Varenna e Monte di Varenna/Secolo XV/Note ecclesiastiche
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NOTE ECCLESIASTICHE
All’inizio del XV secolo, eranvi in Varenna le seguenti chiese nelle quali si officiava: S Giorgio, parrocchiale, S. Giovanni, l’antichissima chiesa, e Santa Maria Maddalena, la chiesa del convento.
Nel monte di Varenna vi erano le chiese di S. Martino di Perledo, di S. Maria di Gitana, di S. Ambrogio, di S. Pietro di Tondello, di S. Bernardo di Bologna, di S. Giovanni Battista di Regolo, e di Sant’Antonio di Vezio.
Fra i preposti della chiesa di S. Martino di Perledo va ricordato il sacerdote Protasio de Cirexis, che istituì erede di una gran parte dei suoi beni per una metà i poveri del Monte Varenna, e per l’altra metà i poveri di Bellano. Il testamento che porta la data del 15 luglio 1438, è molto interessante, perchè enumera molti arredi di Chiesa e perciò sarà riportato tra i documenti. Fra i lasciti più importanti del Cirexis vi è una donazione di lire dieci terzole alla fabbriceria del Duomo di Milano, di 10 fiorini alla chiesa di San Lorenzo in Chiavenna, trentadue lire terzioli alla chiesa di Dervio, altre trentadue lire terziole alle monache del Monastero di Santa Maria di Varenna. Altri lasciti dispone per il monastero di San Giovanni di Como, e per la cappella di San Giovanni Battista nella chiesa di San Giorgio e Nazaro di Bellano. Lascia poi alla chiesa di San Martino di Perledo un antico breviario che «si trova nella sacristia della chiesa dove deve essere lasciato». Alla cappella di Santa Maria e San Michele della Chiesa di San Martino lascia un salterio nuovo con gl’inni mortuarii, un libro dei vangeli, un libro di canti con le antifone, un piviale rosso, una croce intarsiata d’oro, oggetti che debbono rimanere nella sacristia della chiesa, per uso del preposto. Lascia poi alla stessa chiesa un libro di vite di santi ed uno di leggende sacre, con una copertina rossa.
Da un verbale di visita pastorale eseguita nei giorni 12 e 13 luglio 1455 alla chiesa prepositurale di S. Martino di Perledo e di S. Giorgio di Varenna, dall’Arcivescovo Gabriele di Milano, togliamo le seguenti notizie:
Nella Chiesa di S. Martino non si teneva continuamente il Sacramento dell’Eucaristia per mancanza di reddito sufficiente a provvedere alle candele, e quindi si limitavano a tenerlo parato solamente dal giorno di Pasqua all’ottava di Pentecoste.
Il camposanto non era cintato per mancanza di denaro. La prepositura della chiesa di S. Martino aveva un reddito di fiorini cinquanta e, inoltre, vi erano quattro canonicati dei quali uno era tenuto dal sacerdote Martino de’ Capitanei di Dervio, del valore di 10 ducati, un altro dal sacerdote Jacobo de Domenigoni, del valor pure di 10 ducati, un altro dal sacerdote Arnolfino de Riva del valore di 8 ducati ed il quarto da Raffaele de Riva del valore dl 10 ducati. Eravi poi la cappellania dell’altare di S. Michele, col reddito di trenta fiorini tenuta dal sacerdote Andrea de Cassonia, che troveremo poi parroco a Varenna.
Come si vede vi erano nel solo Monte di Varrena ben sei sacerdoti.
In un elenco di attività dovute all’arcivescovo di Milano per censo, troviamo che il parroco di Varenna deve nel 1643 L. 3, ed il prete Andrea di Varenna deve la stessa somma1.
Della Chiesa di S. Giorgio di Varenna è detto che vi si conservano le reliquie dei Santi Lorenzo e Sebastiano, ed un pezzo del legno della Croce, che in Varenna sono due cimiteri: uno è cintato in modo che gli animali di notte non possano accedervi, un secondo cimitero è aperto ma in esso non vi sono sepolti che i cadaveri degli eretici, degli usurai e degli scomunicati; che nella detta chiesa si celebrano quasi sempre due messe ogni giorno, e nel giorni festivi la messa cantata, la nona e i vespri; che la chiesa stessa ha un reddito di venticinque fiorini ed è di giuspatronato degli abitanti di Varenna sotto conferma dell’Arcivescovo. Vi è la cappellania dell’altare di S. Maria, col reddito di fiorini trentacinque, tenuta dal sacerdote Beltramo de Serponte, la cappellania o altare di S. Giovanni Battista, coi reddito di fiorini cinquantacinque, tenuta da Stefano de Mazzi.
Nel 1412 la famiglia Serponti elegge il patronato di S. Giovanni di Varenna, e nel 1444 Luchino de Serponti aumenta il padronato suo della cappella di S. Maria Elisabetta in Varenna.
A proposito della detta cappella o altare di S. Giovanni insorse nell’anno 1464 una questione tra il sacerdote Stefano de Mazis ed il sacerdote Clemente di Merono e il 28 luglio Cicco Simonetta, segretario del Duca, ne scriveva al Capitano del lago di Como, al comune ed agli uomini di Varenna in questi termini:
«Havemo inteso de alcune conventione facte de acordio tra prete Clemente da Marono et uno prete Steffano de Mazi per casone de la capella de Sancto Johanne Baptista de quella nostra terra de Varena et confirmate per la Santità del Papa, per la quale appare dicto prete Steffano havere promesso de lassare liberamente la possessione de dicta capella con sue ragione et pertinentie al dicto prete Clemente, dando esso prete Clemente al dicto prete Steffano certa pensione annuale. Et non ostante dicte conventione, esso prete Steffano non cessa da fare novitate ne li fructi et possessione d’essa cappella in grande preiudicio del dicto prete Clemente, menazando ulterius de offenderlo in la persona il perchè per observatione de le conventione predicte ve commettemo et volemo debbiati mettere et mantenere et defendere dicto prete Clemente a la pacifica possessione de dicta capella et a luy et a ciascaduno suo messo fare respondere de li fructi et intrate pertinente ad quella capella, senza exceptione alcuna. Et provedere per ogni honesto modo ch’el dicto prete Steffano in questo non li dia molestia alcuna, nè in dicti nè in facti et de questo ve ne caricamo tanto quanto sia possibile et per quanto desiderati fare cosa ne sia grata, avvisandovi che de voluntà de la parte havemo facto rivedere dicte convenctione et per lo commissario sono state approbate et declarato se debano mandare ad effecto in la forma predicta et cussì volemo che faciati: Mediolano XXVIII iulij 1464. Cichus2.
Ma la cosa non si risolvette tanto facilmente perchè, more solito, gli abitanti di Varenna non si dettero per inteso dell’ordine ducale tanto che venne comminata ai disobbedienti una grave pena pecuniaria. Il 29 aprile Cicco Simonetta scrive nuovamente al capitano del Lago di Como:
«Intendendo nuy la ragione de la capella de Sancto Johanne da Varena essere in favore de prete Clemente da Merono scripsemo a dì passati ad ti et al potestà et homeni de la dicta terra lo dovesti mettere a la possessione d’essa capella et fargli respondere de li fructi, et havendo inteso per la resposta ne hay facta la difficultade che fano dicti homeni in non volerlo aceptare, de novo li replicano ch’è nostra intentione et volemo che le mettano a la possessione et fazano integre respondere de li fructi pertinenti ad dicta capella et cussì volemo tu li commandi per parte nostra a la pena de ducati ducento da essere applicati a la camera nostra, et al dicto prete Clemente presti ogni adiuto et favore perch’el sia admesso a la possessione de quella capella et li sia resposto integre de li fructi et contra quelli che precipue sarano renitenti in exequire questa nostra voluntate tu li commandi a la pena de cento ducati per caduno di loro che di ciò habino pasientia et ad quelli che menaciano de offendere dicto prete Clemente et li suoy li astrenzi a dare segurtade de ducento ducati de non offenderli nè le persone nè in la robba et sopra tutte queste cose te concedemo quello arbitrio et auctoritate de comandare ali dicti homeni et condemnarli essendo loro disobbedienti ad quello gli commandarai in questa materia a mò porriamo noi stessi. Dat. Mediolani die XXVIIII augusti 1464. - Cichus - Zanetus3».
Neanco la minaccia di questa multa rimosse i Varennati dalla loro ostilità contro il prete Clemente de Marono, e Cicco scrive per la terza volta al Capitano del lago:
«Quantuncha quelli da Varena siano stati renitenti in mettere prete Clemente a la possessione de quella capella in executione de la sentenza data per lo Vicario de Monsignore lo Arcivescovo de Milano, nondimeno Volemo habi da ti quelli do da Varena presso del quale furono reponuti li fructi de quella capella et qualuncha altro havesse in si de dicti fructi et provedi per ogni modo ne respondano al dicto padre Clemente et a qualuncha suo messo, sensa exceptione alcuna secundo el tenore de dicta sententia et in questo vogli fare per modo che non habiano casone de replicare per quanto desideri fare cosa ne sia grata, commettendoti circa la executione de questo facto tuta quela autorità che nuy possiamo.
Mediolani XXIII decembris 14644
Il 7 gennaio 1465 il Simonetta scrive ancora una volta sullo stesso argomento, ma si vede che i Varennati furono irriducibili, giacche non v’è traccia di loro atto d’obbedienza.
Abbiamo poco fa osservato il numero considerevole di sacerdoti che vi erano nelle due piccole località di Varenna e Monte di Varenna; bisogna però notare che in quel tempo gli abitanti sia per atti testamentari, sia sotto altre forme, facevano frequenti considerevoli doni alle chiese.
Luchino Serponti del fu Luigi, e Beltramo de Mazzi del fu Bonolo abitanti di Varenna, con atto 14 marzo 1444, fanno donazione alla cappella di S. Maria nella Chiesa di S. Giorgio di Varenna di alcune loro proprietà, terre e livelli.
Con atto 27 novembre 1480 Gasparino de Marliano del fu Donato, di Varenna, lascia alla chiesa di Santa Maria del monastero di Varenna alcune sue proprietà in località Caravina presso Lierna5.
Iacobo Magnano del fu Giovanni Iacobo, di Bologna in Monte di Varenna, abitante a Siena in Toscana, con testamento 26 settembre 1484, lascia alla nuova sacristia della cattedrale di Firenze, e alla Chiesa di S. Angelo di Siena lire venticinque, ma non dimentica la chiesa del suo paese nativo, alla quale lascia un appezzamento di terreno, sito in Monte di Varenna6.
Nel 1488 Giorgio da Balbiano lascia 50 lire imperiali alla chiesa di S. Giorgio di Varenna.
Con atto 1 marzo 1488 Matteo de Tenchi fu Pietro, lascia per la costruenda Cappella dei Santi Sebastiano e Rocco nella chiesa di San Giorgio di Varenna, molte proprietà case ed entrate7.
Sul monastero di Varenna abbiamo una interessante lettera scritta dal Duca al referendario del lago di Como. Il monastero viene chiamato nella lettera ducale chiesa de nostra dona de observantia de Varena, denominazione che non si trova in nessun altro documento. A Milano si aveva un ottimo concetto di quelle monache «per la loro honesta et bona vita de la quale pienamente siamo informate».
Lo scopo della lettera è di farle esonerare dal pagamento dei dazi sul grano e su altri generi.
A proposito di questo monastero diremo che nella Biblioteca Ambrosiana si conserva l’atto di nomina di una abbadessa8. In seguito alla morte della ven. Suora Adelasia de Balbieno, il 9 gennaio 1425, si adunò il capitolo della detta abbazia composto delle seguenti suore: Giacomola Campioni, Tamola de la Flora, Giovannina Casori, Pasquinola Cella, Agostina Venini, Giovannina Cattaneo, Margherita Calvasina e Angelina Cella, che dichiararono di eleggere come loro abbadessa, la suora Pasquirola Celia, come da rogito del not. Iacopo Tenca. La quale nomina fatta presente alle nominata badessa da prete Guglielmo da Castiago, beneficiale della chiesa, ossia cappella, di S. Giovanni di Varenna, venne della stessa Suor Pasquirola accettata.
La conferma della elezione toccava per antica consuetudine all’abate di S. Maria dell’Oliveto di Acquafredda, dell’ordine cistercense, e abate del predetto monastero. E infatti l’abate frate Giovanni Crespi, a richiesta di detto prete Guglielmo, dopo aver fatto affiggere alla porta del monastero predetto il bando, onde chiunque avesse eccezioni da muovere contro la persona della eletta, comparisse entro un certo termine, confermò in abbadessa la detta Suora Pasquirola de Cella, e ordinò al predetto reverendo Guglielmo da Castiago d’immetterla nel possesso della carica. L’atto è sottoscritto a Como in parrocchia di S. Nazaro; notaro rogante Francesco de Ripa, figlio di Baldassare, scriba della Curia Vescovile di Como9.
Da un rogito in data 16 agosto 1436, del notaio Giacobino Tenca qm. Antonio di Varena, si apprende che Valariolo e Paolo Denti di Bellano e Gasparino Venini qm. Antonio di Varenna, sono stati condannati dall’arbitro, prete Bernardo Teoldi, di Bellano per una controversia di certi fondi di Lierna, di pagare al monastero di Varenna una decima, nella seguente misura: per le granaglie grosse (grossum bladium) una parte per quaranta, e per la minuta e il vino, una parte per sessanta del raccolto. Inoltre condanna gli stessi a pagare al monastero dodici staia tra frumento e segale in pari proporzione, sei staia di mistura, sei di vino, due staia di castagne peste, e uno staio di marroni verdi per saldo di quanto è dovuto per il passato10. In questa sentenza è citato un atto antecedente a rogito dello stesso notaio in data 27 giugno 1436, nel quale le parti in lite, si rimettono all’arbitrato di prete Bernardo de Teoldi di Lecco cappellano della cappella di Sant’Antonio di Bellano. Questa carta è interessante perchè enumera i fondi pei quali le monache erano in lite. I fondi erano i seguenti:
1. Fondo in Lierna in località detta Alborolo; confinanti: strada, eredi qm. ser Rainerio Brocchi di Bellano, Chiesa di S. Maria di Lierna, Beltramolo Maza e strada.
2. Altro fondo in Lierna in località detta in Grezio confinanti: eredi qm. Vassena de Fasoli di Olcio, e chiesa di San Giovanni di Varenna, chiesa di Santa Maria di Lierna e chiesa di San Giovanni di Varenna predetta, strada Maza e quelli de la Flore.
3. Vigna e campo ivi in località detta in Corte a Lierna, confinanti: eredi qm. ser Maffiolo de Balbieno di Lierna, chiesa di San Giovanni di Varenna e quelli da Pino.
4. Selva con castagni, ivi, in località detta Prato Grasso, confinanti: Marcolo de Pino, eredi qm. ser Maffiolo de. Balbieno, eredi qm. ser Baldassarre di Bellano, e chiesa di San Martino di Lierna.
5. Selva ivi in località detta ad Probecum, confinanti: ser Melchiorre Mazza, chiesa di S. Giovanni di Varenna e altri di Lierna.
Il 23 marzo 1439, prete Guglielmo da Castiago, cappellano della chiesa di S. Giovanni di Varenna, sindaco e procuratore del capitolo del monastero di S. Maria di Varenna, riceve, come da rogito Giacomo Tenca 27 giugno 1433, da Martino Curioni di Mandello, o meglio da Antonio suo figlio che paga a nome del padre, due quartari di frumento per saldo di un ventesimo, della decima grossa (ossia frumento, segale, scandola) e di un trentesimo della decima minuta (ossia miglio, panico, melica, rape, vino, olio e castagne) la qual decima è su di un fondo in Lierna11.
Nel 1444 Luchino de Serponte di Lazaro e Bertramo de Mazzis di Bonolo, entrambi di Varenna, il primo per sette decimi, ed il secondo per i rimanenti tre decimi, fanno donazione di terre e livelli alla Cappella di Santa Maria nella chiesa di San Giorgio di Varenna, alla condizione che il sac. Bernardo de Serponte di Paolo, cappellano di detta cappella, non possa finchè vivo esser privato di detta capellania. Morto poi il detto sac. Bernardo, sia nel detto Luchino, e suoi discendenti la facoltà di eleggere il capellano della cappella di S. Maria, e questi sia tenuto ad offrire allo stesso Luchino e ad un compagno, un pranzo nella festa della natività di Maria, e così successivamente ai discendenti di esso Luchino, cioè a due dei suoi eredi12.
Gasparino de Marliano del fu Donato, di Varenna, con testamento 29 nov. 1480, lascia un appezzamento di terra di quattro pertiche situato alla Caravina, alla Chiesa di Santa Maria del Monastero di Varenna13.
Il monastero riceveva notevoli lasciti, fra gli altri notiamo quello contenuto nel testamento di Giacomo Longhi il quale il 17 novembre 1484 premessi diversi legati nomina suoi eredi generali le monache di Santa Maria del borgo di Varenna, nel quale monastero si trovavano due sue figlie monache, con carico però ad esse monache di fabbricare un monastero nelle sue case situate in Borghetto di Santo Stefano fuori delle mura del Borgo di Lecco dove si dice al Chioso14.
In seguito a questo lascito l’arcivescovo di Milano, il 19 marzo 1486, concedeva alle monache di Varenna di poter fabbricare questo monastero e ivi trasferirsi, col carico però di pagare annualmente una libbra di candele di cera alla mensa arcivescovile15.
E nel 1489 il generale dei Cistercensi emanava un decreto in favore di Benedetta e Fabrizia de Longhi relativamente alla fondazione del monastero di Lecco16.
Il lascito Longhi fu l’occasione di una lunga controversia tra le sorelle Longhi interessate a trasferirsi a Lecco e le monache di Varenna, le quali senza voler ottemperare alla precisa disposizione testamentaria del Longhi, di trasferirsi nei nuovo luogo, intendevano di godersi tutte le rendite del lascito e rimanere a Varenna. Furono delegati varii giudici per comporre la vertenza, ma invano: finalmente per mediazione dei visitatori cistercensi Don Arcangelo Modrignano e Don Girolamo Boldoni, fu accordato che le monache del borgo di Santo Stefano di Lecco godessero l’entrata anzidetta, ma dovessero pagare annualmente e per 13 anni la somma di lire 1040 alle monache di Varenna, e ciò fu approvato anche dal Pontefice Giulio II l’anno 1503. E così ebbe fine la lunga controversia. Da un atto notarile, del 17 novembre 1478 stralciamo l’importante notizia che la parrocchiale di Varenna è già in quel tempo denominata caput plebis17.
Con atto 28 giugno 1477,18 Barbara de Fonio fu Matteo, abitante in Bellano, anche a nome19 di Simone fu Ser Nicola di Ciresis di Cortenova Valsassina, come patrona dell’altare e Cappella di S. Maria e S. Michele nella Chiesa di S. Martino di Perledo elegge a cappellano beneficiato di detta cappellania, Pietro di Bertarino fu Alessio, di Esino.
Fra gli atti del not. Bernardino Matti di Varenna, troviamo (27 luglio 1495) certe «Informationes» sul valore dei beni della cappella di Santa Maria di Varenna. In esse Andrea de Serponte di Gaspare, di Varenna, in presenza del sac. Filippo de Ronzonis, rettore della chiesa di S. Giorgio di Varenna, e del sac. Giovanni Lecascho, rettore della Chiesa di Esino, delegati con lettera patente dell’Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Ferri, attesta con giuramento di sapere dove siano situati, e quale sia il valore degli infrascritti beni: una casa con corte davanti sita nel luogo di Musatio di Lierna, confinante da una parte con Martino Belorini, da un’altra parte con Bertramo Pubella, e dalle altre parti con la strada comune; un pezzo di terra a vigna, campo e brughiera e con piante di salice, sita in detto territorio, dove dicesi Luciana, di misura uguale alle due infrascritte pezze di terra di Buffano e di Campo. La qual terra di Luciana confina da un lato con Giovanni Pietro de Marliano, da un altro con Antonio de Brentis, da un altro con i figli de Bordano e dall’altra con strada; pertiche quattro di terra incolta sita in territorio di Monte Varenna, dove dicesi Olivedo, confinante da un lato con strada, da un altro col livello dei de’ Bertarinis, da un altro con la valle e parte della terra dei Brentis. Aggiunge il dichiarante che questi beni sono migliori per reddito e bontà che i seguenti: un sedimesito nel luogo di Musatio di Lierna e un pezzo di terra di pertiche 11 e tav. 19 a vigna sito in detto territorio dove si dice di Bufano; un pezzo di terra a campo sita dopo il luogo di Musatio, ed un altro nello stesso territorio nel luogo che dicesi Groso, nominato nella sopradetta lettera e nello strumento di livello, fatto dal sac. Giorgio de Brentis, gia cappellano di S. Maria di Varenna, con Antonio e Bartolomeo de Brentis di Varenna dal notaio Donato de Marliano. Interrogato in qual modo sappia tutto ciò Andrea de Serponte risponde che lo sa perchè egli è uno dei più vecchi di Varenna, e che crede che qualora si facesse il cambio dei sopradetti beni tra il cappellano di S. Maria e detti fratelli de Brentis, la detta cappella ne sarebbe molto avvantaggiata20.
I testimoni di questo atto furono: Guglielmo Mazza, Abondio Genone e G. Ludovico Calvasina.
Note
- ↑ Archiv. di St. di Milano, Fondo di religione, p. a., cart. 207.
- ↑ Arch. St. di Milano, Registri Ducali, n. 41 f. 30 t.
- ↑ Arch. di St. di Milano, Registri ducali, n. 41 f. 49.
- ↑ Arch. di St. di Milano, Registri ducali. n. 41 f. 116.
- ↑ Arch. not. di Milano, Rogiti del not. Pietro Panizza di Varenna.
- ↑ Arch. Parrocch. di Perledo, atto del not. Iacobo de Sofferoni di Domenico di Firenze.
- ↑ Atto rogato dal notaio arcivescovile Giuseppe Dionisio Ciocca fu Marcantonio.
- ↑ Ambrosiana, Carte Pagensi, Pergamena 7050.
- ↑ Biblioteca Ambrosiana. Carte pagensi, n. 7050.
- ↑ Ambrosiana, Carte pagensi, n. 7067.
- ↑ Blbl. Ambrosiana, Carte pagensi, n. 7090
- ↑ Atto 14 marzo 1444 in not. Stefano Bergagno. Testimoni furono: Giorgio de Serponti di Melchiorre; Gasparino de Scottis di Pietro; Giovannino Panizza di Antonio, Giovanni de Balbiano di Galeotto, Pietro di Tenca, di Giorgio; Giovanni de Basso di Martino e Martino Mazza di Antonio, tutti di Varenna.
- ↑ Not. Pietro Panizza Varenna.
- ↑ Archivio Notarile di Milano, Notaio Antonio Arrigoni
- ↑ A. S. M, Fondo di Religione, P. A. Conventi, Castello sopra Lecco, cartella 41.
- ↑ A. S. M., Fondo di religione, P. A., Conventi. Castello sopra Lecco cart. 41.
- ↑ Arch. Not. di Milano, Not. Giov. Pietro Calvasina di Antonio.
- ↑ Bibl. Ambrosiana, Carte pagensi.
- ↑ Procura a rogito Pietro Donato Denti.
- ↑ Arch. Not. di Milano, Not. Bernardino De Matti