Viaggio in Dalmazia/Del Contado di Traù/3. Della Città di Traù, e del Marmo Traguriense degli Antichi
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§. 3. Della Città di Traù, e del Marmo Traguriense degli Antichi.
Traù, detta dagli Slavi Troghir, lontana da Sibenico intorno a trentaquattro miglia di mare, se non è Città molto considerabile pell’estensione delle sue mura, o pel numero de’ suoi abitanti, lo è però assai pell’antichità della sua fondazione, pe’ dotti Uomini che produsse, e pello spirito di concordia Cittadinesca, che vi regna. I Siracusani moltiplicatisi nell’Isola d’Issa fuor di proporzione coll’angusta circonferenza del paese, staccarono una Colonia, che andò a fabbricare Traù. La situazione, ch’eglino scelsero, prova che i Greci furono in ogni tempo avveduti, e che non degenerarono trapiantandosi in paesi stranieri. Giace questa Città su d’un’Isoletta artificiale congiunta al Continente da un ponte di legno, e coll’Isola Bua da un sodo argine di muro intersecato da due ponti di pietra, e da un levatojo, che serve al passaggio delle barche.
La larghezza del canale fra la Città, e l’Isola Bua è di circa trecencinquanta piedi; egli è frequentatissimo dai Legni, che temono il mare, e che da Zara all’estremità orientale della Provincia studiansi di viaggiare lungo la costa sempre coperti dall’Isole.
Della Storia di questa Città pubblicò un farraginoso volume abbondantissimo di documenti, e buone notizie il celebre Giovanni Lucio, che vi nacque di nobilissima famiglia ora estinta. Ella à prodotto parecchi Uomini di Lettere, nella Biblioteca d’uno de’ quali fu rinvenuto il celebre Codice di Petronio col Frammento della cena di Trimalcione. Di questo Codice, che lo Spon à potuto vedere del MDCLXXV, non m’è riuscito di trovare alcuna traccia. Coriolano Cippico, Marino Statileo, Tranquillo, e Paolo Andreis sono i più illustri nomi fra’ Letterati Traurini. Di questi, e d’altri io darò forse in più opportuna occasione dettagliate memorie, profittando dell’erudite fatiche del dottissimo Vescovo, che si occupa nel raccoglierle; quando egli, che può farlo superiormente, non le dia al Pubblico per onore della sua Nazione.
Plinio facendo breve menzione di Traù, lo distingue dagli altri stabilimenti Romani pella celebrità del suo marmo; Tragurium oppidum Romanorum marmore notum. Vitaliano Donati à creduto, che il marmo Traguriense degli Antichi sia quello, ch’è conosciuto a’ dì nostri sotto il nome di marmo d’Istria, o di Rovigno. Sarà forse così; nè io ardisco d’asserire francamente il contrario a fronte d’un sì celebre Uomo. Ma se il marmo Traguriense fosse stato quella spezie di pietra forte volgare, onde in buona parte sono composti i lidi, e l’Isole dell’Istria, e della Dalmazia, i Romani non avrebbono avuto bisogno di trarlo da Traù. I monti vicini a Roma, che dominano le Paludi Pontine sino a Terracina, (per lasciar da parte i mediterranei di que’ contorni) sono per lo più composti di questa medesima spezie di marmo, che io credo di poter chiamare marmo, o pietra forte dell’Apennino, da che l’ossatura di quella catena di monti n’è quasi totalmente composta. Egli è certo, che con molto minore spesa se ne potevano condurre masse grandissime da Terracina a Roma, che dalla Dalmazia. Nè si può dire, che i Romani non conoscessero le cave del marmo Apennino, e non sapessero quanti gran pezzi se ne potessero trarre. Fra gli altri luoghi, ne’ quali appariscono i lavori de’ loro tagliapietra, è illustre quel pezzo di monte marmoreo tagliato a piombo in riva del mare appunto presso Terracina per CXX piedi, a fine di togliere un incomodo passo alla via Appia. Voi l’avrete certamente esaminato da vicino nel passaggio, che faceste da quella parte, andandovene a Napoli per visitare il Vesuvio. S’eglino avessero poi voluto, per una stravaganza, che non si dee attribuire a così avveduto popolo, avere dalla lontana Provincia un marmo ignobilissimo, non lo avrebbero preso da Traù, ma dalle parti più orientali della Dalmazia, e dall’Isole men lontane, che ne abbondano egualmente, e nelle quali v’erano pure stabilimenti Romani. A tutto questo s’aggiunge, che fra le rovine di Roma non si vedono lavori di questa sorte di marmo, trovandosi sempre nelle fabbriche antiche adoperata la pietra forte di Tivoli, chiamata Travertino da’ marmoraj de’ nostri tempi, o il Peperino tolto dai colli vicini alla Città stessa, non già da Piperno, e finalmente il tufo arenoso Vulcanico, che veniva dai monti di Marino1. Ne’ colonnati, nelle incamiciature, negli ornamenti delle fabbriche antiche oltre i Graniti, i Porfidi, ed altri marmi vitrescenti veggonsi Breccie calcaree di varie macchie, e marmi uniti di varj colori, ed impasti provenienti da diversi paesi. Fra queste pietre della seconda classe farebbe d’uopo cercare quel Traguriense, che nobilitava il suolo nativo. È probabile che fosse qualche Breccia ben macchiata, confusa adesso colle Africane, da che le sommità di tutti i monti della Dalmazia ne danno varie e nobilissime spezie. È anche molto verisimile che del marmo statuario traessero gli Antichi dai contorni di Traù: ma chi ne indovinerebbe la cava senza riconoscerne la scoperta dal caso, o senza misurare a palmo a palmo il paese? Io feci delle ricerche non del tutto fruttuose per trovare il marmo salino presso a Traù; e v’ebbe chi cercò di sorprendere la mia buona fede, mostrandomi una scheggia di marmo Carrarese, come tolta dal Monte di Sant’Elia, che sorge vicino alla Città, dove in alpestre sito veggonsi antiche cave di marmi non affatto volgari, ma ben ancora lontani dalla finezza del Carrarese. Farebbe d’uopo che il Viaggiatore usasse sempre dell’attenzione, ch’io uso costantemente prima di asserire un fatto sull’altrui fede; cioè, ch’egli andasse sopra luogo, o almeno minacciasse di farlo ad onta d’ogni difficoltà; così si scoprono le bugie. A ogni modo, la pietra di Sant’Elia merita qualche considerazione, se non pella sua bianchezza, almeno pella facilità, che trovasi nel lavorarla. Ella congiunge alla trattabilità, ed unitezza della grana la facoltà di ricevere bel pulimento. Non sarebbe la migliore pe’ lavori di primo rango: ma riuscirebbe opportunissima pelle scolture da collocarsi in luoghi men nobili, o fuori della portata d’un occhio esaminatore. Certa cosa è, che gli Antichi ne fecero uso.
Poche Iscrizioni, e niun residuo di fabbriche Romane si è conservato a Traù. Le poco importanti Lapide di questa Città sono già state pubblicate nelle Collezioni, cui gli Amatori ànno sovente per le mani: e nemmeno tutte quelle, che altrevolte vi si trovavano, vi si trovano adesso.
- ↑ È strana cosa che il celeberrimo Wallerio confonda il Peperino col Travertino, e nella descrizione, che dà dell’uno, e dell’altro mostri di non conoscerne bene nessuno. Alla p. 356, 357 della nuova edizione 1772 del suo Sistema mineralogico, egli si fida a d’Arcet, e asserisce, che il Peperino non è una pietra Vulcanica: ma poi alla p. 422, dimenticatosene riconosce per Vulcanico il Peperino, o sia Tiburtino credendo queste due differentissime spezie una cosa sola. Oh quante correzioni farebbero ne’ loro Sistemi, se viaggiassero un poco più gli Scrittori più celebri!