Un dramma nell'Oceano Pacifico/17. L'assalto delle tigri

17. L'assalto delle tigri

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16. L'incendio della nave 18. La fuga dei forzati


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Capitolo Decimosettimo.

L’assalto delle tigri.


Non vi è nulla di più terribile dell’incendio di una nave in alto mare.

Sembrerebbe impossibile che un corpo galleggiante, contornato dall’acqua, potesse venire distrutto invece di esser salvato colla massima facilità; eppure sono rari i casi in cui un vascello riesce a sfuggire al disastro, quando il fuoco è scoppiato a bordo.

Gli sforzi dell’equipaggio sono quasi sempre inefficaci a porre un freno all’elemento distruttore. Le pompe funzioneranno sempre, l’energia non verrà meno agli uomini, i torrenti d’acqua scenderanno senza posa nella cavità della nave, ma il fuoco guadagnerà sempre di forza, poichè è rinchiuso in una prigione di legno, e questa, quantunque di fuori sia bagnata, nell’interno è sempre secca.

Le ardenti vampe si dilatano con rapidità spaventevole, invadono le cabine, si allungano nelle corsie, intaccano i piedi degli alberi, distruggono i puntelli, divorano i bagli e i corbetti, consumano il sottosuolo del ponte, finchè la coperta intera, priva di [p. 156 modifica] appoggio, precipita nella stiva trascinando seco le pompe, l’alberatura, l’attrezzatura, il castello di prua, il cassero, e anche gli uomini, se non sono pronti ad abbandonare la fumante carcassa.

Allora nulla più arresta la distruzione: l’implacabile fiamma, divorato il grande ammasso di legname e ringagliardita da quel nuovo elemento, intacca i fianchi, incenerisce i corbetti che formano l’ossatura; apre delle immense ferite. Il mare entrerà da quelle aperture fra l’acqua irrompente e il fuoco, si combatterà l’ultima battaglia, le vampe si spegneranno bruscamente sotto l’invasione del nuovo e più potente elemento, ma la nave sarà tuttavia perduta.

Il fumante rottame non galleggerà più mai su l’azzurra superficie del mare, e affogato da quel nuovo nemico scenderà nei profondi abissi.

Tale doveva essere la sorte della Nuova Georgia, se il caso non le veniva in aiuto. Ormai il fuoco si era impadronito di quel corpo galleggiante; non poteva essere che questione di poche ore.

L’equipaggio, sfinito dal faticoso manovrare delle pompe, spaventato dall’irrompere improvviso di quella immensa cortina di fuoco, istupidito dal fumo che lo avvolgeva acciecandolo e soffocandolo, non ne poteva più. E per colmo di disgrazia si faceva strada il timore che il ponte, le cui tavole erano già diventate tanto ardenti da bruciare i piedi, fosse lì lì per crollare. Non restavano al loro posto che a gran pena, più per paura delle pistole del capitano e di Asthor, che per dovere o per speranza, poichè ormai avevano perduto ogni illusione sulla possibilità di salvare la nave.

Quantunque tutti i getti delle pompe fossero stati diretti contro la camera comune, la grande fiamma ingigantiva a vista d’occhio, illuminando come in pieno giorno l’oceano circostante. Si contorceva come se fosse irritata nel trovarsi imprigionata fra le pareti della [p. 157 modifica] camera comune, spariva fra i densi nuvoloni di fumo, poi ricompariva più brillante e superba allungandosi verso le vele dell’albero di trinchetto ed eruttando contemporaneamente nembi di scintille, che il vento trasportava lontane lontane fra le tenebre, disperdendole sulle onde dell’Oceano Pacifico.

Nel frapponte proviero si udivano sempre cupi ronzii, sordi brontolii, uno spaccarsi e un cadere di legnami ardenti e giù, in fondo alla stiva, i ruggiti delle dodici tigri e lo scricchiolare delle gabbie furiosamente investite da quei potenti e feroci abitatori delle jungle indiane.

Miss Anna, atterrita dal fuoco e da quelle urla, si era ritirata a poppa per tenersi pronta a scendere nelle due imbarcazioni; ma il capitano Hill e Asthor, che non avevano perduto ancora ogni speranza, facevano intrepidamente fronte all’incendio, tentando ogni mezzo per domarlo.

Con le pistole in pugno, per incutere paura all’equipaggio e costringerlo con quella minaccia a continuare il duro lavoro, dirigevano i getti delle pompe or qua e or là, facevano tagliare questo o quel pezzo del castello di prua a fine d’isolare la fiamma irrompente, facevano recidere le manovre per salvare l’albero di trinchetto o ammainare le vele ed i pennoni che correvano maggior pericolo.

Ma tutti i loro sforzi pareva che riuscissero infruttuosi.

Alle dieci di sera dovettero far trasportare le pompe dietro l’albero di maestra avendo l’incendio guadagnato via. Ormai bruciava l’intero castello di prua e l’albero di bompresso si poteva considerare come perduto. Alle undici l’albero di trinchetto, la cui base doveva essere stata carbonizzata dall’incendio, precipitava attraverso la prua della nave, trascinando seco tutta la velatura e fracassando, nella caduta, le due ultime imbarcazioni sospese alle grue di cappone e parte della murata. [p. 158 modifica]

Per alcuni istanti l’albero rimase sospeso, appoggiato alla coperta del legno, poi i paterazzi e le sartìe si spezzarono rimbalzando e precipitò in mare sollevando una larga ondata.

— Ecco uno stuzzicadenti andato, — gridò l’allampanato Mac Bjorn. — Un altro che lo segua, e siamo fritti!...

— Taci là, uccello del malaugurio! — esclamò Asthor.

— È finita, — disse Anna, rabbrividendo. — Povero padre mio!...

— Sì, è propria finita, — rispose il capitano Hill con voce sorda. — Non ci rimane che di salvarci nelle imbarcazioni; prima di partire, andiamo a vedere i progressi dell’incendio, Asthor.

— Andiamo a vedere, signore, — riprese questi.

S’avanzarono attraverso il fumo e alle scintille che avvolgevano interamente la nave e si spinsero fino al boccaporto di maestra, mentre l’equipaggio, quantunque stremato di forze, riprendeva la faticosa manovra.

La fiamma vorace, quasi fosse soddisfatta di aver abbattuto il grande albero, si era abbassata, ma lavorava con tutta lena a distruggere il castello di prua. Sotto il ponte però si sentivano ardere i legnami e precipitare i puntelli del frapponte, e la stiva era illuminata da una estremità all’altra dal riflesso delle vampe.

Il capitano e Asthor scesero dal boccaporto di maestra, si calarono nel frapponte e si spinsero verso prua. L’incendio avvampava sempre, ed ora cominciava a intaccare la sottocoperta minacciando di farla crollare sotto i piedi dell’equipaggio.

— Tutto è inutile! — esclamò il capitano. — Per la Nuova Georgia è finita.

— Lo vedo, — rispose il pilota crollando tristamente il capo. — Ma... da dove viene questo fumo?

— Dell’altro fumo? [p. 159 modifica]

— Sì, e sale dalla stiva. —

Si curvarono sull’apertura del frapponte e guardarono ingiù. Dei frammenti di legname, forse lanciati dall’esplosione delle botti ripiene di alcool o di olio minerale, ardevano in fondo alla stiva, attorno al piede dell’albero di maestra a cui avevano dato già fuoco.

— Fuggiamo! — esclamò il capitano. — È un nuovo incendio che avvampa, e possiamo venire presi in mezzo.

— Addio, Nuova Georgia, — disse il pilota. — Sei perduta per sempre!

Risalirono frettolosamente in coperta, mentre le tigri, mezze soffocate e diventate furiose dalla vicinanza di quel nuovo incendio, ruggivano più forte che mai.

— Anna, — disse il capitano abbracciando la figlia. — Tutto è ormai perduto e non ci rimane che di lasciare questa disgraziata nave.

— Non vi è più alcuna speranza? — chiese la giovanetta colle lagrime agli occhi.

— Nessuna. Finchè io dispongo tutto pel salvataggio, scendi nella mia cabina, raduna le carte di bordo, i valori, e vieni a raggiungermi.

— Sì, padre mio. —

Mentre Anna scendeva nel quadro di poppa, il capitano gridò:

— Si abbandonino le pompe e si raccolgano quanti viveri si possono trovare.

— Si abbandona la nave? — chiesero i marinai.

— Sì, amici miei, — rispose il capitano con voce commossa. — La Nuova Georgia è perduta!

— Affrettiamoci, — disse Asthor. — L’albero di maestra può piombarci addosso da un momento all’altro.

— Andiamo a vedere se si può salvare qualche cosa nella dispensa, — disse Bill volgendosi verso i naufraghi. [p. 160 modifica]

— Vuoi abbruciarti? — gli chiese Asthor. — Là dentro fa molto caldo, mio caro.

— Noi siamo di pelle dura, — rispose Mac Bjorn con un sogghigno. — Andiamo, amici!...

Bill e i compagni, nonostante i vortici di fumo, discesero dal boccaporto di maestra, mentre l’equipaggio americano si sparpagliava pel ponte onde riunire i barili d’acqua e le casse di biscotti e di carne salata, che avevano levate dalla camera comune, prima che il fuoco la invadesse.

Il capitano Hill, Asthor, i gabbieri Mariland, Grinnell e Fulton si portarono a poppa per rimorchiare le due scialuppe, le sole che ormai rimanevano, sotto la scala di tribordo.

Già stavano per ritirare le gomene, quando in fondo alla stiva si udirono urla feroci e ruggiti formidabili.

Il capitano rabbrividì.

— Gran Dio! — esclamò. — Che le tigri abbiano spezzate le gabbie?

— È impossibile, — rispose il pilota. — A meno che qualcuno... —

Non finì. Due marinai che erano scesi nel frapponte sperando di aiutare i naufraghi nelle loro ricerche, si slanciarono in coperta coi capelli irti, i volti disfatti da un terrore impossibile a descriversi, gridando con voce disperata:

— Le tigri!... Si salvi chi può.

— Tradimento! — urlò una voce.

Poi, attraverso il fumo ed ai bagliori dell’incendio, si videro irrompere sul ponte, con un balzo gigantesco, le dodici tigri, ma libere, affamate di carne umana, furibonde per la lunga prigionia, più terribili di un migliaio di antropofagi!

L’assalto fu irresistibile e mostruoso. Balzando attraverso alle [p. 161 modifica] fiamme e al fumo, piombarono fra l’equipaggio americano che era inerme, e a cui il terrore aveva paralizzate le forze.

Una scena spaventevole accadde allora sul ponte del disgraziato veliero. Gli uomini che non pensavano nemmeno a fuggire, tanto era stato inaspettato quel brutale assalto, cadevano a due, a tre alla volta, atterrati dai potenti artigli delle belve o stritolati da quelle formidabili mascelle.

Per alcuni istanti si udirono urla disperate, invocazioni, gemiti, rantoli e ruggiti, poi due colpi di pistola e la voce del capitano Hill che tuonava:

— Sugli alberi!... Salvatevi sugli alberi!... Anna!... Anna, barricati nella cabina!...

Unendo alle parole i fatti, il capitano si aggrappò d’un balzo alle griselle dell’albero di mezzana e s’inerpicò fino alla crocetta con fantastica rapidità. Due uomini lo raggiunsero tosto; erano il pilota e il gabbiere Grinnell.

— Il mio equipaggio! — gridò il capitano che si strappava i capelli. — Anna!... O mia Anna!...

— Tradimento! — esclamò il pilota. — Ah! Miserabile Bill!

— Datemi un fucile, almeno! — esclamò il disgraziato comandante piangendo di rabbia. — Fulton, Mac-Land, O’Riel, Mariland, ove siete voi, gran Dio!

— Tutti perduti! — rispose Grinnell, che era bianco come un cencio lavato.

— Ah! Miserabili forzati!...

— Sì, sono stati loro che hanno aperto le gabbie, — disse il vecchio marinaio, che piangeva come il capitano.

— Ah! Vi strapperò il cuore! — gridò l’americano con odio profondo. — Vedi nessuno sull’albero di maestra, Asthor? [p. 162 modifica]

— Sì, sì; vedo attraverso il fumo due uomini aggrappati alla crocetta, — disse Grinnell.

— E gli altri?

— Le tigri stanno divorandoli, — rispose Asthor con voce cupa. — Sciagura sui naufraghi!

— E Anna?...

— Non temete per lei, capitano, — rispose Grinnell. — Vedo che il boccaporto di poppa è chiuso. [p. 163 modifica]

— Era aperto prima?

— Sì, ne sono certo, capitano.

— Che l’abbia chiuso Anna?

— Sì, deve essere stata la miss, che forse nel momento dell’allarme stava per salire in coperta.

— Zitto!...

— Delle grida! — esclamò Asthor, rabbrividendo.

— Sì!... Escono dal quadro... Anna mia!...

— Odo la voce di Bill! — gridò Grinnell.

— Che si sieno rifugiati nel quadro di poppa, quei miserabili?

— Udite! — esclamò Asthor.

Fra i ruggiti delle belve che balzavano fra i cadaveri e i cupi brontolii dell’incendio, si udì echeggiare un colpo di pistola seguìto da un grido di dolore e da una orribile imprecazione.

— Scendiamo! — esclamò il capitano fuori di sè.

Il pilota lo afferrò a mezza vita con vigore straordinario.

— No!... Non vi lascerò divorare dalle tigri, signore, — gridò.

— Lasciatemi, Asthor! — disse il capitano cercando di liberarsi da quella stretta.

— No... aiuto, Grinnell!... Sul ponte vi è la morte!... —

Il capitano che pareva fosse impazzito stava per respingere i due fedeli compagni, quando il boccaporto di poppa si alzò e ne uscì un uomo.

L’americano mise un vero ruggito.

— Bill! — esclamò con un intraducibile accento d’odio. — Bill!...