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166 ii - paralipomeni della batracomiomachia

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     In lui rivolta la nemica gente
sentí del braccio suo l’erculea possa.
A salvarla da quel non fu possente
la crosta ancor che dura, ancor che grossa.
Spezzavala cadendo ogni fendente
di quella spada, e scricchiolar fea l’ossa
e troncava le branche, e di mal viva
e di gelida turba il suol copriva.
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     Cosí, pugnando sol contro infiniti,
durò finché il veder non venne manco.
Poi che il sol fu disceso ad altri liti,
sentendo il mortal corpo afflitto e stanco,
e di punte acerbissime feriti
e laceri in piú parti il petto e il fianco;
lo scudo, ove una selva orrida e fitta
d’aste e d’armi diverse era confitta,
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     regger piú non potendo, ove piú folti
gl’inimici sentia, scagliò lontano.
Storpiati e pesti ne restaron molti,
altri schiacciati insucidâro il piano.
Poscia, gli estremi spiriti raccolti,
pugnando mai non riposò la mano,
finché densato della notte il velo
cadde, ma il suo cader non vide il cielo.
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     Bella virtú, qualor di te s’avvede,
come per lieto avvenimento esulta
lo spirto mio; né da sprezzar ti crede
se in topi anche sii tu nutrita e culta;
alla bellezza tua ch’ogni altra eccede
o nota e chiara, o ti ritrovi occulta,
sempre si prostra: e non pur vera e salda,
ma imaginata ancor, di te si scalda.