Trattato di archeologia (Gentile)/Arte romana/Appendice

Arte romana - Appendice. Degli scavi e delle scoperte recenti sul Foro Romano

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Arte romana - II Arte romana

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APPENDICE.


Degli scavi e delle scoperte recenti sul Foro Romano.


metodo ed estensione degli scavi recenti.


Già da molto tempo era stata riconosciuta dai dotti la necessità di iniziare degli scavi sistematici e strettamente scientifici sull’area del Foro Romano, perchè vi si potesse leggere la storia di Roma dal periodo della monarchia a quello del Basso Impero con sicurezza di dati archeologici ed epigrafici, ma solo per mezzo dell’intelligente energia dell’on. ex Ministro Baccelli e della rara competenza dell’architetto Boni poterono avere effetto e conclusioni scientifiche durature.

Il Boni, coadiuvato da un’eletta schiera di valenti archeologi ed epigrafisti, sorretto dalla fiducia e dall’aiuto dell’ex Ministro e del Governo, scelse come criterio archeologico di ricerca l’esame stratigrafico del Foro, saggiando sempre per mezzo della sezione verticale dei pozzi la successione degli strati archeologici e geologici, in modo da tener conto d’ogni minimo particolare sulla natura, sulla provenienza e sull’impiego dei materiali antichi, cosicchè questi, alla luce della storia e della critica archeologica, poterono essere meglio vagliati e studiati, e in base a questo studio poterono essere operati gli scavi definitivi.

Bisogna pertanto attendere dalle pubblicazioni ufficiali le notizie sicure sull’orientazione e sulla cronologia dei vari monumenti, con la nuova sistemazione dei quali è legato ormai indissolubilmente il nome dell’onor. Baccelli e dei benemeriti archeologi romani.

In poco meno di due anni, i risultati degli scavi del Foro furono notevolissimi, perchè misero alla luce il famoso niger lapis, o strato di pietra nera, di cui fu selciata parte del Foro, la stele ormai celebre per la difficoltà della sua interpretazione, i rostra del Comizio e l’ara di Cesare, le celle sotterranee del tempio di Vesta e la domus publica, la Regia, la nuova sistemazione delle cloache e il ritrovamento di una cloaca anteriore a quella maxima, e orientata diversamente da questa, nonchè la nuova direzione della Sacra Via non sempre identica a quella tradizionalmente creduta come tale.


la “sacra via„


Incominciamo da questa maggiore arteria del Foro. Se ne è modificata la direzione in sèguito allo sterro eseguito dinanzi la Basilica di Costantino; si è distinta la parte di costruzione

[p. 334 modifica]dell’epoca imperiale da quella antichissima repubblicana, e si sono rinvenuti due muri di fondazione che intersecavano la Via Sacra e tra i due muri vestigia di edifici distrutti, di cui uno del periodo repubblicano, a costruzione reticolata (ved. tav. 87).

“La vita secolare e intensa del popolo che finì col dominare il mondo antico — scrive l’arch. Boni1 — dovette mutare l’aspetto primitivo della piccola valle in cui sorsero il Comizio, il Foro e i Sacrarî di Stato, e la cui struttura geologica ha per certo influito nel distribuire i centri della vita religiosa, civile e politica romana, sul percorso della Sacra Via, che li collegava„.

Perciò si credette opportuno nell’eseguire il rilievo della Sacra Via di fare anche quello di tutti gli edifici adiacenti, nell’area compresa fra il Colosseum e il Tabularium, e questo rilievo fu eseguito nel maggio scorso2 da quarantasei alunni del secondo corso della Scuola d’applicazione degli ingegneri della R. Università di Roma, divisi in cinque squadre, sotto la direzione del prof. Reina, coadiuvato da cinque assistenti della Scuola stessa3, ed è qui riprodotto nella nostra tavola n. 96.

Gli scandagli che intanto l’architetto Boni andava compiendo confermarono che “i ruderi visibili rappresentavano l’ultimo capitolo di uno dei più preziosi libri della storia umana, sepolto sotto selciati medioevali rifatti nel Cinquecento, o più di recente sofisticati; e sotto un fitto velo di terriccio e di lastrami di pietra, che dinanzi alla storia hanno il valore delle imbiancature che in certe chiese ricordano le pestilenze del Seicento, ma nascondono gli affreschi di Giotto„4.


il “comitium„ e il “niger lapis„.


Intimamente connesso con la Via Sacra è il Comitium, che l’architetto Boni sterrò alacremente, mettendo allo scoperto la parte anteriore della chiesa di S. Adriano fino al livello attribuito all’imperatore Diocleziano. Ritornò in luce dinanzi alla chiesa il pavimento del Comizio e un’importantissima iscrizione, [p. 336 modifica]che si reintegra c]uriam sen[atus. Oltre ritrovamenti di blocchi di travertino dell’età repubblicana e di molti pozzetti sull’area del Comizio, ciò che più interessa è il ritrovamento del niger lapis, che si credette sùbito la tomba di Romolo e fu oggetto di discussioni molte e vivaci (ved. tav. 89).

Da un lato il Boni, il Vaglieri ed altri dotti sostennero potersi il niger lapis riferire di fatto alla tomba di Romolo, dall’altro lato l’Hülsen in una conferenza all’Istituto archeologico germanico dimostrò doversi attribuire a Massenzio, restauratore come Costantino dell’antichità, e tanto l’Hülsen quanto il Pais più recentemente sostennero trattarsi di una dedica a Marte non a Romolo, per cui i dotti concluderebbero che il niger lapis possa essere un lastricato, fatto anche in tempo più tardo, ma a memoria del luogo sacro che, secondo le tradizioni antichissime, e forse per qualche scavo fortuito, era indicato quale tomba di Romolo: questo restauro verosimilmente si attribuirebbe a Massenzio.


la stele inscritta del comizio.


Sotto il niger lapis si rinvennero basamenti decorati con gola etrusca e congiunti da una striscia di tufo formante gradone e con altri oggetti e frammenti un cippo di tufo in forma di tronco di piramide quadrangolare a spigoli sfaccettati, con la iscrizione di dubbia interpretazione, che affaticò lo studio e l’ambizione di molti dotti (ved. tav. 90).

Riferire qui tutta la bibliografia relativa al niger lapis e soprattutto all’epigrafe in questione sarebbe assunto impari alla mole di questo Manuale e alle mie forze: basti dire che il chiarissimo prof. Tropea, che con sagace intendimento seguì e riunì tutti i lavori relativi alla stele arcaica5, riunì la cronaca delle discussioni in tre articoli o parti, e l’argomento non è ancora esaurito.

Dirò soltanto che non solo gravi furono e sono tuttora i dubbi circa il significato e la interpretazione dell’epigrafe, ma anche circa la cronologia dell’epigrafe stessa, che molti vollero determinare con criterî puramente archeologici.

La rottura del cippo e la manomissione dei basamenti sarebbero dovuti, secondo il Boni (che ne fece insieme col Gamurrini e col Ceci una Relazione ufficiale6), a un’opera di [p. 337 modifica]distruzione violenta e premeditata, che fu poi espiata con un sacrificio. Ora si credette, ben vagliando i detriti del sacrificio, di fissare la data, ma il Pais prima7, il dott. Savignoni poi8 riconobbero che il criterio della stipe votiva non dev’essere quello esclusivamente scientifico da seguire, in quanto che è incerto e abbraccia un periodo di tempo troppo esteso.

“In conclusione — scrive il Savignoni — abbiamo una suppellettile la cui cronologia varia dal VI secolo (e per qualche caso forse anche dal VII) al secolo I av. Cr.; per altro i gruppi più abbondanti sono il più antico e il più recente. Tutti gli oggetti descritti furono trovati confusi insieme nello strato di cenere e carboni, non già stratificati a seconda delle loro diverse epoche; sicchè si tratta evidentemente di un materiale, non già proprio di un deposito formatosi a mano a mano, ma lì trasportato da altra parte e tutto in una volta ad uso di riempimento. Il che viene confermato dal fatto che esso è un materiale in massima parte frammentario, e che degli oggetti più grandi ed importanti, come, p. es., del vaso greco con Bacco, abbiamo non già tutti o quasi tutti i frammenti, bensi il contrario, ossia solo qualche frammento.

“Il luogo che doveva essere ricolmato e coperto ha tutta l’apparenza di un luogo sacro; e non senza intenzione sarà stato adibito per ciò, prima d’ogni altra cosa, un materiale anch’esso evidentemente sacro, preso da una o più stipi votive, e frammisto ad abbondanti resti di sacrifici: il che, oltre a contribuire al rialzamento del suolo secondo le nuove esigenze topografiche, faceva sì che si conservasse, quasi sotto sigillo, alla divinità quello che la pietà romana le aveva dedicato.

“Ciò avvenne dopo che il luogo stesso era stato devastato, e dopo che più tardi fu sgombrato dai rottami dei monumenti venerandi, i resti dei quali sono rimasti nascosti da quel tempo fino ai dì nostri.

“Ma quando avvenne non è facile precisare; io mi limito a notare che per la soluzione del problema è d’uopo, a mio avviso, tener d’occhio piuttosto il materiale più recente che il più antico.„

Riconosciuto incerto il criterio della stipe, i più si volsero a spiegare epigraficamente e glottologicamente l’epigrafe. Primeggiano in questo lavoro, dopo la Relazione del prof. Ceci, i proff. Pais e Comparetti, i quali pubblicarono studî riassuntivi e geniali che fanno onore alla scienza italiana9. [p. 338 modifica]

Ma l’Hülsen, il Milani, il Ceci, il Gamurrini, il Mariani, il De Cara, il De Sanctis e altri ancòra10 non cessarono di aggiungere ciascuno osservazioni proprie alla critica altrui, e da tutta questa congerie di opinioni e di lavori ne venne la conclusione, fino a nuovi risultati esaurienti, che l’epigrafe della stele ha carattere sacro, e si riferisce al luogo ove sorge, e che l’area dove sorge era sacra a Marte, e quindi anche a Romolo, non escludendo che in tempo tardo abbiano voluto, con quei residui di stipe votiva e col selciato nero sovrapposto, meglio consacrare alla venerazione dei posteri un luogo consacrato già dalla tradizione patria. Per me l’iscrizione non è tanto antica, nè tanto recente quanto alcuni vorrebbero, ma è piuttosto del principio della Repubblica che non della Monarchia, o del tempo dell’incendio gallico, e contiene senza dubbio prescrizioni e divieti di carattere sacro, del genere così chiaramente esposto dal senatore Comparetti„ (ved. tav. 91)11.

Fra le varie e talora opposte opinioni che furono esposte in proposito un’altra merita di essere ricordata non solo per la sua originalità, ma anche per l’intima relazione che ha con tutto il complesso della religione, del diritto sacro e della storia prisca di Roma, l’opinione del ch. prof. Milani, direttore del R. Museo archeologico di Firenze e degli scavi di Etruria12.

La scoperta quasi contemporanea di un simile locus sacer a Fiesole, della quale diede conto all’Accademia dei Lincei, rende la sua interpretazione evidente. Secondo un’ipotesi già emessa, il cosidetto sepolcro di Romolo sarebbe originariamente il mundus, o centro augurale della città, costituito etrusco ritu, di cui parla Dionigi d’Alicarnasso.

In Roma vi erano due mundi antichissimi, uno sul Palatino e l’altro nel Foro; quest’ultimo era stato coperto da un’ara, che il Milani riconosce nel postamento di tufo dietro le note basi [p. 340 modifica]sagomate. Questo postamento dell’ara sta probabilmente sopra un lastricato che copriva il mundus, detto lapis manalis, e questo lapis, di cui si copri il mundus e il templum romuleum, venne naturalmente considerato nella tradizione popolare come l’heroon, ossia il sepolcro di Romolo.

L’importanza grande di cui parla il Milani starebbe anche nel fatto che il lapis manalis, il mundus romuleus, le basi sagomate, su cui stavano i duos leones, di cui parla Varrone, e su uno dei quali stava la pietra, simbolo aniconico e feticio di Tellus, dea della vita e della morte, tutto questo insieme monumentale costituisce il templum augurale etrusco, quale conosciamo da Marziano Capella e da un ricordato templum sacerdotale di Piacenza, ed ha riscontro e spiegazione nel rilievo monumentale coi leoni della porta settentrionale di Micene, che il Milani dichiarerebbe un emblema araldico della città micenea e un indice religioso dei sepolcri degli Atridi, trovati presso detta porta (ved. tav. 8 e cfr. tav. 9).

Quanto al Foro Romano, le cose sarebbero rimaste intatte finchè, per il naturale rialzamento del suolo e per le esigenze delle nuove fabbriche, secondo il piano regolatore del Foro di Giulio Cesare, furono obbligati a rialzare il livello del niger lapis di 60 centimetri.

Venendo poi alla epigrafe della stele piramidata, egli la dichiara dell’età regia e probabilmente serviana (lex regia); ma questa conclusione parte dall’analisi della stipe votiva, che non risponde a quella fatta dal dott. Savignoni.

Il Milani pertanto avrebbe ragione per conto suo, se rimanessero salde le basi cronologiche della stipe, da lui assegnata parte al secolo VIII e VII av. C. e parte al VI. “Nessun oggetto della stipe vera e propria esiste, secondo egli afferma in modo assoluto, che possa riferirsi ai secoli V, IV, III e II a. C. Esistono soltanto dei cocci eterogenei alla stipe del secolo IV e I a. C.; quelli del IV si riferirebbero al primo conseptum maceria, fatto per sostenere il lapis; quelli del I al tempo di Cesare.

E il Milani a questo proposito conclude eloquentemente che questi ultimi cocci del I secolo a. C. mostrano appunto “che vi è stato un rimaneggiamento e un rialzamento del lapis, riducendolo di proporzioni, ma curando che le sacre reliquie, raccolte intorno al mundus e al templum dei re di Roma, si conservassero intatte, là dove erano, tra i monumenti dei re„.


IL TEMPIO DI VESTA E LA “DOMUS„ DELLE VESTALI
SECONDO LE RECENTI ESPLORAZIONI.


Su questo argomento così interessante per la storia di Roma, potè riunire tutti i risultati più importanti degli ultimi scavi [p. 341 modifica]lo stesso direttore di questi, l’illustre direttore Boni in uno dei fascicoli delle Notizie degli Scavi13.

La aedes Vestae possedeva il focolare dello Stato e sorgeva al basso della falda settentrionale del Palatino: il fuoco veniva alimentato diebus noctibusque dalle vergini Vestali, con legname di quercia o d’altro albero.

Il rudere del Sacrario di Vesta aveva subito squarci notevoli, e giaceva sotto il peso di ostinate definizioni, contro le quali si ristudiò con metodo e con scavi opportuni, facendo tornare in luce la favissa centrale o cella penaria, la platea circolare del podio, avanzi di sacrifici e confini del temenos, in modo da poter studiare le strutture di età diverse, e determinare l’ampiezza dell’edificio al quale appartengono i frammenti architettonici che si conoscono, che sono parte del tardo restauro imperiale.

Il Boni, nel lavoro magistralmente condotto che ho sopra citato, dopo averci dato l’aedes Vestae e i ruderi attigui, i quali appaiono da una sua fotografia fatta a 500 metri d’altezza con un pallone del Genio militare, e dopo avere rappresentato il Sacrario di Vesta quale si vede in un bassorilievo della Galleria degli Uffizi; stabilisce in due clichés distinti la veduta del Sacrario di Vesta nel 1898 e quella stessa, quale risulta dalle ultime esplorazioni, ben determinata nei suoi differenti strati archeologici corrispondenti alle differenti strutture, che costituiscono il rudere del Sacrario stesso (ved. tav. cit. 92). Seguono la pianta e le sezioni; una traversa il cardo, l’altra traversa il decumanus.

Il calcolo di cinquanta piedi di m. 0,29574 per il diametro di m. 14,80 circa della muratura riposante sulla platea circolare del rudere confermò l’opinione più volte espressa dall’illustre Pigorini, che i terramaricoli, popolo divenuto italico prima degli Etruschi e dei Greci, avessero un’unità metrica corrispondente circa al piede romano di m. 0,2963, e che tracciassero le loro costruzioni in base a questa unica misura.

La parte più antica del rudere del Sacrario di Vesta si deve attribuire ai Flavî, come mostra l’analogia dell’opus quadratum con quello del templum Sacrae Urbis.

Il nucleo severiano è composto invece di scheggioni di tufo gialliccio, a struttura pisolitica; la favissa, o cella penaria stercoraria, ha pianta quadrangolare, quasi trapezoidale, e fa ricordare la forma della Roma quadrata, quella del niger lapis e della città dei terramaricoli, illustrate dal Pigorini. L’angolo acuto della favissa di Vesta è rivolto a nord-ovest, e si deve [p. 343 modifica]confrontare con l’angolo acuto dell’agger nelle terremare, il quale serviva come spartitore dell’acqua, che ne alimentava la fossa. È incerto l’uso della favissa, ma l’averla trovata senza aperture laterali, piena di resti di sacrificio e di vasi etruscocampani, potrebbe far credere o al locus intimus, ove dovevano stare gli oggetti misteriosi (le sacra fatalia col Palladio e i Penati portati da Troia, che avrebbero trovato posto comune in quelle specie di sotterranei), oppure al luogo dove tenevansi custodite le spazzature e i rifiuti animali, finchè al 15 giugno si portavano alla Porta Stercoraria del Clivo Capitolino.

Gli avanzi frammentosi del restauro Severiano e forse di un altro più tardo ancora, potrebbero venire rialzati a posto, qualora si avessero dati più certi del loro postamento e l’altezza dei piedestalli. I frammenti rimasti sono in marmo lunense e il Boni ne dà le riproduzioni in zincotipia.

La ricostruzione in ogni modo doveva essere di tempio circolare con tetto a cupola, di cui si scopersero pure frammenti, cosicchè noi possiamo ancora passare attraverso le modificazioni dei restauri architettonici al Sacrarium della Regia, contenente il fuoco sacro con la tradizionale arcaica forma dell’urna a capanna del periodo italico preromano, a pareti intessute di vimini e a pali ritti di legno per sbarrare la capanna e per aggiungerle una specie di portico coperto (cfr. Atlante cit., tav. VII).


altri centri minori d’escavo.


L’attività dell’architetto Boni e de’ suoi bravi operai si rivolse inoltre al luogo del rogo di Cesare, ai rostra, dove si scopersero quattro gradini di fondamenta delle vestigia curvilinee che già conosciamo e alla Basilica Iulia (ved. tav. 93).

La Regia, questo centro religioso e politico di Roma monarchica, fu pure oggetto di cure speciali, che portarono al ritrovamento di una struttura quadrata in tufo con rialzo circolare nella superficie superiore, una specie di altare, o di sacrarium della Regia, forse il luogo di custodia delle tradizionali aste di Marte (ved. tav. 94=95).

Molto vi sarebbe a dire anche sulla Basilica Aemilia, per la quale rimando al lavoro esauriente dell’illustre prof. Lanciani14. Mi preme soltanto di far notare che si rinvennero le gradinate per le quali si accedeva a una specie di basamento rotondo, molto [p. 346 modifica]logoro, che si crede un sacello. Inoltre fu messa allo scoperto meglio di prima la grande aula della Basilica, col pavimento in marmo africano, porta santa e giallo antico.

Maggior luce venne inoltre con gli ultimi scavi alla storia della costruzione del templum Antonini et Faustinae, del quale uscì nella sua primitiva grandezza lo stilobate, e si potè studiare tutto il perimetro, essendo ora isolato.


la “cloaca maxima„.


Una conseguenza non inaspettata, ma in ogni modo fortunatissima degli scavi sistematici del Foro Romano fu lo studio profondo e minuzioso di tutto il sistema stradale del centro della vita romana, nonchè di quello sotterraneo con lo scavo delle cloache e dei pozzetti che misero in luce la complicata canalizzazione della fognatura e dello scolo delle acque in Roma.

Mi limiterò solo ad accennare al fatto importantissimo, messo in luce dalle ricerche del Boni, che la cloaca maxima (ved. tav. 47), risulta costrutta di massi tolti da edifici repubblicani; non sarebbe stata opera dei re Tarquinii, ma lavoro dell’ultimo periodo della Repubblica, mentre l’antica cloaca che si attribuisce ai Tarquinii pare esista in un altro luogo, ove si vedono vestigia considerevoli più a levante della maxima. Quella prima grande cloaca sarebbe stata poi abbandonata quando i Romani costrussero la Basilica Aemilia.


F I N E.

Tavole

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La “Sacra Via„ del Foro Romano durante gli scavi recenti a Roma.



Tavola 88 (da fotografia).

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Veduta esterna del “niger lapis„ scoperto a Roma


negli scavi recenti sul Foro Romano.



Tavola 89 (da fotografia).

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Il cippo inscritto rinvenuto sul Foro Romano.



Tavola 90.


Ved. Domenico Comparetti, Iscrizione arcaica del Foro Romano, Firenze-Roma. Bencini, 1900, fig. a pag. 7. [p. T modifica]

L’iscrizione della stele del Comizio,

rinvenuta negli scavi del Foro Romano.



11 ta kapia [d] dota v....

_______________________

_______________________

m. iter (pe) [r.......

13 ....... (m) quoi ha-

velod nequ [oi ......

15 ...... o [d] diou estod.


Tavola 91. - Ved. D. Comparetti, Iscrizione arcaica del Foro Romano, tav. di fronte alla pag. 8.


N.B. - L’iscrizione è una riproduzione fototipica del disegno esatto di tutte le faccie dell’epigrafe, ridotte ad un sol piano, ed ha di fianco la trascrizione per agio degli studiosi. Le parentesi tonde segnano le lettere incomplete o incerte, le quadre segnano le complementari. [p. T modifica]

L’iscrizione della stele del Comizio,

rinvenuta negli scavi del Foro Romano.



16 (b) oiviovio d ........

____________________

1 quoi ho (n) [ce .......

....s|akros es-

3 ed sord............

____________________

____________________

a (i f) as

5 regei (lo) ...........

mave .............

7 quos r(i) ...........

___________________

......m kalato-

9 rem ha(b) .........

.......(i) od iouxmen-

11 ta kapia[d] dota v ....

____________________

____________________

m. iter (pe) [r.......

13.......(m) quoi ha-

velod nequ [oi ......

15 ...... o[d] diou estod.

Tavola 91. - Ved. D. Comparetti, Iscrizione arcaica del Foro Romano, tav. di fronte alla pag. 8.

NB. — L’iscrizione è una riproduzione fototipica del disegno esatto di tutte le faccie dell’epigrafe, ridotte ad un sol piano, ed ha di fianco la trascrizione per agio degli studiosi. Le parentesi tonde segnano le lettere incomplete o incerte, le quadre segnano le complementari. [p. 339 modifica]

Veduta delle differenti strutture

che costituiscono il rudere del Sacrario di Vesta sul Foro Romano.



Tavola 92.

Ved. Notizie degli Scavi di antichità, maggio 1900, 163, fig. 5.

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Base dell’ara della “Basilica Iulia„

recentemente scavata sul Foro Romano.



Tavola 93 (da fotografia).

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La “Regia„ e un tratto della “Sacra Via„ durante gli scavi recenti del Foro Romano.



Tavola 94 (da fotografia).

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Scavi recenti sull’area della “Regia” al Foro Romano.



Tavola 95 (da fotografia).

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SACRA - VIA ― ET ― CONTINENTIA ― AEDIFICIA



Tavola 96. — Rilievo grafico generale dello stato attuale del Foro Romano, risultante dalla connessione a penna nella scala di 1:500 dei rilievi altimetrici parziali, eseguiti l’anno 1900 dagli alunni della R. Scuola d’applicazione degli ingegneri in Roma nell’area compresa tra il Colosseo e il Tabularium. (Cfr. Notizie degli Scavi, giugno 1900, pag. 220 e segg.).

Note

  1. Ved. Notizie degli Scavi di antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei. Roma, giugno 1900, pag. 220 e segg..
  2. Ved. tavola allegata alle Notizie degli Scavi citate, a pag. 220-221: Sacra Via et continentia aedificia; cfr. Atti dei Lincei, Memorie della classe di Scienze mor., Serie 5ª, vol. VIII.
  3. Ved. Reina, Triangolazione della città di Roma in Rivista di topografia e catasto. 1896.
  4. Ved. l’arch. Boni, in Notizie degli Scavi, cit., pag. 229.
  5. G. Tropea, La stele arcaica del Foro Romano, cronaca della discussione. III. Messina, tip. della Rivista di storia antica e scienze affini. 1900. Cfr. Parte I e II nella Rivista medesima, 1892.
  6. Ved. Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla Regia Accademia dei Lincei, maggio 1889, pag. 151 e segg.
  7. Ved. Nuova Antologia. 1 genn. 1900; cfr. 16 nov. 1900.
  8. Ved. Notizie degli scavi, aprile 1900, pag. 143 e segg..
  9. Il Pais ne discusse in varie riprese e recentemente nell’articolo: Le scoperte archeologiche e la buona fede scientifica inserito nella Rivista di storia antica e scienze affini di Messina; il Comparetti invece pubblica un lavoro a sè, intitolato: Iscrizione arcaica del Foro Romano. Firenze-Roma, Bencini. 1900.
  10. A scanso di dimenticanze, ved. la cronaca citata dal prof. Tropea in op. e luogo citati.
  11. Queste opinioni espressi già a suo tempo, nell’articolo di divulgazione dell’Almanacco italiano pel 1901, trattando delle Recenti scoperte archeologiche di Roma negli scavi del Foro Romano (ved. pag. 372 e segg.).
  12. Da un articolo sul Popolo Romano del 23 maggio scorso il prof. Tropea trae un riassunto dei capisaldi dell’opinione del Milani, mentre si attende la sua pubblicazione nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei e nella seconda puntata dei suoi Studî e materiali di Archeologia e Numismatica.
  13. Notizie degli Scavi d’antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei. Roma, maggio 1900, pag. 159 e segg..
  14. Ved. in Bollettino della Commiss. archeologica comun. di Roma del 1900. Cfr. anche il Gatteschi nell’Indice bibliografico delle opere speciali.