Un dramma nell'Oceano Pacifico/18. La fuga dei forzati
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Capitolo Decimottavo.
La fuga dei forzati.
Sì, l’uomo che usciva dal quadro di poppa ove erasi rifugiata Anna e che con un coraggio che rasentava la pazzia saliva su quel ponte mezzo arso e scorazzato dalle dodici tigri indiane, era proprio Bill, il cupo e misterioso naufrago raccolto sul tempestoso oceano.
Cosa veniva a fare sul ponte del veliero? Veniva ad assistere al feroce pasto delle fiere o ad assicurarsi se tutti erano morti?
Forse nè l’uno, nè l’altro.
Il miserabile aveva le vesti a brandelli, quasi abbruciate, e pareva che penasse a mantenersi in piedi. Con una mano si stringeva il fianco destro da cui cadevano delle larghe gocce che parevano di sangue, e nell’altra stringeva una cassetta.
Le tigri, nel vedere quella nuova preda, si slanciarono verso di lui mettendo dei ruggiti da far gelare il sangue; ma retrocessero di colpo, come se fossero state colte da un misterioso tenore.
Il naufrago aveva raddrizzato il corpo; i suoi occhi si erano accesi d’una viva fiamma; quegli occhi affascinavano ancora le fiere e le faceva tremare.
Fece un gesto di minaccia, poi indietreggiò verso la poppa, barcollando salì sul cassero senza perdere di vista le dodici tigri che lo seguivano lentamente come se fossero attirate da una forza misteriosa, si arrampicò sulla murata e guardò l’oceano gridando:
— Poggia sotto, Mac Bjorn!...
— Bill!... Infame Bill!... — urlò il capitano.
Il naufrago alzò il capo.
— Ah! Siete voi, capitano Hill — rispose con voce fioca. — Parola di marinaio, che sono molto contento di rivedervi ancora vivo.
— Cos’hai fatto della mia Anna?...
— Anna! — esclamò il naufrago con voce cupa. — Mi ha conciato... per bene... morte e dannazione!...
— Muori, cane! — esclamò il capitano levando dalla cintola di Asthor una pistola.
Puntò l’arma sul miserabile, ma la mano gli tremava così fortemente per l’emozione e pel furore, da rendere impossibile la giustezza del tiro.
— A me! — gridò il vecchio Asthor, levandogliela di mano.
Mirò e fece fuoco. Bill mise un urlo e cadde dalla murata stramazzando in mare.
— Corpo d’una spingarda! — gridò una voce che fu riconosciuta per quella di Mac Bjorn. — Quegli uccelli marini mi guastano il camerata. Al largo, compagni, e che il diavolo li bruci tutti!...
Sotto la poppa del legno si udirono dei colpi sordi, come se i miserabili sfondassero qualche cosa, poi apparve una delle due scialuppe. Mac Bjorn era al timone, Bill giaceva disteso sul banco e pareva senza vita; e gli altri arrancavano con gran vigore.
Attraversarono la zona illuminata dall’incendio, poi sparvero fra le tenebre.
In lontananza si udì ancora la voce beffarda dell’uomo allampanato che gridava:
— Buona fortuna, capitano!...
Poi più nulla.
— Fuggiti! — esclamò l’americano con voce strozzata.
— Sì, — rispose Asthor, — dopo d’aver sfondata la seconda scialuppa. Ma forse Bill non è più.
— E Anna?... È viva o morta?...
— Speriamo che sia viva — risposero i due marinai.
— Ma se Bill... o Dio!... Se l’avesse uccisa?
— È impossibile, capitano! Aveva delle armi con sè e se Bill è rimasto ferito deve essersi ben difesa.
— Oh! Quale orribile situazione! — esclamò il disgraziato piangendo. — Potessi almeno scendere e...
— Zitto, signore — disse Grinnell.
— Cos’hai udito? — chiese l’americano afferrandolo strettamente per le braccia.
— Ho udito la voce di miss Anna.
— Ah!... Grinnell, non illudermi!...
— Zitto — disse Asthor. — Sì... non m’inganno... Grinnell ha udito bene... ascoltate capitano!...
Dal quadro di poppa si alzò una voce abbastanza chiara, e quella voce aveva gridato:
— Padre mio, dove sei?...
— Anna! — gridò il capitano con voce tuonante.
— Sei tu?... — chiese la giovanetta.
— Sì, sono io, Anna!
— Salvo?
— Sì, salvo, e tu?...
— Sono barricata nella mia cabina.
— Ferita?...
— No, padre mio. Sei solo?...
— No, siamo in cinque.
— E Asthor?...
— Sono vivo, miss, ringraziato Iddio — gridò il vecchio marinaio.
— E gli altri?
— Morti — rispose il capitano.
— E i naufraghi?
— I miserabili sono fuggiti!...
— Anche Bill?
— Credo che sia morto.
— Ha rubato tutti i valori!
— Ma è morto!
— E ha anche tentato di rapirmi.
— Ah!... — esclamò il capitano. — Ora comprendo tutta la trama infernale. Quello scellerato amava mia figlia!...
— Le tigri sono ancora sul ponte? — chiese Anna.
— Sempre!
— Non potete scendere?
— Siamo sugli alberi, e le nostre armi sono scariche.
— Brucia la Nuova Georgia?
— Sì, ancora, ma... Ehi, Asthor, non ti sembra che il fumo sia diminuito?
— Sì, sì — confermò il vecchio marinaio. — Ora distinguo chiaramente i due uomini salvatisi sull’albero di maestra, mentre prima il fumo ce li nascondeva.
— Chi sono?
— Fulton e Mariland.
— Quale fortuna se l’incendio si spegnesse!...
— Ma non possiamo egualmente discendere — rispose il pilota. — Finchè le tigri scorrazzano la coperta nessuno potrà mettere i piedi sulla nave.
— Lo so.
— Se si potessero distruggere!
— Le nostre pistole sono scariche, Asthor.
— Un’idea — esclamò il pilota. — Se miss Anna potesse aiutarci!...
— In qual modo?...
— Miss! — gridò il pilota. — Avete dei fucili e delle munizioni nella vostra cabina?
Alcuni istanti dopo la giovanetta rispose:
— Vi sono tre carabine nel salotto.
— Potete prenderle?...
— Le tigri, sono tutte in coperta?
— Sì — rispose il capitano.
— Posso tentare d’uscire dalla mia cabina?
Il capitano esitò a rispondere. Se nel momento in cui la coraggiosa ragazza lasciava la sua cabina, una tigre fosse discesa improvvisamente nel quadro di poppa, il cui boccaporto era stato lasciato aperto da Bill?
Questo pensiero paralizzò per alcuni istanti la lingua del padre.
— Anna, mia adorata figlia! — esclamò. — Non tentare una simile temerità!...
— È necessaria per la vostra e la mia salvezza — rispose la giovanetta con voce risoluta.
— Ma le tigri possono scendere.
— In dieci secondi mi sbrigherò. Ma come farò io a farvi giungere le armi?
— Ve lo dirò poi — rispose Asthor.
— State attenti alle tigri, e se qualcuna si avvicina al boccaporto di poppa, datemi l’avviso con un triplice grido.
— Che Iddio ti aiuti, coraggiosa figlia! — esclamò il capitano con voce commossa.
— Aspettate un istante, miss! — gridò Grinnell.
Si levò dalla cintura il coltello da manovra e in tre colpi staccò il grosso boscello del picco della randa.
— Ecco un proiettile che non faticherà a schiacciare la testa di una tigre — rispose egli. — La prima che si avvicina al boccaporto di poppa, sentirà se pesa.
— Grazie, Grinnell — disse il capitano. — Spicciati, Anna!
— Attenti alle tigri! Io esco dalla cabina!
I tre uomini, in preda ad un’ansietà impossibile a descriversi, attesero fra il più profondo silenzio.
Le tigri si erano radunate tutte verso prua, e malgrado il fumo e le scintille che uscivano dalla camera comune, dilaniavano i cadaveri che ingombravano la coperta mugolando e stritolando colle potenti mascelle le ossa di quei disgraziati. Pel momento non pensavano ai vivi, sicure forse di avere più tardi anche quelli. Ad un tratto però una grande tigre alzò la testa e aguzzò gli orecchi, mettendo un sordo miagolìo, uno di quei miagolìi che sono propri delle tigri e somigliano a veri ruggiti.
Il capitano, Asthor e Grinnell impallidirono, poichè in quel momento appunto Anna doveva trovarsi nel salotto del quadro.
— Grinnell! — mormorò il capitano con voce soffocata.
— Sono pronto — rispose il gabbiere alzando il pesante boscello.
La tigre aveva interrotto il pasto e pareva che ascoltasse con profonda attenzione. Agitò la coda due o tre volte, poi si volse bruscamente verso poppa fissando gli occhi sul boccaporto del quadro.
— Ha udito qualche cosa — mormorò Asthor, rabbrividendo.
— Sì — rispose il capitano, la cui fronte s’imperlava d’un freddo sudore.
La tigre rimase immobile per alcuni istanti, guardando sempre il boccaporto con quei suoi occhi che avevano dei veri riflessi, poi si diresse silenziosamente verso poppa, ma come indecisa.
— Anna!... Anna!... La tigre! — gridò il capitano.
Grinnell levò il pesante boscello e lo scagliò verso la fiera, la quale con un grande balzo lo evitò, fuggendo verso prua.
Nel quadro s’udì un colpo sordo, come di una porta che si chiude con violenza, poi la voce di Anna che gridava con accento trionfante:
— Padre, siamo salvi!...
— Hai le armi?
— Sì!...
— Barrica la porta.
— È barricata.
— A te, ora — disse il capitano, volgendosi verso Asthor.
— Miss — gridò il vecchio pilota. — Occupate la vostra cabina o quella del capitano?
— La mia — rispose Anna.
— La vostra finestra guarda...
— A babordo, presso il timone.
— Se lancio una corda dritto il timone, potreste prenderla?...
— Lo spero.
— Attenzione, dunque!...
Il pilota ritirò il gherlino della bandiera, una solida funicella che poteva sopportare un peso di trenta o quaranta chilogrammi, all’estremità vi attaccò il suo coltello di manovra poi gridò:
— Miss, lancio la fune!...
E la lanciò, tenendo in mano l’estremità opposta, e con una precisione tale, che il coltello andò a fermarsi presso il timone. Un braccio, quello della giovanetta, uscì dalla piccola finestra della cabina e la mano s’impadronì del gherlino.
— Tenete saldo l’altro capo — diss’ella.
— Non temete — rispose Asthor.
Passarono alcuni minuti. Le tigri avevano interrotto il loro mostruoso banchetto e guatavano con una certa inquietudine quella strana manovra, quasi presentissero che per loro doveva avere delle mortali conseguenze.
— Issate! — gridò ad un tratto Anna.
Asthor e Grinnell ritirarono il gherlino che era diventato pesante, e videro con gioia che vi erano attaccate tre carabine e un pacco voluminoso che doveva contenere le munizioni.
— Siamo salvi! — esclamò il capitano, afferrando le armi.
— Brava fanciulla! Tagliate le griselle onde le tigri non salgano, e poi fuoco a volontà.
Le fiere che non dovevano ignorare la potenza delle armi da fuoco e che avevano seguìte con viva inquietudine quelle diverse manovre, si erano radunate in mezzo alla coperta fissando ferocemente i tre marinai e cacciando sordi mugolìi.
— Fuoco! — gridò il capitano.
Tre detonazioni scoppiarono formandone una sola. Una gran tigre, che pareva capitanasse le altre, fece un balzo immenso mandando un ruggito terribile e si distese sul ponte dibattendosi furiosamente.
Le sue compagne, atterrite da quella prima scarica, si misero a balzare pel ponte urlando e ruggendo, urtandosi confusamente e attraversando con un solo salto il vascello da babordo a tribordo.
Ma i colpi si succedevano ai colpi, le palle fischiavano e andavano implacabilmente a ferire con una precisione terribile. Invano le fiere raddoppiavano i balzi e i ruggiti; invano si slanciavano all’impazzata contro l’albero, dalla cui cima il capitano, Asthor e Grinnell le fulminavano, e invano fuggivano, cercando di ripararsi dietro ai barili e alle casse e agli attrezzi sparsi sul ponte.
— Fuoco! Fuoco! — gridava sempre il capitano, mentre Fulton e Mariland, inerpicati sull’alberetto di maestra, mandavano degli urrà fragorosi.
La fucilata continuava sempre più forte, sempre più precisa, abbattendo a una a una quelle formidabili ma impotenti avversarie.
In capo a dieci minuti sette tigri giacevano senza vita sul cassero, due si dibattevano fra le strette dell’agonia, una, impazzita dal terrore, era balzata in mare dove i pescicani l’avevano trascinata nei profondi abissi. L’undicesima, gravemente ferita, si trascinava pel ponte pieno di sangue cercando di raggiungere l’albero per tentare, con un ultimo sforzo, di slanciarsi fino alla coffa, e la dodicesima si era ritirata a prua, accovacciandosi dietro a due casse.
— Due scariche ancora, — disse il capitano Hill, — e potremo discendere.
Altri tre colpi di carabina echeggiarono, e la tigre moribonda cadde fulminata ai piedi dell’albero di mezzana.
— All’altra — disse Asthor ricaricando l’arma.
In quell’istante Grinnell mise un grido di rabbia.
— La tigre è fuggita! — esclamò.
— Dove?
— Nella camera comune.
— Così deve essere — disse Asthor. — Ma... come faremo ora a scovarla?
— Avete paura? — chiese il capitano.
— No — risposero i due marinai.