Varenna e Monte di Varenna/Secolo XVI/Vicende ecclesiastiche e religiose
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VICENDE ECCLESIASTICHE E RELIGIOSE
Uno degli avvenimenti più importanti del secolo è stata la visita a Varenna del cardinale Carlo Borromeo.
Dall’atto di visita che si conserva presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Milano, ricaviamo le seguenti notizie:
Terminata la visita alla parrocchiale di San Giorgio che ebbe luogo il 1 novembre 1556, il cardinale Carlo Borromeo ordinò fra l’altro che fosse acquistata una bella pisside d’argento e un sacramento, che fosse venduto il vaso di pietra allora usato per battistero, e dal ricavato di esso, insieme con altre somme fosse costruito un battistero col suo ciborio piramidale, che fossero demoliti tre altari (di S. Giuseppe, di S. Nicola e dell’Annunciata) e fossero ricostruiti in forma più ampia e degna; che la messa in canto ogni giorno celebrata all’altare di Santa Maria Elisabetta fosse in seguito celebrata all’altare di San Pietro martire, che fosse costruito il campanile in quella parte della chiesa o cimitero che l’architetto avesse ritenuto più opportuna, distruggendo i capitelli costruiti alla sommità del frontispizio della chiesa, e la scala di pietra che era nella chiesa stessa. Che il rettore e i cappellani della chiesa dovessero celebrare in ciascun giorno festivo la messa cantata sotto pena di soldi cinque imperiali per ciascuno, da applicarsi alla fabbrica della parrocchia, e da esigersi dai fabbriceri, che nessun cappellano tenuto a celebrare quotidianamente la Messa nella detta chiesa potesse celebrare fuori di essa, tranne quando dovesse andare a qualche funzione, nel qual caso, sempre col permesso del rettore; che il cappellano dell’altare di Santa Maria Elisabetta, prete Battista de Sala, si astenesse da qualsiasi commercio, sotto pena della privazione della cappellania; che i sindaci della comunità don Lorenzo Serponti, don Giovanni Antonio Tenca, nel termine dei giorni ancora occorrenti per la festa del Natale dovessero riscuotere e ricuperare tutti i crediti legati e beni lasciati alla comunità, agli uomini e ai poveri di Varenna; che le elemosine fossero ogni anno raccolte e distribuite soltanto ai poveri non già a tutti indifferentemente come fino a quel tempo era stato solito usarsi: che, come richiese il rettore della chiesa D. Francesco de Sicis, i possidenti di Olivedo fino al luogo detto la Caravina, fossero obbligati a pagare la decima di sei denari per ogni pertica di terra posseduta, al rettore pro tempore; che Francesco Coronino de Serponte fosse obbligato a pagare al rettore la somma di lire quaranta imperiali per fitto dovuto alla Chiesa e già scaduto, in ragione di lire 10 imperiali all’anno.
Ordinò poi a Maestro Iacopo de Campione e a Benedetta de Mazzi sua concubina di non coabitare più insieme o avere altra conversazione sotto pena di scudi 25 d’oro da applicarsi alla fabbrica della Chiesa parrocchiale1.
Uno degli scopi che si prefisse il cardinale Borromeo fu quello di fare osservare in modo uniforme in tutta la diocesi l’antico rito ambrosiano. Ma la cosa non fu facile, perchè in varie chiese della Lombardia, e particolarmente in quelle già dipendenti dal patriarca di Aquileia, era in uso il rito aquileiese o patriarchino e sia il clero che la popolazione non indendevano di abbandonare la consuetudine2. Il rito patriarchino in fine, salvo in qualche cerimonia poco differiva dal rito romano.
Il rito patriarchino ed il rito romano erano in uso a Como, Monza, Varenna Arona, Treviglio e qualche altro paese. Le ragioni di questi diffenti riti, in paesi della stessa diocesi sono varie. Per Monza pare si debba risalire alla regina Teodolinda, che fondatrice della Chiesa di San Giovanni, si sarebbe accostata al rito romano o per compiacere Gregorio Magno pontefice col quale era in ottime relazioni, o per certa poca intelligenza che passava tra la regina stessa e l’arcivescovo di Milano3.
Riguardo a Varenna gli storici ammettono che il rito patriarchino sia stato importato nel borgo dagli abitanti dell’Isola Comacina, ma potrebbe anche essere che avendo questo paese avuto una certa dipendenza da Monza, come abbiamo già visto, abbia seguito le orme della Chiesa maggiore.
Scrive il Merzario che il rito patriarchino «aveva un proprio simbolo di fede, un rito avvicinantesi al romano antico, breviario e messali speciali, salmodie particolari e un canto corale di cui perdura qualche cantilena in qualche angolo del Friuli e della Carnia»,
Cesare Cantù dà invece queste notizie sul rito patriarchino: «Sotto il vescovato di Filippo Archinto, nobile milanese, fu nel comasco abolito il breviario patriarchino brutto di strane leggende e di apocrife tradizioni e vi si surrogò il rito romano. Quel rito si conservò solo a Varenna ove fu portato dagli Isolani. Abbiamo dagli atti della visita di San Carlo il molto che egli fece per ridurre quei di Varenna al rito ambrosiano,. ma essi si opposero e parve prudente lasciarli all’antica»4.
L’arcivescovo di Milano per ridurre quelli di Varenna all’obbedienza, era persino corso al ripiego di far togliere dalla Chiesa parrocchiale i libri sacri, il che aveva posto in grande subbuglio il paese. I maggiorenti rivolsero subito reclami a Milano, di dove era venuta questa risposta scritta dall’arciprete di Milano a Giorgio Serponti di Varenna.
Mag.co Sig. come fratello. Mi è dispiaciuto grandemente il caso occorso costì dell’interdetto posto per occasione dei libri della Chiesa, però con questa mando alligata la facoltà al vicario foraneo di levarlo e V. S. si contenterà far consegnare i sudetti libri della Chiesa al detto Vicario Foraneo et supra, il sospetto c’hanno che cotesta terra si ponga sotto la prevostura di Perledo, s’assicurino che per la particolare affetione che io le porto le procurerò piutosto ocasione di crescere in dignità et di fare il loco più degno oltre che veramente M.o Ill.o non ha pensato a caso simile, me si è mosso per vigore del breve che ha da N. S. di far officiare per tutta la Diocesi secondo il rito ambrosiano. Con qual fine prego Nostra Santità che difende V. S. et l’honorata sua terra5.
Di Milano li XVIII di maggio 1577.
Fratello. L’arciprete di Milano.
Il rito patriarchino si perse a Varenna poco alla volta. Sulla porta principale della chiesa di S. Giorgio esternamente si legge ancora oggi il superbo motto dello scisma patriarchino:
Ecclesia quae est nullius plebis |
Però rinunciando a malincuore al loro antico rito, i Varennesi hanno potuto ottenere di officiare col rito romano, pure facendo parte della diocesi ambrosiana.
Di questo rito patriarchino ricordiamo come curiosità la seguente cerimonia: nelle messe solenni all’offertorio il Diacono e il Suddiacono scendevano in mezzo al popolo a portare la pace, una specie di medaglione che davano a baciare dicendo pax vobis e il popolo rispondeva deo gratia. Questa cerimonia ebbe vita, sino si può dire, ai nostri tempi, e cioè fino alla fine del secolo scorso, e ancora oggi in sacristia si conserva il medaglione della Pace che serviva alla cerimonia.
Della visita del Cardinale a Varenna ricordiamo ancora quest’episodio:
Il Cardinale Carlo Borromeo nella sua visita nel luogo di Varenna, venuto a conoscenza, per informazione dei sindaci e uomini del detto luogo, che molti legati in favore di poveri non venivano esatti incaricava Lorenzo de Serponte, Bernardo de Serponte e Giov. Antonio de Tenchis di cercare con ogni loro mezzo di esigerli e principalmente quelli estratti da un libro turchino dai detti uomini in presenza dello stesso Cardinale che sono i seguenti:
Eredi di Giacomo Marliano
Eredi di Giov. Ant.o Marliano
Eredi di Giov. Pietre e Giov. Dona de Mariano.
Giorgio Venini di Stefano
Giov. Angelo Venini
Giov. Pietro Venini
Matteo Venini
Bastiano Venini
Eredi di Giov. Tenca.
Bastiano Tenca
Eredi di Polo da Balbiano
Eredi di Bernardino Serponte
Baldassare Maza
Eredi di Andrea Maza
Eredi di Gasparino Mazzi
Eredi del Coronino
Giov. Ambrogio Brenta
Eredi di Pietro Serponte6.
Interessante è la nomina dei parrochi in Varenna, che veniva fatta per elezione dagli abitanti. Il 10 giugno 1549 venne rogato dal notaio Cesare Stoppani, l’atto di elezione del Parroco Giorgio de Andreanis, nei quale si legge: Essendo vuota la rettoria della Chiesa di S. Giorgio di Varenna per la morte del rev. prete Antonio de Invitis ultimo rettore, convocato il consiglio del comune e degli uomini di Varenna, il magnifico spett.le sig. Giovanni Antonio f. q. sig. Giovanni, luogotenente del magnifico Gerolamo Stoppa pretore di Varenna, in casa del signor Filippo de Tenchis, a nome suo e dei figli Nicolò, Francesco, Giov. Pietro, Agostino e Giovanni, il ven. sig. pr. Stefano de Dentis cappellano della cappella dell’annunciazione della Beata Vergine Maria, il sig. Bernardo Scoto, f. q. sig. Pietro, sindaci e procuratori della Chiesa parrocchiale di Varenna, Lorenzo de Serponti f. q. sig. Bernardino, Matteo de Campioni f. q. sig. Francesco, Filippo de Thenchis t. q. sig Stefano, Andrea de Mazis f. q. Nicolò ecc. Seguono i nomi di altri abitanti fra i quali molti di donne, il che prova che allora si era risolto almeno in parte la questione del voto alle donne. L’atto finisce coll’elezione del nuovo parroco.
È notevole il fatto che la nomina dell’eletto doveva poi essere accettata non solamente dalla Curia, ma anche dall’arciprete di Monza che come si vede conosceva ancora i suoi antichissimi diritti di patronato sulla parrocchiale di Varenna. E difatti vediamo che la nomina di Giorgio de Andreanis di cui il precedente atto, non è accettata e nel gennaio 1550, l’arciprete di Monza convalida invece come parroco di San Giorgio di Varenna Pompeo de Ascanio7.
Quando nel 1561 alli 16 gennaio, avvenne la morte del parroco Pompeo de Ascanio, i Varennati non trovarono alcun prete che volesse accettare la nomina a parroco, per la povertà del beneficio. La parrocchia rimase vacante un anno, e finalmente la popolazione potè eleggere parroco il sacerdote Francecco Secco, in data 2 gennaio 1562. Nello stesso giorno il suddetto curato nomina suoi procuratori speciali Giovanni Mazza di Varenna notaio della curia arcivescovile di Milano, Baldassare Mazza, e Agostino Serponti, con mandato di comparire innanzi al reverendo arciprete di Monza e al reverendo vicario della curia arcivescovile di Milano per domandare loro la conferma e l’approvazione della nomina a parroco.
I redditi della chiesa non erano certamente abbondanti ma sarebbero stati più che sufficienti se non fossero stati in molti a goderne. Da un registro dell’anno 1572 mentre era parroco Don Francesco Secco togliamo in proposito queste notizie:
Il reddito della parrocchia di San Giorgio di Varenna ascende a scudi 60, ma vi sono quattro altri preti in Varenna che godono di redditi, il cappellano di Santa Maria Elisabetta, sacerdote Giov. Battista Sala, con reddito di lire 200 e più, il cappellano di San Rocco, sacerdote Giuseppe Sala, con reddito imprecisato, il rettore della chiesa di San Giovanni Battista, sacerdote Bernardo Serponte, con reddito di scudi 50, e il sacerdote Battista Sala con reddito imprecisato.
Il reddito della prepositura dl San Martino di Perledo era di scudi 50 l’anno. Ma anche il monte di Varenna aveva un considerevole numero di cappellani o canonici, che assorbivano i redditi — e precisamente quattro — in totale dunque 10 preti tra Varenna e il Monte di Varenna.
I beni delle chiese godevano il beneficio dell’esenzione delle tasse, però qualche piccolo aggravio lo avevano egualmente.
In occasione dell’erezione dei seminari diocesani, ordinata con decreto del 15 luglio 1563, venne imposta una tassa su tutte le rendite beneficiarie e degli altri enti dipendenti dall’autorità ecclesiastica.
Nel ruolo definitivo di queste tasse troviamo la prepositura di Monte di Varenna tassata per lire otto, i quattro canonicati complessivamente per lire nove, la chiesa di San Giorgio di Varenna per lire tre, e la cappella di San Giovanni Battista di Varenna per lire quattro.
Questo grande numero di preti non corrispondente ai bisogni della scarsa popolazione era causa per qualcuno di essi di indisciplina e di sregolatezza. Da una lettera scritta dal coadiutore di Perledo al cardinale Carlo Borromeo togliamo: «Circa l’abito, vita e costumi del canonico nostro qual si chiama Ludovico Hongania da Regolo, mai non fa pubblicazioni di editti, nè altra admonicione, nè sta in habito ne in vita, anzi ogni giorno porta arme offensiva et difensiva, con giuochi pubblici et secreti — pratica con banditi et in questo carnevale fece giorno e notte mascherato, residenza nulla, manco officio»8.
In seguito a questa denuncia il canonico Hongania venne privato del beneficio.
Ma anche gli altri canonici dovevano essere poco ligi al loro dovere, perchè troviamo che nel 1569, in occasione della visita fatta dal preposto di Dervio alla prevostura di San Martino di Perledo, il Sacerdote Antonio Arrigoni, beneficiario della cappella di Santa Maria e Michele, viene privato del beneficio. Anche il sacerdote Battista Sala, beneficiario della cappella di Santa Maria Elisabetta in Varenna, viene privato del beneficio da Monsignor Fontana, e così pure i sacerdoti Giuseppe Scotti, beneficiario della cappella dell’Annunciata, e Giuseppe Sala beneficiario della Cappella di San Rocco in Varenna, vengono privati dei rispettivi benefici.
Il notaio Raffaele de Matti di Tondello ci ha tramandato un memoriale del preposto di Perledo, in data 1570, in cui il Reverendo Giuseppe Isacco descrive a vivi colori lo stato miserevole della sua chiesa, ed invoca soccorsi dalla curia arcivescovile.
Relativamente ai fabbricati destinati al culto, abbiamo il seguente documento che ci dà interessanti particolari sull’ampliamento della Chiesa di Sant’Antonio di Vezio:
«Sia noto et manifesto a chiunque legerà il presente scritto qualmente maestro Tomaso di Tarelli et ser Pietro di Zucaroli tuti doi del loco de Vetio sindici della chiesa di Sant Antonio posta in esso luogo di Vetio per una parte et li maestri Batista di Garimberti del loco di Germaniedo territorio di Lecco et Dominico suo fratello maestri da muro per l’altra parte si convengono voluntariamente alli infrascritti patti, cioè:
Primo, che li detti maestri Battista e Domenico fratelli siano tenuti et obligati et così promettono obbligare se et suoi beni presenti et che acquisteranno che habbino a discoprire et alargare la chiesa sudetta di S. Antonio cioè dalla cappella nova in giù per brazza doi di muro per ogni banda et levare il muro alla egualità di altezza della detta cappella et destruer il muro vecchio a soe spese et che la grossezza delli detti muri siano di cinque quarte nel fondamento et nella cima di un brazo intendendo sempre del brazo da muro usato nella Valsasna et che habino a fabricar la sacristia a man diritta intrando nella chiesa della grossezza di un muro suficiente et di poi coprire la detta chiesa et sacrestia di legnami, assi et piode a spese di detti maestri et più oltre fabricar il campanile sopra la sacrestia di altezza conveniente et infrancar li detti muri tutti dentro et fuora come sono quelli della cappella.
Secondo che li detti maestri Tomaso e ser Pietro Zucaroli sindici sieno tenuti et obbligati et così promettono obligando sè, come di sopra, di mantenere tutta la materia che bisogna a detti maestri per tal fabrica su la piazza della chiesa sudetta cioè sassi, calcina, sabione et piode et tutti li altri legnami et feramenti che bisogneranno per la fabrica con la comodità di detti sindici.
Terzo che li sudetti Tomaso et ser Pietro siano tenuti et obligati come di sopra, et detti maestri finita che sarà la detta opera, far misurare tutta la detta fabbrica fatta per detti maestri a spesa comune per un maestro sufficiente et confidente de dette parti computando ancora li teccii nella misura del muro et che detti sindici siano obligati come di sopra di dar et pagar per la sua mercede a detti maestri a ragione di soldi tre imperiali per ciascun brazo di muro et teccii come di sopra et in fede di ciò hanno fatto le dette parti far il presente scrito da mi nodar isfrascripto.
Presenti Battista de Pizzotti da Perledo, Giov. Antonio Carità da Vezio et Demetrio Pensa da Tondello testimoni»9.
Nell’anno 1554 erano state fuse le campane per la chiesa di San Martino di Perledo10.
Da una carta del 1500 togliamo quest’annotazione: «La casa parrocchiale di San Giorgio di Varenna è attaccata alla chiesa parrocchiale et vi è una canepa per il vino et sopra la canepa vi è una camera con la cucina e saletta et sopra detti lochi vi è il solaro per riporvi legna».
Era una povera casa, e difatti nella relazione di una visita pastorale dell’8 agosto 1570 si legge: «Visitato la parrocchial chiesa di San Giorgio di Varenna dal Rev. Prete Pietro Maria Ferra preposto di Dervio, et in questo delegato dal molto Rev. Monsignore Giovanni Battista Castelli, alla presenza del curato et homini del detto luogo è stata fatta la seguente ordinazione: La comunità faccia conciare la casa del Curato che se la possa abitare comodamente et massime li pavimenti»
Da una carta del XVI secolo dell’archìvio parrocchiale di Varenna togliamo questo elenco delle feste religiose:
«Per nota ancora delle feste di rito per antica consuetudine nella terra di Varena così trovata in un libro vecchio di carta, et si servono, et nota delle processioni et dove si fanno:
Li doi giorni dopo l’epifania
S.t Sebastiano a li 20 genaro,
S.t Bernardino e li 20 maggio,
S.t Maria Maddalena a li 22 luglio,
S.t Rocho e li 16 agosto
S.t Nicolao da Tolentino ali 10 setembre
S.t Mauritio et suoi compagni ali 22 settembre
S.t Eustachio con compagni a di 2 ottobre
S.t Luca evangelista a li 18 ottobre.
La processione o litania maggiore di S.t Marco andiamo alla prepositura di Perledo, la mattina, o avanti o dopo la messa. Il secondo giorno andiamo alla Madona di Gitana, prepositura di Perledo.
Il terzo giorno andiamo a Lierna et quel giorno il curato di Varena ha obligo di celebrare al castello di Lierna la santa messa per legato lasciato per antica consuetudine et il medemo curato di Lierna inibisce et non lascia eseguire il portare della stola in occasioni di morti in detto loco al detto curato a Varena quale per antichissima consuetudine sempre ha portata la stola sino a un certo loco determinato per giurisdizione che ha in detto loco, come da ciò consta processo agitato nella visita del B. C. di santa memoria, et sopra di ciò si dimanda agiuto di ogni oportuna previsione et quanto prima per mantenersi il possesso».
Il seguente elenco contiene invece le particolari feste religiose che si facevano nella chiesa del Monte di Varenna nell’anno 1572;
Alcune feste quali si fanno per voto nella prepositurale cura di Perledo.
Nella terra di Bologna subdita di detta prepositura essi homini hano per voto di fare la festa di S.t Pancrazio martire.
La terra di Vetio subdito ad essa prepositura essi homini hanno per voto la festa di San Sebastiano. Tutto il popolo hanno pervoto di santificare et non fanno il giorno di San Defendente et hanno sempre usato di andare quello medemo giorno ogni anno tutti processionalmente in cima di un monte onde è costruita una capeleta aperta di detto sancto et non si procede con debita veneratione et non voleno seguire la croce ne manco il populo et non si viene uno terzo di detto populo.
Un altro voto a fatto detto populo che vanno processionalmente ogni anno ad una giesia di S. Maria dove si dice sopra Olzio nel territorio di Mandello nella diocesi di Como e vi sono millia X lontano, et riva al detto loco la Domenica seguente al giorno della assunzione del S. e il detto popullo è debitore di venire tutto et non li vene un terzo e con pochissima devotione».
È molto importante per la confraternita del SS. Sacramento di Perledo ii seguente atto del notaio Raffaele De Matti del gennaio 1582.
I Consoli e gli uomini di Perledo, Renio, Vezio, Bologna Gisazio, Regoledo, Gitana e Tondello del monte sopra Varenna, soggetti tutti alla cura prepositurale dalla Chiesa di S. Martino di Perledo, riuniti in consiglio nel quale sono presenti il Rev. Giuseppe de Isachis di Giovanni, preposto e rettore di detta Chiesa, Antonio de Bertarinis di Giovanni e Paolo de Fonio di Pietro, Sindaci della Chiesa stessa stabiliscono di inviare a Roma Odorico Vlcedomino, di Como, abitante in Roma, Giovanni Antonio, Camillo, Alessandro e Giov. Battista... di Gravedona, causidici in Roma e Antonio de Bertarinis di Esino e abitante in Roma, perchè si presentino al Sommo Pontefice o ai Priori e Rettori della Chiesa di S. Maria della Minerva o della Confraternita del Santissimo Corpo di N. S. Gesù Cristo e chiedano che vengano concessi ai detti uomini della Prepositura di Perledo o alla erigenda loro Confraternita del Corpo di N. S. Gesù Cristo la partecipazione agli stessi privilegi e grazie accordate alla Confraternita in S. Maria della Minerva11.
Riguardo alla cura che si poneva per tutelare la moralità e lo spirito religioso degli abitanti di Varenna possiamo avere qualche notizia del seguente curioso documento: «Nota che quello se fatto nella Congregazione a Varena alli 5 marzo 1574».
«Si è ordinato che quelli di Varena che hanno ballato pubblicamente tre giorni contigui et in un giorno de festa vicino alla Chiesa curata et alla Chiesa de Sancto Giovanni Battista meno che cento passi faciano penitenza pubblica vel infrascritto modo:
Che tutti quelli che hanno ballato per tre giorni continui tutti scalzi con il crocifisso cominciano le litanie nella Chiesa Curata et vadono processionalmente sin alla Chiesa altra volta delle monache, nè si admettano alla confessione — di più che siano sospesi per tre anni a venire dal contrahere matrimonio. et questo si sa per non haver loro obedito all’avisi a essi dati sin dall’anno 1572.
Giorgio forastiero, Giovanna forestiera, Maestro Giacomo Campione e Pedrina de Vitali, Donatto Greppo e Catterina Clusianola tutti di Varena e scoperti concubinarî, il che è manifesto a tutto il popolo di Varena et di grande scandalo. Se ordinato che cinque feste continue faciano penitenza pubblica con una corda grossa al collo et una candela accesa in mano sopra la porta della Chiesa, et che se gli metta una breve in testa ma che detto breve non gli copra la faccia, che dica il suo nome e la causa perchè se gli fa fare tale penitenza et puoi vengano dal mo. Gori a dar sicurtà de non incorrere più per l’avenire di simili orrori».
Nell’anno 1589 alli 14 settembre il parroco di S. Martino di Perledo Giuseppe Isacchi che già da 23 anni era preposto in detta Chiesa, pone la prima pietra per il fondamento della Cappella maggiore della Chiesa stessa, e la pone sull’angolo del fosso dalla parte settentrionale e verso il monte12.
Da un atto di visita ricaviamo che nell’anno 1567 esisteva già l’oratorio di Sant Ambrogio sul culmine di Monte Castello.
Negli atti della visita pastorale diocesana di Feliciano Ninguarda vescovo di Como troviamo che nel descrivere la terra di Varenna le assegna 90 fuochi e la definisce cura immediata sotto l’arcivescovo di Milano.
Per la storia in questi anni del monastero cisterciense di Varenna pubblichiamo il sunto di un atto dell’anno 1560 marzo 17, ind. IV rogato dal Not. Serponti Giorgio di Pietro, di Varenna, e nel quale è contenuto l’elenco di tutte le suore del monastero: Le religiose del monastero di Santa Maria di Varenna dell’Ordine Cisterciense di S. Bernardo: Caterina de Fomagalo, abbadessa, Angelica de Balbiano, prioressa, Angela de Fornagaio, Girolama de Porris, Benedetta de Tenchis, Giulia de Salla, Prudenzia de Casnedo ed Eleonora de Panicis, monache professe di detto Monastero, riunite in capitolo in numero legale nominano D. Felice de Oldrate, loro confessore, Giov. Francesco de Oldrate fratello dello stesso, e Salomone de Retonio, mercante di Como a procuratori speciali, fino a revoca, per l’esazione annuale del fitto di l. 96 imperiali, e del fitto di l. 78. imperiali dovuti il primo dal magnifico Sig. Alessandro Rusca di Como per atto in Not. G. Giacomo Poperelo del... ed il secondo dai magnifici Signori Francesco ed Aurelio de Rippa per atto stipulato presso lo stesso notaro rogante Serponti Giorgio il...
L’atto è redatto nel parlatorio del Monastero di S. Maria di Varenna, alla presenza di Giuseppe de Scottis di Giuseppe e di Galeazzo de Tenchis di Giov. Antonio.
Testimoni: Francesco de Scottis, di Bartolomeo, Simone de Brentis di Giov. Ambrogio e Giorgio de Vitalis di Giovanni tutti di Varenna.
Questo, con tutta probabilità è uno degli ultimi atti firmati in questo monastero, perchè pur troppo si avvicina il momento in cui queste monache, che vivevano beatamente in questo ameno luogo, posto in una delle più belle posizioni del lago di Como, saranno costrette fra breve ad abbandonarlo per sempre
Infatti il cardinale Carlo Borromeo fu costretto a sopprimere questo monastero per la cattiva condotta delle monache13.
Baldassarre Oltrocchi nel suo volume Vita et rebus gestis Sancti Caroli Borromei dice che quel convento era diventato un alloggio amoroso.
Difatti in una supplica mandata dagli uomini di Varenna al cardinale Borromeo si legge: «.... si provveda che il frate confessore delle monache del monasterio di Varena, nè altri frati non habino andare al detto monasterio che non al tempo di la confessione e comunione et che detti frati habino a stare ne la sua canapa che è fora del monasterio et usare lo uscio di fora e stopare lo uscio che vene per la gesia et provedere che detti frati ne’ altri ne’ religiosi ne’ secolari, ne’ homini, ne’ done habino a intrare in detto monasterio et che dette monache non abbiano andar in alcun loco senza licentia de suoi superiori, et accompagnate secondo il solito.»14
Pio V, con la bolla in data 13 febbraio 1567, decretava la soppressione del monastero di Varenna dietro le istanze del cardinale Carlo Borromeo. In essa non è alcun cenno di disordini nelle monache, e si limita a dire che i «monasteri di monache stabiliti fuori delle mura delle città o castelli, esposte alla preda o ad altro misfatto di uomini cattivi, quando i vescovi superiori o i preposti ai loro ordini, lo riputassero conveniente, potessero essere trasferiti in altri monasteri nell’interno delle città o castelli».
La soppressione avvenne con atto del 29 novembre 1569, e le monache furono disperse nei vari monasteri dello stesso ordine di Santa Maria Maddalena dei borgo di Lecco, di Milano, Pavia e Cremona.
Il monastero venne acquistato da Paolo Mornico di Valsassina e divenne la villa MornicoFonte/commento: 525. Il prezzo fu convenuto in scudi d’oro 700, lire 4, soldi 9 e denari tre15. Il fabbricato successivamente abbellito ed arricchito di statue e giardini è ora una delle più deliziose ville del lago di Como e porta ancora il nome di Villa Monastero. I Mornico e i loro successori rispettarono sempre la chiesa del monastero che rimase aperta ai fedeli fino al 1894.
I lasciti alle chiese erano in quei tempi molto frequenti. Da un registro dell’archivio parrocchiale di Perledo abbiamo desunto un elenco di lasciti fatti alla chiesa dei monte di Varenna che pubblicheremo nel volume dei documenti.
Fra i donatori accenneremo qui a ser Jacobo de Fumeo che col suo testamento 20 agosto 1523, lascia due staie di frumento in pane cotto da distribuire in perpetuo nel giorno di S. Lorenzo, e lire 13 terzioli all’anno al preposto di Perledo perchè si celebri annualmente una messa nella chiesa di S. Maria di Gitana.
Con testamento a rogito notaio Giorgio Serponti in data 13 febbraio 1549 Giovanni Antonio de Tenchis f. q. Luca, dettò le sue ultime volontà. Tra l’altro lascia alla chiesa di S. Giorgio di Varenna una casa sita nel detto borgo, uno staio di pane ed uno di vino «ai poveri di Cristo di Varenna» per dieci anni dalla sua morte, venticinque soldi imperiali al prete Don Matteo de Tenchis suo fratello germano. Come curiosità dei tempi aggiungiamo che il testatario lascia un paio di maniche di panno di lana a sua sorella donna Caterina de Tenchis vedova q. m. Alesandro de Balbiano, soldi 20 imperiali, a donna Benedetta de Tenchis sua figlia, monaca professa nel monastero di Santa Maria di Varenna, e donna Elisabetta de Serponti figlia dal q. Pietro e sua moglie l’usofrutto dei suoi beni nominandola tutrice e curatrice dei suoi figli naturali e legittimi, con la condizione che essa non sia obbligata ad alcun inventario nè a render alcun conto della sua amministrazione.
Nell’archivio notarile di Milano tra le filze del notaio Giorgio Serponti, in data 15 febbraio 1580, è registrato un atto in forza del quale veniva costituito sopra il fondo denominato Ronco Casarino, posto in Lierna, che era allora nella giurisdizione di Varenna, una prestazione liveilaria annua perpetua di una brenta e mezza di vino pari a litri 126 a favore del beneficio parrocchiale della chiesa di S. Giorgio di Varenna.
Gli antichi possessori dei feudo erano Giuseppe Panizzi fu Tommaso e Carlo Pini fu Antonio del castello di Lierna. Questo canone rimase in vita fino ai giorni nostri.
Il parroco di Varenna Don Giuseppe Mezzera nel 1894 faceva intimare per via giudiziaria di pagare il suddetto canone ai consorti Pirelli, Cereghini, Vizzani e Cattaneo ultimi subentrati nel possesso del feudo.
Da un testamento della signora Elisabetta De Calvasina vedova di un Giovanni Scotti, si rileva che nel 1521 esisteva già la così detta scuola di S. Marta, poichè la Scotti le lasciava la somma di lire quattro.
Nel 1582 non era ancora ben definita la giurisdizione ecclesiastica territoriale di Varenna. Si riteneva dal curato di Varenna che la cura del luogo di Castello di Lierna dovesse dipendere da esso curato. Si conserva nell’archivio della Curia arcivescovile di Milano. (Pievi Lacuali II) una specie di processo degli interrogatori del quale si può desumere come il curato di Varenna accompagnasse i funerali fino al Castello di Lierna. Gli interrogati rispondono poi tutti che il Castello di Lierna a loro memoria fu sempre sotto la cura di Varenna.
In una lettera che il parroco di Perledo Giuseppe Isacchi scrive il 6 giugno 1570 a Milano si lamenta che il parroco di Esino chiami per le funzioni il parroco di Varenna anzichè lui e dice tra l’altro: «e più che non cosa è del medesimo ufficio, un patriarchino e sottoposto a Monza»16.
Da un fascicolo di carte dell’archivio parrocchiale di Varenna si ricava che la contessa Donna Ludovica de Balbiani, con testamento 31 marzo 1544, introvabile, istituiva eredi universali Giovanni Maria Scotti f. q. Jacobo e Agostino de Serponti f. q. Bernadino di Varenna, col pattoFonte/commento: 525 che abitassero nella casa della testatrice. In caso d’inadempienza della sua volontà, ogni sua eredità sarebbe pervenuta alla fabbriceria della chiesa di S. Giorgio di Varenna. Ma le intenzioni della testatrice furono in seguito completamente svisate, perchè noi troviamo un atto del 1548, rogato da Giorgio Serponti, in cui li sindaci e gli uomini di Varenna rinunciano ad ogni diritto spettante alla chiesa di Varenna sull’eredità Balbiano, e questo senza darne alcun avviso alle autorità superiori. In data poi 2 gennaio 1561 troviamo che Giovanni Maria Scotti e Agostino Serponti cedono allo spettabile signor Nicola de Giuzzardi nativo di Teglio ma abitante in Varenna tutti i loro diritti sull’eredità.
Questo trapasso di beni dette origine a molte liti che si prolungarono anche nel XVII secolo perchè noi troviamo l’ordine di una visita emanato nel 1619 dal cardinale Federico Borromeo e lo strumento di procura per la causa della chiesa di Varenna, contro gli eredi e successori della contessa Balbiano. Non sappiamo poi se la Chiesa di Varenna abbia ottenuto qualcosa dell’eredità dell’ultima rappresentante in Varenna di questa storica famiglia.
Diamo qui un elenco degli iscritti alla confraternita del Santissimo Sacramento17:
«Questo sia il libro dove sono descripti tutti quella della scholla della compagnia del sanct.mo sacr.to del Corpus Dm. eretta nella chiesa Parr.le di S.t Georgio di Varena al primo di Maggio 1575 secondo la Regola data alli homini di Varena dall’Ill.mo Rev.mo Carlo Borromeo Card. Arcivescovo di Millano a laude del Onipotente Iddio et gloriosa Vergine Maria e di S.to Giorgio Patrone di d.a Varena et di tutta la Corte Celestiale della quale depende ogni bene et prime se sono depputati li Inf.ti»:
Il Mag.co C. Giorgio Scotto dottor di medicina prior di D.o Compagnia.
M. Nicolò Mazza sotto priore
M. Giovanni Antonio Campione | tutti doi infirmeri | |
M. Orpheo Mazza |
M. Giorgio Serponte Conciliero di d.a Compagnia
et con lor sono descripti li infri cioè
M. Laurentio Serpeonte di Varena
M. Giovanni Bapta suo figlio di Varena
M. Gio: Antonio Greppo
M. Gio: Solo di Campioni
Ser Vincenzo suo figlio
Bertelino et Nicolò so’ figli
Giorgio figlio di d.o Bertolino
Ser Simon Brenta
Matheo et Giovan fr.lli suoi figli
M. Giov. Antonio Tencha et Cesare suo figlio
Paulo e Gio. Pietro f.lli di Serponte
M. Giov. Maria Serponte
M. Galeazzo Tencha
M. Gaspero Cella
M. Alepso del Forno
M. Nicola Campione
Geimentro (?) Scotto
M. Baptista Mazza
M. Thomaso Scotto
M. Giovanni Repetino de Campioni
Gio: Antonio suo figlio
M. Giorgio Graciolo de Mazza
Mathe di fo Fra de Campione
M. Andrea de Venini
Gio: di Venini detto Toston
M. Magdalena Serponte
M. Lucia sua figlia
M. Elisabetta moglie del Co. Mr. Bernardo Scotto
M. Calidonia sua figlia
M. Orsola moglie del q.e Stefano Serponte
M. Gioanna sua figlia
M. Catherina moglie di Laurentio Serponte
M. Elisabetta et Cassandra sua figlia
M. Elisabetta moglie del q. Giov. Antonio Tencha
M. Ginevera moglie di M. Galeaz Tenca
M. Giovanna del q.m Andrea Bordono
M. Elisabeth sua figlia
M. Violante moglie di M. Giov. Bapta Stampa
M. Lucia moglie del q.m Matheo Campione
Angela moglie di M. Giov. Maria Cella
M. Caterina moglie di ser Orpheo Mazza
M. Giovanna moglie del q. Simon Brenta
M. Virginea moglie di un Giovanni Brenta
M. Elisabehta Brenta figlia di q. Simon Brenta
M. Elisabetta moglie di M. Giorgio Scotto
Jolia sua figlia
M. Elisabet moglie dl M. Giorgio Serponte
Febronia sua figlia
Magdalena et Violante sue nepote
Ludovica et Elisabeta s.le del q. Gio Solo
Camilla f.a di M.ro franc.o Manera
Lucia moglie di fr.o da Balbiano
Catherina Gioannina Elisabeth Margarita sua figlia
Iacobina moglie di Baldassar Venini
Elisabeth et Catherina s.e di M.ro Matheo Venini
Elisabeth moglie di Gio. Ant.o Sala
D.na Gioanna moglie del q. Sebastiano Piscallo di Scotti
D.na Catherina moglie del q. Martorino Brenta
D.na Marta Marsegnia de Panici
Margarita et Brigida sorelle de Quartironi
Lucia del q. Bapta Maslino
Armelina f. di Manera
M.a Ludovica f. di M. Serponte
Gioanna moglie di Donato Greppo
Magdalena moglie di Mr. Gio. Scotto
D.na Bernardina moglie del Franzoso
Pasquina moglie di Giorgio Varano
Angelica moglie di Matheo Brenta
Magdalena moglie di Bernardo Bendino
D.na Lucia moglie di Alexandro Tencha
Isabella sua figlia
D.na Catherina moglie del q. Anhastasio
Lucia e Violante sue figlie
D.na Martha moglie del q. Venturo Bordono
Caterina moglie del q. Alvizio Campioni
Catherina figlia del Tognala
Catherina figlia del Misono
Madonna Camilla Mazza
M. Leonora moglie del mr. Nicola Campione
Caterina moglie di Andrea Campioni
Clara Gioannina et Giulia et Margarita figlie del ...
Margarita de Scotti del Vedrignano et Catherina sua figlia
M. Elisabetta moglia di .....
Dona Francesca et Catherina sua figlia del ...
Bertolino Tencha et mad. Prudentia sua nora
Lucia de Maslini
Gioannina di Forno
M. Caterina moglie di mr. Giorgio Gratiolo
Antonia figlia del Gratiolo
Elisabeth de Brenta
Caterina de Scotto
Marta de Bertolino della gogia et Caterina sua figlia
Costanta moglie di Nicolo Campione
M. Margarita moglie di un Francesco Campiono
M. Anna figlia di ser Gio. Campiono
M. Iulia nora di ser Gio. Campiono
Margarita figlia del Biolo
Pasquina del Carro
Dona Elisabetta Tencha
D. Lucia moglie di Gio: Giorgio Venino
M. Violante moglie di s. Gio: Ant. Greppo
Angelina Tamburina
D. Maria Melera
M. Martha moglie di Nicolò Bachele
M. Elisabeth moglie di ser Gioanni Campione
M. Gioanna moglie d. Giov. Ant. Maza
Cecilia f. di s. Bonetta
Caterina moglie di Mateo Hongania
Note
- ↑ Archivio della Curia Arcivescovile. Visite pastorali.
- ↑ Rubeis. De sacris farviuli rito, pag. 443. carte 36.
- ↑ Aristide Sala, Dissertazioni sulla vita di S. Carlo. Capo I.
- ↑ Cesare Cantù, Storia della diocesi di Como.
- ↑ Archivio della Curia Arcivescovile. Pievi lacuali.
- ↑ Archivio della Curia Arcivescovile di Milano.
- ↑ Atto 15 gennaio 1550 rogato del notaio Giovanni Mazza. Altri atti relativi a convalidazioni del curato di Varenna da parte dell’arciprete di Monza: 12 novembre 1541, notaio Antonio de Puteo; 1 luglio 1561 notaio Roberto de Garimberti f. g. Io. Paolo.
- ↑ Ambrosiana, Lettere di San Carlo, F. 109 — 231 - 16 aprile 1567.
- ↑ Archivio notarile di Milano. Not. Raffaele Matti de Tondello. 1570.
- ↑ Archivio notarile di Milano. Notaio Matti Tondello Paolo atto 27 dicembre 1554.
- ↑ 1582, gennaio 28; ind. X. Not. Matti Tondello Raffaele.
- ↑ Archivio notarile di Milano. Notaio De Matti Tondello Raffaele.
- ↑ La tradizione vuole che San Carlo Borromeo sia stato ospitato dalle monache di Varenna, giacchè nella chiesa del Monastero, anche dopo l’allontanamento delle suore, si sono sempre conservate, in un cofanetto, le lenzuola nelle quali ebbe a riposare il Santo.
Quando la famiglia Mornico vendette la villa Monastero, trasportò quella reliquia nella sua tenuta di Capiate, frazione di Olginate. Anche la tenuta di Capiate venne venduta alla famiglia Figini, la quale conserva ora in deposito la reliquia che continua ad essere proprietà della famiglia Mornico. - ↑ Archivio della Curia Arcivescovile di Milano. Pievi locali X.
- ↑ Atto originale in pergamena in data 29 novembre 1569 del notaio Giuseppe Belisario Longhi di Lecco nell’archivio della famiglia Mornico.
- ↑ Archivio arcivescovile Milano. Pievi lacuali II.
- ↑ Archivio Parrocchiale di Varenna.