Viaggio in Dalmazia/Del Contado di Traù/4. Dell'Isola di Bua
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§. 4. Dell’Isola di Bua.
L’Isola di Bua, detta Bubus da Plinio, è per tal modo congiunta colla Città di Traù, che non mi credo permesso di separarnela, quantunque ell’abbia tanta varietà di cose osservabili, che meriterebbe di formare un articolo a parte. Le numerose abitazioni raccolte sul lido di Bua, che guarda Traù, possono degnamente portare il nome di Borgo; e formerebbero da se un considerabile paese, se la vicinanza della Città non le oscurasse. Fa però d’uopo confessare che il Borgo è assai meglio situato che la Città medesima. Ne’ tempi della decadenza dell’Impero chiamavasi Boas, e furono relegati in quest’Isola parecchi illustri Uomini caduti in disgrazia della Corte, fra’ quali Fiorenzo Maestro degli Ufizj dall’Imperatore Giuliano, Immezio da Valente, e l’Eretico Gioviniano. Fa d’uopo, che gl’Imperatori di Costantinopoli, o non conoscessero bastevolmente questa pretesa Siberia, o volessero trattare con molta clemenza i relegati. Egli è certo, che il clima dell’Isola è dolcissimo, l’aria perfetta, l’oglio, l’uve, i frutti eccellenti, il mare vicino abbondante di pesci, il porto vasto, e sicuro. Nè l’estensione d’essa è tanto picciola, che un galantuomo non vi potesse passeggiare, e cavalcare a suo comodo: poichè à dieci miglia di lunghezza, e intorno a venticinque di circuito, nè, benchè sia molto elevata, può chiamarsi aspra.
Vedesi nella Borgata di Bua una Palma dattilifera natavi quarantatrè anni sono, che sta sempre esposta ai cangiamenti dell’aria, e da dieci anni in quà non manca mai di produrre abbondantissima copia di Datteri. Questi non sono per vero dire della più perfetta qualità: sono però mangiabili ad onta d’un po’ d’aspretto, che ritengono forse dall’essere la Palma un poco troppo abbandonata all’intemperie dell’Inverno, che per quanto sia dolce sull’Isola di Bua, è però sempre più rigido, che l’invernate de’ luoghi nativi delle Palme in Africa, e in Asia. Forse in conseguenza del non aver un maschio vicino, che la fecondi, la Palma di Bua produce Datteri privi di nocciuolo. In luogo di esso ànno una cavità, le di cui pareti sono un poco più resistenti che il resto della polpa. È probabile, che se il proprietario di questa Palma la facesse coprire nel tempo d’Inverno, i Datteri ch’ella produce fossero più dolci.
Varj impasti di marmo, e di pietra dolce io ò incontrato su quest’Isola, e molti più ne troverebbe chi avesse da farvi replicate osservazioni. V’à del marmo bianco comune da fabbrica di pasta Istriana, rigido, madroso, che scheggiasi come le selci; v’à del marmo laminoso tegolare della stessa natura, nella superficie del quale veggonsi spesso impressioni, o protuberanze di Corpi marini petrificati. Vi domina il marmo Lenticolare di non sempre uguale durezza; vi si trovano vene di pietra dolce calcarea trattabile dallo scalpello, e crete rassodate, e gruppi di spati stalagmitici, che da’ nostri scalpellini sono conosciuti sotto ’l nome d’Alabastri fioriti. Selci di più colori, e d’incostantissime forme si veggono prese nel marmo, ed erranti nella terra schistosa, che divide in alcun luogo i filoni petrosi, e circondate sovente d’aggregati di Corpi marini lapidefatti. Non trovai verificata dal fatto in quest’Isola, nè in verun altro luogo della Dalmazia, dove le selci s’incontrano prese negli strati di marmo, l’asserzione del Signor di Reaumur, che dell’origine loro scrivendo nelle Memorie dell’Accademia disse, “che le focaje affettano per lo più una sorte di rotondità.“ Elleno trovansi a Bua per lo più angolose irregolarissimamente, colle faccie piane, a grossi pezzi, interrompendo visibilmente la continuità del marmo. Sembrano a chi le vede cadute dall’alto per qualsivoglia accidente, e senza sofferire alcuna fluitazione sepolte dal proprio peso nella fanghiglia marina, che poi coll’andar degli anni rassodossi in marmo sott’acqua, indi col girar di più secoli restò all’asciutto, e soffrì tutte quelle rivoluzioni, che sono necessarie perchè vengano squarciati gli strati continui, restino divisi i monti, e ne siano trasportate le membra sminuzzate in ghiaja, ed arena, e perchè finalmente ne rimangano isolate le parti coll’introduzione di lontani mari, i flutti de’ quali percotendo impetuosamente le radici delle nuove Isole scompongano, e corrodano a poco a poco il lungo lavoro d’acque più antiche. Le selci di Bua, e assai comunemente quelle di tutta la Provincia, che trovansi sepolte ne’ monti marmorei, portano così chiari segni di separazione da una massa continua, ch’io sarei tentato di credere si sieno staccate da strati molto estesi di monti, che più non esistono: quantunque il celebre Naturalista sopra nominato scriva che le focaje mai non si trovano disposte a strati. A questa congettura mi dà coraggio il ricordarmi d’aver personalmente osservato, e’l trovare minutamente descritto ne’ miei Odeporici uno strato di focaja verde, che vedesi attraversare orizzontalmente le materie vulcaniche d’una delle isolate colline di Montegalda, fra Padova, e Vicenza, detta il Monte-lungo. Ò poi cento volte avuto sotto gli occhi selci nere disposte a strati ne’ colli Euganei, e colà spezialmente dove sono formati di quella spezie di pietra calcarea bianca, scissile, piena di dendromorfi piriticosi, che fra noi chiamasi Scaglia, e pel resto d’Italia viene comunemente detta Alberese. Io so d’aver anche veduto sulle spiaggie di Manfredonia in prodigiosa quantità i ciottoli di focaja fluitati, erranti; e dieci miglia più addentro, al passo del Candelaro, ciottoli di focaja scantonati, coll’esterna corteccia candida, presi in una spezie di fragilissimo tufo marino composto da Madrepore, e frantumi di Testacei petrificati. Ma nè i ciottoli di Manfredonia, nè quei della collinetta aggiacente al Candelaro sono nativi de’ luoghi, dove attualmente si trovano, anzi manifestamente sono stati portati d’altronde.
Da questi fatti io mi credo concesso il diritto di rivocare in dubbio l’universalità della dottrina del Linneo: silex nascitur in montium cretaceorum rimis, uti quartzum in rimis saxorum1. Nè quindi stimo, che al dottissimo Naturalista rimprovero d’inesattezza si deggia fare; egli avrebbe scritto altrimenti, se nelle nostre contrade meridionali avesse viaggiato, o da’ nostri Osservatori avesse ricevuto notizie. Se ’l trovarsi le selci sovente disposte a strati prova che il Sig. de Reaumur non avea ragione di dire, che per lo più sono erranti, la frequenza poi grandissima de’ ciottoli silicei erranti, e divenuti probabilmente tali dopo d’essersi sciolti dal cemento de’ marmi brecciati, prova che il Sig. Linneo à tutti i torti nel prescriver loro l’assoluta legge di nascere nelle fenditure de’ monti cretacei. Io ò più volte trovato le selci nell’atto per così dire del passaggio dallo stato calcareo al siliceo; ed in particolare ne ò frequentemente incontrato di ravvolte nelle materie Vulcaniche. M’è anche venuto fatto di disporre in serie i varj gradi di questo passaggio, ed ò avuto la compiacenza di farli vedere a molti dotti Amici nostri.
Le focaje di Bua prese nel marmo sono alcuna volta circondate da una crosta ocracea poco più grossa di mezza linea; alcun’altre sono macchiate di ruggine, e talora finalmente, quando sono erranti nella creta, o ne’ frantumi di Corpi marini inegualmente petrefatti, affettano una sorte di rotondità. Ve n’ànno di ramose, di cilindriche, di globose, e fatte a foggia di pero: ma queste figure sono anche comuni a molti pezzi di pietra non silicea, che ne’ medesimi luoghi si trovano ad un tratto insieme colle focaje, e al di fuori malagevolmente si ponno da esse distinguere. Una focaja cilindrico-stiacciata, ch’io ò fatto pulire, è tutta compenetrata di vene di spato calcareo cristallizzato, che circondano piccioli ritagli di selce ripieni di minuti corpicelli marini del genere delle Frumentarie. Questo pezzo è de’ più atti a far girare il capo a chi si lusingasse di veder netto nella formazione delle selci. Confessa Henckel nella sua Piritologia, dopo d’averne parlato a lungo, ch’ella è inintelligibile2.
- ↑ Linn. Syst Nat. Silex.
- ↑ Nella Collezione del N. U. s. Giacomo Morosini, vedesi fra le altre molte pregevoli curiosità fossili, una Tavoletta di Diaspro tolta dai monti di Recoaro, presso alla fonte delle Acidule, in cui la pasta della pietra, e i guscj delle Terebratole, e Grisiti, che vi stanno prese, è silicea; l’interno poi dei detti Corpi marini è ripieno d’una candidissima cristallizazione calcarea.