Versi - Paralipomeni della Batracomiomachia/II. Paralipomeni della Batracomiomachia/Canto V

Canto V

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II. Paralipomeni della Batracomiomachia - Canto IV II. Paralipomeni della Batracomiomachia - Canto VI
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CANTO QUINTO

1
     — Signor — disse, — ché tale esser chiamato
déi pel sangue che porti entro le vene,
il qual certo sappiam che derivato
da sorgente real ne’ tuoi perviene,
e perché di sposar fosti degnato
colei che sola in vita ancor mantiene,
caduti tutti gli altri augusti frutti,
la famiglia del re Mangiaprosciutti;
2
     degno quant’altro alcun di regio trono
t’estima il signor mio per ogni punto;
ma il sentiero, a dir ver, crede non buono
per cui lo scettro ad impugnar sei giunto.
Tai, che a poter ben darlo atti non sono,
t’hanno ai ben meritati onori assunto.
Ma re fare o disfar, come ben sai,
altro ch’a’ re non s’appartenne mai.
3
     Se vedovo per morte il seggio resta
che legittimamente era tenuto,
né la succession sia manifesta
per discendenza o regio altro statuto,
né men per testamento in quella o in questa
forma dal morto re sia provveduto,
spontaneamente al derelitto regno
s’adopran gli altri re di por sostegno.

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4
     O un successore è dato a quella sede
che sia da lor concordemente eletto,
o partono essi re pieni di fede
l’orbo stato fra lor con pari affetto,
o chi prima il può far primo succede;
per lo piú chi piú forte è con effetto,
cause genealogiche allegando,
e per lo piú con l’arme autenticando.
5
     Re nòvo, di lor man pesato e scosso
dare i sudditi a sé non fûr mai visti,
né fôra assurdo al mio parer men grosso
che se qualche lavor de’ nostri artisti,
come orologio da portare indosso,
o cosa tal che per danar s’acquisti,
il compratore elegger si vedesse
che lei portare e posseder potesse.
6
     Negli scettri non han ragione o voto
i popoli nessuno o ne’ diademi,
ch’essi non fêr, ma Dio, siccome è noto.
Anzi, s’anco talvolta in casi estremi
resta il soglio deserto non che vòto
per popolari fremiti e per semi
d’ire, o per non so qual malinconia,
onde spenta riman la monarchia,
7
     al popol che di lei fu distruttore
cercan rimedio ancor l’altre corone,
e legittimo far quel mal umore
quasi e rettificar l’intenzione,
destinato da lor novo signore
dando a quel con le triste o con le buone;
né sopportan giammai che da se stesso
costituirsi un re gli sia concesso.

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8
     Che se pur fu da Brancaforte ingiunto
a’ tuoi di provveder d’un re novello,
non volea questo dir ch’eletto a punto
fosse il creato re questo né quello;
ma non altro dar lor se non l’assunto
che i piú capaci del real mantello
proponessero a’ piè de’ potentati,
che l’avriano a bell’agio esaminati.
9
     Or dunque, avendo alla virtú rispetto,
signor, che manifesta in te dimora,
e sopra tutto a quei che prima ho detto
pregi onde teco il gener tuo s’onora,
non della elezion sola il difetto
supplire ed emendar, ma vuole ancora
la Maestá del mio padrone un segno
darti dell’amor suo forse piú degno.
10
     Perché non pur con suo real diploma,
che valevol fia sempre ancor che tardo,
e di color che collegati ei noma,
che il daran prontamente a suo riguardo,
riponendoti il serto in sulla chioma,
legittimo fará quel ch’è bastardo,
che legittimitá, cosa volante,
vien dal cielo o vi riede in un istante:
11
     ma il poco onesto e non portabil patto
che il popolo a ricever ti costrinse,
a cui ben vede il mio signor che un atto
discorde assai dal tuo voler t’avvinse,
sconcio a dir vero e tal che quasi affatto
la maestá di questo trono estinse,
a potere annullar de’ topi in onta
compagnia t’offerisce utile e pronta.

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12
     Non solo i nostri trentamila forti,
che nel suo nome tengono il castello,
alla bell’opra ti saran consorti
di render lustro al tuo real cappello,
ma cinquecentomila che ne’ porti
de’ ranocchi hanno stanza, io vo’ dir quello
esercito giá noto a voi, che sotto
Brancaforte in quei lochi or s’è ridotto,
13
     e che per volontá del signor nostro,
cosí fermato in prossime contrade,
aspetta per veder nel regno vostro
che movimento o cosa nova accade,
tosto che un cenno tuo gli sará mostro,
il cammin prenderá della cittade,
dove i topi, o ravvisti o con lor danno,
a servir prestamente torneranno.
14
     Fatto questo, il diploma a te spedito
sará, di quel tenor che si conviene.
E un patto fra’ due re fia stabilito
quale ambedue giudicherete bene.
Ma troppo oggi saria diminuito
l’onor che fra’ re tutti il mio ritiene,
se un accordo da lui si confermasse
che con suddita plebe altri contrasse.
15
     Né certo ei sosterrá che d’aver fatto
onta agli scettri il popol tuo si vanti,
e che che avvenga, il disdicevol patto
che tutti offender sembra i dominanti
combatterá finché sará disfatto,
tornando la cittá qual era innanti. —
Questa presso che ostil conclusione
ebbe del capitan l’orazione.

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16
     Rispose Rodipan che udir solea
che stil de’ granchi era cangiare aspetto
secondo i tempi, e che di ciò vedea
chiara testimonianza or per effetto;
essendo certo che richiesto avea
Senzacapo che un re subito eletto
fosse da’ topi, allor che avea temenza
d’altra piú scandalosa esperienza;
17
     che stato franco avessero anteposto
a monarchia di qualsivoglia sorte,
e che l’esempio loro avesse posto
desiderio in altrui d’un’ugual sorte;
la qual sospizion come piú tosto
s’avea tolta dal cor, di Brancaforte
condannava i trattati, e i chiari detti
torceva a inopinabili concetti.
18
     Privo l’accordo del real suggello
né re de’ topi alcun riconosciuto
a sé poco gravar, ma che il castello
con maraviglia grande avria veduto
da genti granchie ritener che in quello
entrar per solo accordo avean potuto,
se non sapesse ai popoli presenti
esser negati i dritti delle genti;
19
     anzi i dritti comuni e di natura:
perché frode, perfidia e qual si sia
pretta, solenne, autentica impostura,
è cosa verso lor lecita e pia,
e quelli soppiantar può con sicura
mente ogni estrania o patria monarchia,
che popolo e nessun tornan tutt’uno;
se intier l’ammazzi, non ammazzi alcuno.

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20
     Quanto al proposto affar, che interrogato
capo per capo avria la nazione,
non essendo in sua man circa lo Stato
prender da sé deliberazione;
e che quel che da lei fosse ordinato
faria come per propria elezione,
caro avendo osservar, poi che giurollo,
lo statuto. E ciò detto, accomiatollo.
21
     L’altra mattina al general Consiglio
il tutto riferí personalmente,
e la grandezza del comun periglio
espose e ragionò distesamente;
e trovar qualche via, qualche consiglio,
qualche provvision conveniente
spesse volte inculcò, quasi sapesse
egli una via, ma dir non la volesse.
22
     Arse d’ira ogni petto, arse ogni sguardo,
e come per l’aperta ingiuria sòle
che negl’imi precordi anche il codardo
fere lá dove certo il ferir dòle,
parve ancora al piú vile esser gagliardo
vera vendetta a far non di parole.
Guerra scelta da tutti, e risoluto
fu da tutti morir per lo statuto.
23
     Commendò Rodipan questo concorde
voler del popol suo con molte lodi,
morte imprecando a quelle bestie sorde
dell’intelletto e pur destre alle frodi:
— Purché — disse — nessun da sé discorde
segua il parlar, non poi gli atti de’ prodi: —
e soldatesche ed armi e l’altre cose
spettanti a guerra ad apprestar si pose.

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24
     Di suo vero, od al ver piú somigliante,
sentir, del quale ogni scrittore è muto,
dirovvi il parer mio da mal pensante,
qual da non molto in qua son divenuto,
che per indole prima io rette e sante
le volontá gran tempo avea creduto,
né d’appormi cosí m’accadde mai,
né di fallar poi che il contrario usai.
25
     Dico che Rodipan di porre sciolta
la causa sua dalla comun de’ topi
in man de’ granchi avea per cosa stolta;
veduta, si può dir, con gli occhi propi
tanta perfidia in quelle genti accolta,
quanta sparsa è dagl’indi agli etiòpi,
e potendo pensar che dopo il patto
similmente lui stesso avrian disfatto.
26
     Ma desiato avria che lo spavento
della guerra de’ granchi avesse indotto
il popolo a volere esser contento
che il seggio dato a lui non fosse rotto,
sí che spargendo volontario al vento
la fragil carta, senza piú far motto,
fosse stato a veder se mai piacesse
al re granchio adempir le sue promesse.
27
     Cosí re senza guerra e senza patto
forse trovato in breve ei si saria,
da doppio impaccio sciolto in un sol tratto,
e radicata ben la dinastia;
né questo per alcun suo tristo fatto,
per tradimento o per baratteria,
né violato avendo in alcun lato
il giuramento alla cittá giurato.

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28
     Queste cose, cred’io, fra sé volgendo,
meno eroica la plebe avria voluta.
Per congetture mie queste vi vendo,
che in ciò la storia, come ho detto, è muta.
Se vi paresser frasche, non intendo
tôr fama alla virtú sua conosciuta.
Visto il voler de’ suoi, per lo migliore
la guerra apparecchiò con grande ardore.
29
     Guerra tonar per tutte le concioni
udito avreste tutti gli oratori,
Leonidi, Temistocli e Cimoni,
Muzi Scevola, Fabi dittatori,
Deci, Aristidi, Codri e Scipioni,
e somiglianti eroi de’ lor maggiori
iterar ne’ Consigli, e tutto il giorno
per le bocche del volgo andare attorno.
30
     Guerra sonar canzoni e canzoncine,
che il popolo a cantar prendea diletto;
guerra ripeter tutte le officine,
ciascuna al modo suo col proprio effetto.
Lampeggiavan per tutte le fucine
lancioni, armi del corpo, armi del petto,
e sonore minacce in tutti i canti
s’udiano, e d’amor patrio ardori e vanti.
31
     Primo fatto di guerra, a tal fatica
movendo Rubatocchi i cittadini,
fu di torri e steccati alla nemica
gente su del castel tutti i confini
chiuder, donde colei giú dall’aprica
vetta precipitar sopra i vicini
poteva ad ogn’istante e nella terra
improvvisa portar tempesta e guerra.

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32
     Poi dubitato fu se al maggior nerbo
de’ granchi che verrebbe omai di fuore,
come torrente rapido e superbo,
opporsi a mezza via fosse il migliore,
ovver nella cittá con buon riserbo
schernir, chiuse le porte, il lor furore.
Questo ai vecchi piacea, ma parve quello
ai damerini della patria bello.
33
     Come Aiace quel dí che di tenèbre
cinte da Giove fûr le greche schiere,
che di salvar Patroclo alla funebre
cura fean battagliando ogni potere,
al nume supplicò che alle palpèbre
dei figli degli achei desse il vedere,
riconducesse il dí, poi, se volesse,
nell’aperto splendor li distruggesse;
34
     cosí quei prodi il popolar consiglio
pregâr che la virtú delle lor destre
risplender manifesta ad ogni ciglio
potesse in parte lucida e campestre,
né celato restasse il lor periglio
nel buio sen di quella grotta alpestre.
Vinse l’alta sentenza, e per partito
fuori il granchio affrontar fu stabilito.
35
     E giá dai regni a rimembrar beati
degli amici ranocchi, che per forza
gli aveano insino allor bene albergati,
movevan quei dalla petrosa scorza;
Brancaforte co’ suoi fidi soldati,
per quel voler ch’ogni volere sforza
del lor padrone e re, che di gir tosto
sopra Topaia aveva al duce imposto.

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36
     Dall’altra parte, orrenda ne’ sembianti
da Topaia movea la cittadina
falange, che di numero di fanti
a un milione e mezzo era vicina.
Serse in Europa non passò con tanti,
quando varcata a piè fu la marina.
Coperto era sí lunge ogni sentiero
che la veduta si perdea nel nero.
37
     Venuti erano al loco ove die’ fine
alla fuga degli altri il Miratondo,
loco per praticelli e per colline
e per quiete amabile e giocondo.
Era il tempo che l’ore mattutine
cedono al mezzodí le vie del mondo,
quando assai di lontan parve rimpetto
all’esercito alzarsi un nugoletto.
38
     Un nugoletto il qual di mano in mano
con prestezza mirabile crescea,
tanto che tutto ricoprire il piano
dover fra poco e intenebrar parea;
come nebbia talor che di lontano
fiume o palude in bassa valle crea,
che per soffio procede, e la sua notte
campi e villaggi a mano a mano inghiotte.
39
     Conobber facilmente i principali
quel di che il bianco nugolo era segno,
che dai passi nascea degli animali
che veniano avversari al misto regno.
Però tempo ben parve ai generali
di mostrar la virtú del loro ingegno,
e qui, fermato il piè, le ardite schiere
a battaglia ordinâr con gran sapere.

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40
     Al lago che di sopra io ricordai,
ch’or limpido e brillando al chiaro giorno
spargea del sol meridiano i rai,
appoggiâr delle squadre il destro corno,
l’altro al poggio che innanzi anco narrai
alto ed eretto, e quanti erano intorno
lochi angusti e boscosi ed eminenti
tutti fêro occupar dalle lor genti.
41
     Giá per mezzo all’instabil polverio
si discernea de’ granchi il popol duro,
che quetamente e senza romorio
nella sua gravitá venía sicuro.
Alzi qui la materia il canto mio,
e chiaro il renda se fu prima oscuro;
qui volentieri invocherei la musa,
se non che l’invocarla or piú non s’usa.
42
     Eran le due falangi a fronte a fronte
giá dispiegate ed a pugnar vicine,
quando da tutto il pian, da tutto il monte
diêrsi a fuggir le genti soricine;
come non so, ma né ruscel né fonte,
balza né selva al corso lor die’ fine.
Fuggirian credo ancor, se i fuggitivi
tanto tempo il fuggir serbasse vivi.
43
     Fuggîro al par del vento, al par del lampo
fin dove narra la mia storia appresso.
Solo di tutti in sul deserto campo
Rubatocchi restò come cipresso
diritto, immoto, di cercar suo scampo
non estimando a cittadin concesso
dopo l’atto de’ suoi, dopo lo scorno,
di che principio ai topi era quel giorno.

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44
     In lui rivolta la nemica gente
sentí del braccio suo l’erculea possa.
A salvarla da quel non fu possente
la crosta ancor che dura, ancor che grossa.
Spezzavala cadendo ogni fendente
di quella spada, e scricchiolar fea l’ossa
e troncava le branche, e di mal viva
e di gelida turba il suol copriva.
45
     Cosí, pugnando sol contro infiniti,
durò finché il veder non venne manco.
Poi che il sol fu disceso ad altri liti,
sentendo il mortal corpo afflitto e stanco,
e di punte acerbissime feriti
e laceri in piú parti il petto e il fianco;
lo scudo, ove una selva orrida e fitta
d’aste e d’armi diverse era confitta,
46
     regger piú non potendo, ove piú folti
gl’inimici sentia, scagliò lontano.
Storpiati e pesti ne restaron molti,
altri schiacciati insucidâro il piano.
Poscia, gli estremi spiriti raccolti,
pugnando mai non riposò la mano,
finché densato della notte il velo
cadde, ma il suo cader non vide il cielo.
47
     Bella virtú, qualor di te s’avvede,
come per lieto avvenimento esulta
lo spirto mio; né da sprezzar ti crede
se in topi anche sii tu nutrita e culta;
alla bellezza tua ch’ogni altra eccede
o nota e chiara, o ti ritrovi occulta,
sempre si prostra: e non pur vera e salda,
ma imaginata ancor, di te si scalda.

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48
     Ahi! ma dove sei tu? sognata o finta
sempre? vera nessun giammai ti vide?
o fosti giá coi topi a un tempo estinta,
né piú fra noi la tua beltá sorride?
Ahi! se d’allor non fosti invan dipinta,
né con Teseo peristi o con Alcide,
certo d’allora in qua fu ciascun giorno
piú raro il tuo sorriso e meno adorno.