato per la terra insino alle forche, e ivi sia di súbito impiccato per la gola. Frate Ginepro di tucto questo nessuna escusazione né tristizia fa né prende, ma, come persona che per l’amore di Dio si contentava nelle tribulazioni, stava tutto lieto et allegro. E mandato ad esecuzione il comandamento del tiranno, e legato frate Ginepro per 1li piedi alla coda d’uno cavallo e strascinato per la terra, non si rammaricava, né doleva, ma, come agnello mansueto menato al macello, andava: con ogni umiltade. A questo ispettaculo e súbita giustizia corse qui tutto il populo a vedere giustiziare costui in festinazione e crudeltade, e non era’conosciuto. Nondimeno, come Iddio vuole, un buono uomo che avea veduto pigliare frate Ginepro, e di súbito il vedea giustiziare, corre al luogo dei frati minori e dice: — Per Dio, vi priego che vegnate tosto, imperocché è stato preso un poverello di súbito,