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Scoperte recenti sul Foro Romano. 341

lo stesso direttore di questi, l’illustre direttore Boni in uno dei fascicoli delle Notizie degli Scavi1.

La aedes Vestae possedeva il focolare dello Stato e sorgeva al basso della falda settentrionale del Palatino: il fuoco veniva alimentato diebus noctibusque dalle vergini Vestali, con legname di quercia o d’altro albero.

Il rudere del Sacrario di Vesta aveva subito squarci notevoli, e giaceva sotto il peso di ostinate definizioni, contro le quali si ristudiò con metodo e con scavi opportuni, facendo tornare in luce la favissa centrale o cella penaria, la platea circolare del podio, avanzi di sacrifici e confini del temenos, in modo da poter studiare le strutture di età diverse, e determinare l’ampiezza dell’edificio al quale appartengono i frammenti architettonici che si conoscono, che sono parte del tardo restauro imperiale.

Il Boni, nel lavoro magistralmente condotto che ho sopra citato, dopo averci dato l’aedes Vestae e i ruderi attigui, i quali appaiono da una sua fotografia fatta a 500 metri d’altezza con un pallone del Genio militare, e dopo avere rappresentato il Sacrario di Vesta quale si vede in un bassorilievo della Galleria degli Uffizi; stabilisce in due clichés distinti la veduta del Sacrario di Vesta nel 1898 e quella stessa, quale risulta dalle ultime esplorazioni, ben determinata nei suoi differenti strati archeologici corrispondenti alle differenti strutture, che costituiscono il rudere del Sacrario stesso (ved. tav. cit. 92). Seguono la pianta e le sezioni; una traversa il cardo, l’altra traversa il decumanus.

Il calcolo di cinquanta piedi di m. 0,29574 per il diametro di m. 14,80 circa della muratura riposante sulla platea circolare del rudere confermò l’opinione più volte espressa dall’illustre Pigorini, che i terramaricoli, popolo divenuto italico prima degli Etruschi e dei Greci, avessero un’unità metrica corrispondente circa al piede romano di m. 0,2963, e che tracciassero le loro costruzioni in base a questa unica misura.

La parte più antica del rudere del Sacrario di Vesta si deve attribuire ai Flavî, come mostra l’analogia dell’opus quadratum con quello del templum Sacrae Urbis.

Il nucleo severiano è composto invece di scheggioni di tufo gialliccio, a struttura pisolitica; la favissa, o cella penaria stercoraria, ha pianta quadrangolare, quasi trapezoidale, e fa ricordare la forma della Roma quadrata, quella del niger lapis e della città dei terramaricoli, illustrate dal Pigorini. L’angolo acuto della favissa di Vesta è rivolto a nord-ovest, e si deve

  1. Notizie degli Scavi d’antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei. Roma, maggio 1900, pag. 159 e segg..