Trattato del piede/Parte prima/Sezione seconda/Brevi nozioni dei principi di ferratura
Questo testo è incompleto. |
Traduzione dal francese di Carlo Cros (1838)
◄ | Sezione seconda - Diffetti del piede | Sezione terza - Sezione terza | ► |
BREVI NOZIONI
DEI PRINCIPII DI FERRATURA.
La ferratura, la quale consiste nell’arte d’applicare metodicamente i ferri ai piedi degli animali suscettibili di portarli, non ha solamente per iscopo d’opporsi alla logoranza e alla distruzione dell’ugna, ma rimedia, come abbiam detto, ai difetti di conformazione ed ai vizi di struttura; contribuisce, nella maggior parte dei casi, alla guarigione delle malattie del piede, ed entra in allora nella classe dei mezzi terapeutici. Questa pratica importante, la di cui origine è perduta nell’infinità dei tempi, non cominciò ad essere soggetto di studi esatti che verso la metà dell’ultimo secolo; e non è che a partire da quest’epoca che venne convertita in un’arte ragionata, basata sulla struttura organica del piede. Lafosse padre e figlio, Bourgelat, Chabert, Gohier, e a’ nostri tempi Perrier sono, tra francesi, quelli che se ne occuparono in particolar modo e la condussero a quel grado di perfezione in cui trovasi oggidì.
Esamineremo dapprima quali sieno i principi emessi da ciascheduno di questi autori, daremo in seguito un’occhiata sullo stato della ferratura in Inghilterra, ed indicheremo per ultimo i precetti che secondo noi devono guidarci nell’applicazione della ferratura.
In una sua memoria, pubblicata nel 1754, Lafosse padre descrive la ferratura secondo il proprio modo di vedere, lo studio speciale da lui fatto sulla struttura del piede, e sui fenomeni che vi succedono allorchè è leso dalle battute sul suolo. Senza dimostrare in modo preciso l’elasticità dello zoccolo, fa molto giudiziosamente rimarcare che, nello stato normale, i talloni e la forchetta servono di punto d’appoggio al cavallo, conseguentemente vuole che ferrandolo si cerchi disturbare il meno possibile l’ordine naturale. Giusta questo principio, raccomanda diminuire solamente la lunghezza del piede, e non pareggiare la suola, rispettare i talloni, come pure i puntelli e la forchetta, applicar ferri stretti, molto corti, senza borditura ed aventi i quarti sottili. Questo metodo fondato sull’ordine e sulla disposizione delle parti costituenti il piede, non poteva non ecitare l’altrui attenzione e formare dei partigiani; dimostreremo ulteriormente come questa sia ragionevole, e quali vantaggi presenti, comparativamente a tutti gli altri metodi. Nei suoi scritti Lafosse figlio non fece che estendere maggiormente i principi di ferratura stabiliti da suo padre, e non introdusse alcun metodo particolare.
Benchè Bourgelat non avesse fatti studi pratici in mascalcia, lasciò nulladimeno un lavoro molto rimarchevole sulla ferratura, e nel quale spiega principi di sovente opposti alle teorie dei Lafosse. Dopo avere indicate le regole da seguirsi nell’azione di fabbricare il ferro, prescrive misure geometriche, dalle quali risulta che il ferro deve essere distribuito, per mezzo degli stampi, in nove parti. Raccomanda pareggiar dovunque il piede regolarmente, ed applicar ferri i di cui quarti sieno molto prolungati; vuole inoltre che il ferro sia contornato in modo, che la punta si trovi rilevata ed i gambi leggermente abbassati. Questo modo di borditura, detto a barca, ha per iscopo principale di stabilire, nel tempo della posata, un certo vacillamento, e portare il punto d’appoggio nel centro del piede, non già sui talloni e sulla forchetta, siccome lo vuole Lafosse.
Parlando del corno e del modo col quale è organizzato, Bourgelat riconosce in questo solido tre parti, la viva, la semiviva e la morta. Secondo lui, la circolazione non si opera che nella prima, una semplice trasudazione ha luogo nella seconda, e la terza è interamente arida; giudica che l’accrescimento si effettua solo nella parte viva, che le due altre sono per così dire spinte da una azione meccanica; ed aggiunge che l’accrescimento dello zoccolo deve essere più rapido, in ragione della minore estensione delle parti semivive e morte. Secondo lui, il corno si riproduce tanto più presto, quanto più l’ugna è assottigliata, e quando la parte viva offre minori ostacoli al fluido circolatore. Partendo da questi principii, consiglia, allorchè un quarto è più basso dell’altro, assottigliare il meno elevato, come pure abbattere i talloni ogni qualvolta la punta sia troppo lunga, affine, dice egli, determinare i sughi nutritivi a portarsi nella parte la più indebolita, nella quale penetreranno tanto più facilmente, quanto meno esisteranno parti morte e semivive. Malgrado tutto il rispetto dovuto alla memoria del celebre fondatore delle nostre scuole veterinarie, è impossibile ammettere simili precetti, meno ancora fare l’applicazione di una teoria che fondasi su basi puramente immaginarie. La sana pratica riprova egualmente la lunghezza dei gambi, suscettibile d’affaticare i talloni, ed originare diverse alterazioni; l’eccessiva borditura, propria a schiacciare i quarti e rendere i piedi giacciuoli; infine, la distribuzione del ferro in nove parti eguali, la quale porta troppo gli stampi nel tallone ed espone gli animali a ferirsi.
Se è vero, siccome è opinione propagata sino a’ giorni nostri, che Bourgelat compilò il suo Traité de ferrure secondo le idee fornite da Chabert suo allievo, riesce difficile concepire i principi inseriti in quest’opera e dei quali ne presentiamo un abbozzo. Chabert possedeva cognizioni le più positive in mascalcia, ed era al certo l’uomo il più capace di diriggere la penna di Bourgelat.
Rincresce abbia questo pratico così illuminato nulla scritto su questo ramo importante. La sua teo ria allontanavasi tanto dai precetti di Bourgelat quanto da quelli di Lafosse. Chabert aveva studiato accuratamente tutto ciò che presentavano di viziose questi due metodi, ed aveva riconosciuto che fra di essi una giusta via di mezzo era la sola da battere per toccare la meta desiderata.
Ne’ suoi Tableaux synoptiques sulla ferratura, il professore Gohier sentì l’impossibilità di seguire intieramente il metodo di Bourgelat. Avrebbe forse dovuto allontanarsene di più. Nulladimeno devesegli sapere buon grado pei cambiamenti portati. Si vede con soddisfazione che corresse la distribuzione geometrica degli stampi, e che non ammette il processo del fondatore delle scuole circa la maniera di pareggiare i piedi. Se la ferratura da lui indicata non è sempre esente da rimproveri, è sicuramente da preferirsi a quella di Bourgelat, ed avvicinasi molto alla teoria professata da Chabert.
I principi di ferratura stabiliti dai Lafosse, vennero diversamente modificati dai nostri vicini della Gran Brettagna, ove il metodo francese sembra in oggi propagarsi con alcune modificazioni. Nello scioglimento del suo sistema di ferratura, Coleman pone in tesi generali doversi costantemente conservare al piede la forma circolare che presenta nello stato di bella natura; raccomanda pareggiare molto in punta, lasciare i talloni liberi, e permettere alla forchetta di partecipare all’appoggio; consiglia l’applicazione di un ferro racorciato nei gambi, molto grosso in punta, e che diminuisca insensibilmente sino all’estremità dei gambi. Quest’autore considera la forchetta come destinata a mantenere i talloni allontanati, a comunicare elasticità ai movimenti dell’animale, ed a moderare efficacemente la violenza delle percussioni. Il metodo del professore inglese si avvicina in compendio ai principi di Lafosse; non ne diferisce se non in quanto che il ferro ha tre volte più spessore in punta che nei quarti; vizio capitale, che mette l’animale su di un piano inclinato, rigetta tutto l’appoggio sulla forchetta, ed affatica necessariamente i tendini ed i legamenti.
Dopo aver analizzati i differenti metodi di ferratura della maggior parte delle nazioni, Goodwin, altro autore inglese, non esita ad accordare alla ferratura francese la preferenza che sembragli meritare sotto tutti i rapporti. Il modo d’imbordire è il solo che gli sembra biasimevole; perciò propone sostituirne un altro diametralmente opposto: così raccomanda rendere convessa, dall’indentro all’infuori, la faccia superiore del ferro, mentre l’inferiore sarà concava. L’autore afferma che da molto tempo impiega questa ferratura, e che presenta il grande vantaggio d’opporsi al restringimento dei piedi, alterazione che egli distingue sotto il nome di contrazione (contraction).
Goodwin consacra un capitolo della sua opera al l’esame del metodo del professore Coleman, contro il quale si dichiara. Si deve tosto, secondo lui, cercare di fare camminare i cavalli sulla forchetta; se quest’organo avesse una simile destinazione, sorpasserebbe i talloni nello stato normale del piede. Si appoggia all’autorità di Bracy-Clark, per confutare l’opinione di Coleman e de’ suoi partigiani, come, Freeman, With, Peal ed altri. Un solo fatto basterà a far conoscere l’errore di Goodwin e combatterlo colle proprie sue armi. Dichiara ed afferma che la forchetta non deve punto servire d’appoggio al cavallo; poi consiglia il ferro a tavola, e lo raccomanda come conveniente non solo nel caso di malattie, ma ancora per tutti gli altri ordinari. Attribuirebbe forse l’autore al ferro a tavola altri usi, fuorchè quello di stabilire un punto d’appoggio sulla forchetta?
Ci limitiamo a queste considerazioni sullo stato della ferratura tanto in Francia quanto in Inghilterra, e passiamo agli inconvenienti inevitabili che nascono dall’applicazione dei ferri ai piedi dei cavalli, inconvenienti che abbiamo già notati, ma che importa qui riprodurre, affine meglio far apprezzare il sistema attuale di ferratura in Parigi.
Prima di venir sottoposto all’uso della ferratura, lo zoccolo del cavallo gode d’una elasticità molto rimarchevole, sempre maggiore ai talloni e alla forchetta, e che ha per iscopo di moderare od annullare gli effetti delle percussioni sul suolo, come anche di facilitare i movimenti di progressione. Abbia mo già detto che l’uso continuato dei ferri indebolisce prontamente questa elasticità, la distrugge più o meno compiutamente, comunica al piede una rigidezza speciale che lo rende soggetto ai ristringimenti ed a numerose alterazioni. Non ostante questi inconvenienti, la ferratura è un metodo del quale abbiamo fatti conoscere i vantaggi e del quale abbiamo provata tutta la necessità. Ammesso questo principio, tutti gli sforzi devono tendere non solo ad evitare questa pratica, ma a renderla pregiudicevole il meno possibile. Non possiamo seguire l’opinione del professore Grognier, il quale pretende avere la moda sola ed il lusso introdotto l’uso della ferratura, ed afferma che verrà un dì in cui si abbandonerà tale pratica1. Pensiamo al contrario, che la ferratura è nata dalla necessità, e che durerà finchè vi saranno grandi città, strade selciate, ferrate ed ineguali.
Vari mezzi, siccome il ferro a doppia cerniera, di Bracy-Clark, ed il ferro articolato, furono proposti per conservare allo zoccolo il primitivo stato d’integrità, e per evitare gli accidenti della ferratura. Sino ad ora l’esperienza non confermò il vantaggio d’alcuna di queste nuove invenzioni, e ci vediamo sempre ridotti ad applicare sotto il piede dei cavalli un ferro formato d’un solo pezzo.
Da tutto ciò che precede non ci vediamo noi forse naturalmente condotti a dedurre questa giusta conseguenza, che il metodo di ferratura il meno pregiudicevole alle funzioni del piede merita la preferenza su tutti gli altri? Abbiamo dimostrato, e l’esperienza ne lo conferma, che i principi di Lafosse sono i meglio ragionati; se non offrono un’applicazione rigorosa in tutti i casi, possono mediante alcune modificazioni prescritte dalle località raggiungere lo scopo, assicurare cioè la marcia del cavallo, nuocendo il meno possibile all’elasticità del piede. In fatti la ferratura di Lafosse,) non modificata, espone i talloni, specialmente allorchè sono un poco bassi e deboli, ad essere ammaccati, contusi, a soffrire dolori, e può fare zoppicar l’animale; questo inconveniente è grave pei cavalli che lavorano sul selciato, e su terreni duri, scabri e pietrosi. Era dunque necessario correggere un tal vizio, e vi si giunse impiegando ferri sufficientemente allungati per guarentire i talloni senza affaticarli. Fu egualmente riconosciuto che tali ferri, essendo comunemente coperti, ed aventi una certa borditura, deteriorano molto meno il piede. Per questi cangiamenti la pratica dei Lafosse si avvicina sensibilmente alla teoria emessa da Bourgelat. P. Chabert sembra avere pel primo indicata una via di mezzo fra questi due metodi; ma questo abile pratico consigliava troppa borditura e troppo contorno pei ferri anteriori.
A misura che questi differenti vizi furono scoperti si pensò a rimediarvi, e la ferratura ha successivamente ricevute modificazioni che la resero più razionale, e per conseguenza meno nociva. A Parigi specialmente furono più sensibili questi miglioramenti; perciò crediamo far brevemente conoscere i principi che sieguonsi in questa capitale, dove, giusta il parere stesso degli inglesi Goodwin e Sewell, pratieasi la migliore ferratura.
Il ferro che fabbricasi nelle principali fucine di Parigi è molto più lungo di quello di Lafosse e più corto di quello di Bourgelat; è leggermente coperto; i suoi stampi, egualmente distanti l’uno dall’altro, trovansi alquanto allontanati dai bottoni; il suo spessore è dovunque lo stesso, ed i suoi gambi, meno coperti che in punta, diminuiscono insensibilmente di larghezza sino alle calcagna, le quali presentano una superficie sufficientemente estesa per dare al ferro un contorno bastante, senza che cessi d’appoggiare a piatto sui talloni; vantaggi che non offre il ferro conformato secondo il metodo di Bourgelat. È senza dubbio inutile far rimarcare che questi principi si applicano principalmente pei ferri anteriori. In quanto ai posteriori, sono più grossi in punta che nei talloni: gli stampi distribuiti egualmente in ogni gambo lasciano nel mezzo del ferro uno spazio che permette stabilirvi un prolungamento, che si ribatte sull’ugna e che distinguesi col nome di cresta; finalmente rilevansi di sovente all’estremità de’ gambi alcune specie d’uncini, che nominansi ramponi. Quest’ultima pratica, tanto contraria ai principi che abbiamo esposti, deve sembrare biasimevole; ma se si rammentano le funzioni dei membri posteriori, se si riflette che sono destinati a spingere la massa del corpo in avanti, e che nel momento della percussione, il principale punto d’appoggio si effettua sulla punta, si sarà tosto convinti essere i bottoni meno nocivi di quello, che lo si sospetta a prima vista. Questa pratica viziosa può d’altronde venire giustificata dalla neccessità di consolidare la marcia degli animali che camminano con velocità, o che tirano carichi pesanti su strade ferrate o selciate.
Prima d’applicare un ferro, bisogna disporre il piede che deve riceverlo; si diminuisce dapprima la lunghezza dell’ugna, si spoglia alquanto la punta, poscia si pareggia il piede a piatto, egualmente dapertutto; si ha l’avvertenza di non scavare la suola, d’abbattere poco i talloni, e di risparmiare i puntelli, come pure la forchetta.
La borditura deve essere leggermente rilevata in punta e perdersi insensibilmente nei gambi, i quali non devono mai piantarsi nei talloni; tale borditura deve essere disposta in modo, che il ferro presenti una superficie piana inferiormente.
Allorchè il ferro è francato al piede, bisogna che le calcagna sorpassino di due o tre linee la forchetta, affinchè nel momento in cui il cavallo appoggia il piede sul suolo i talloni s’abbassino e concorrino, nello stesso tempo della forchetta, all’appoggio.
Terminiamo questo articolo col ricordare, in poche parole, certe regole generali di mascalcia, dalle quali non devesi mai deviare. La più importante,sulla quale riposa tutta l’arte del maniscalco, si è di conformare sempre il ferro per il piede e non mai il piede per il ferro. Importa anche non applicare il ferro caldo sullo zoccolo; questa cattiva abitudine fa sovente nascere flemmasie latenti, che si curano difficilmente, perchè si ignorano. Infine non bisogna mai usare della raspa se non se colla massima circospezione; questo stromento è fatale nelle mani dei maniscalchi, il suo impiego, di sovente inconsiderato, deteriora l’ugna, e cagiona una quantità di malattie. A questi precetti di mascalcia aggiungeremo, che le creste troppo fortemente ed inconsideratamente ribattute possono dare origine a gravi accidenti. Essendo troppo serrate, producono compressioni fatali, danno luogo ad escrescenze cornee, ec. L’abitudine viziosa che hanno alcuni operai di battere a grandi colpi di mazzolo, per abbassarle ed incrostarle, comunica parecchie volte una scossa allo zoccolo, ec.
§ 1.° piede grande.
I piedi grandi, dei quali però lo zoccolo bene conformato riunisce tutte le altre qualità richieste, non possono essere pregiudicevoli se non in quanto al loro troppo volume; presentano allora gli inconvenienti di rendere gli animali tardi e pesanti, di consumare presto il ferro, di sferrarsi ed essere molto soggetti alla riprensione; allorchè il loro volume non è eccessivo, presentano sensibili vantaggi per alcuni servigi: così i piedi grandi e scavati sono ricercati nei cavalli da carrozza, soprattutto nelle cavalle destinate alla produzione dei muli2. I piedi grandi, la cui ugna non offre tutta la consistenza richesta, resistono molto meno, e si deteriorano per una serie di circostanze; sono assai di sovente larghi ed estesi; alle volte la loro parete, difformata sul davanti, dà loro l’apparenza di guscio d’ostrica. Questi piedi più o meno sfiancati, sono comuni alla maggior parte dei cavalli del nord, e convengono perfettamente nei paesi bassi, umidi, il cui suolo offre, in generale, poca consistenza; presentano all’animale una maggior base, aumentano la superficie dell’appoggio, e rendono più sicuro il cammino sui terreni smossi.
La ferratura dei piedi grandi deve essere calcolata, secondo il volume e lo stato della parte, secondo il servigio al quale il cavallo è sottomesso, e secondo la natura stessa dell’ugna. Lo zoccolo è buono? presenta la necessaria solidità ? La ferratura non richiede veruna particolare precauzione; si eviterà solo l’impiego dei ferri pesanti, che schiacciano il piede, danno origine alle setole, ed aumentano la disposizione al rifondimento. Gli inconvenienti dei ferri pesanti sono molto maggiori e più numerosi pei zoccoli la di cui ugna è tenera.
§ 2. piede piatto3
Il piede è chiamato piatto, tutte le volte che la suola, invece di formare una certa concavità, trovasi presso a poco al livello del lembo inferiore della parete e della base deila forchetta. Nel qual caso l’appoggio può propagarsi su tutta la superficie plantare, e le battute un po’ forti e ripetute faranno dapprima nascere un’irritazione la quale vieppiù crescendo, sarà seguita da diversi accidenti, siccome dalla suola ammaccata, da nocchi, da sobbattiture, e più di frequente dal piede colmo.
La ferratura sola fornisce i mezzi di conservazione per questa sorta di piede; sola può prevenire gli esiti spiacevoli sopra menzionati; lo scopo di questa deve sempre tendere ad evitare ogni qualunque compressione parziale, e mettere la suola al coperto delle percosse sul terreno. L’azione di pareggiare si farà a piatto; si avrà la precauzione di non indebolire la suola, si risparmierà la forchetta, e non si abbatterà della muraglia che il solo necessario per distruggere le bavosità, rendere il piede diritto e far portare il ferro. Se l’ugna è tenera o friabile, non si farà uso che di chiodi a lama dilicata; in tutti i casi, si avrà cura dare al ferro la copertura, lo spessore e la borditura che richiederà lo stato dell’ugna e della stessa deformità. In queste sorta di piedi, il ferro non deve mai essere applicato caldo, altri menti si corre rischio di infiammare le parti vive riscaldandole troppo.
§ 3° piede colmo.
Non differisce dal precedente che per l’alterazione portata ad un più alto grado. In questo, la suola si trova o compiutamente al livello del lembo inferiore della muraglia, oppure lo oltrepassa più o meno. Il piede non è mai colmo naturalmente; non lo diviene che accidentalmente; quasi sempre per mancanza di cure e di riguardi avuti a correggere ed arrestare, quando non era che piatto, questa pericolosa dire zione di deviamento della suola.
Il piede colmo è un’alterazione grave, i cui progressi sempre crescenti non possono venire rallentati che dalle buone ferrature, ed avendo, per quanto si può, cura del cavallo, finisce tosto o tardi, col deteriorare compiutamente lo zoccolo, e col mettere l’animale nell’impotenza di servire.
Gli zoccoli colmi, la cui parete è depressa a guscio d’ostrica, sono in generale deboli, e ruinano prontamente, soprattutto se il cavallo lavora sul selciato, su terreni duri e pietrosi. Questi piedi non convengono guari che pei lavori campestri; hanno quasi sempre una forchetta grassa con talloni bassi, ed i cavalli sono soggetti a battersi coi piedi posteriori, a toccarsi e persino ad intagliarsi.
Tutte le volte che l’alterazione del piede colmo non è giunta ad un troppo alto grado, può la ferratura mantenere il cavallo diritto ed in istato di servire. Le indicazioni da soddisfarsi sono presso a poco le medesime di quelle pei piedi piatti; tutto dev’essere calcolato e combinato in modo di portare l’appoggio del ferro sul lembo della parete, e guarentire la suola convessa. Le differenti varietà di ferri coperti trovano applicazione pei piedi colmi. Per i primi gradi d’alterazione, il ferro semplicemente coperto ed appropriato al caso particolare raggiungerà lo scopo. Lo si guarnirà d’una piastra di latta, o per servirmi dell’espressione usitata, lo si intollerà, qualora il piede sia molto sensibile, e che vogliasi mettere il cavallo in istato di camminare su terreni compatti e pietrosi. Allorchè l’orlo della muraglia si trova nascosto dalla suola, bisogna ricorrere al ferro molto coperto, sottile ed a lembo rovesciato. Del resto la ferratura dei piedi colmi varia ed esige tante precauzioni particolari quanti casi particolari si presentano.
Non possiamo entrare in tutte queste particolarità, e ci limitiamo ad indicare le basi di questa ferratura, raccomandando però di risparmiare per quanto si può il piede, tanto nella scelta dei chiodi, quanto nell’azione di imbrocciarli.
§ 4° piede piccolo.
Questa conformazione, opposta a quella del piede grande, si osserva di frequente nei cavalli fini, originari delle contrade meridionali, e soprattuto in quelli allevati nelle scuderie; diminuisce l’estensione dell’appoggio sul suolo, e riesce tanto più pregiudicevole, quanto più trovasi complicata da altri difetti, siccome talloni serrati, parete cerchiata, debolezza dell’ugna, ec.
In questo caso la ferratura deve variare ed essere combinata secondo il genere, il grado ed anche il numero delle alterazioni che accompagnano la piccolezza dello zoccolo. Tutta l’attenzione deve essere rivolta a mettere il piede a suo bell’agio, e si otterrà questo intento impiegando un ferro leggiero; che si farà guarnire più che si potrà, a meno non sia il cavallo soggetto ad intagliarsi.
Se l’ugna presenta disposizioni a divenire arida e friabile, bisogna usare di sostanze grasse sulla corona ed evitare tutto quanto può disseccarla.
§ 5° piede incastellato4.
L’incastellatura è un difetto dei quarti della muraglia, i quali avendo un’altezza smisurata ed essendo sempre più ristretti dal lato del cercine, producono una compressione suscettibile di cagionare dolore e guadagnare in estensione. Il ristringimento è alle volte più sensibile verso il tallone, ed il dolore allora riesce più marcato. Questa viziosa conformazione, quasi esclusiva nei cavalli fini, nei quali lo zoccolo è piccolo e compatto, arreca i più grandi pregiudizi pel servigio, non solamente perchè non può correggersi, ma perchè cagiona un’irritazione per sistente, la quale aumenta col più leggiero lavoro; mette subito il cavallo come sulle spine, lo fa in seguito zoppicare vieppiù, e finisce col rendere la marcia insopportabile o col farlo cadere ripreso. L’incastellatura può bensì essere l’effetto di cattive ferrature, ma è, per l’ordinario, naturale, e allora dipende dalla struttura dello zoccolo.
Il difetto di cui trattasi non altera tanto sensibilmente la forma esterna del piede; può anzi, allorchè non sia portato ad un troppo alto grado, sfuggire all’occhio del compratore, sovrattutto se l’animale cammina francamente e non palesa sofferenza alcuna.
Una metodica ferratura reca sollievo al piede incastellato, lo mette nel caso di soddisfare più o meno bene al suo servizio; ma non lo ristabilisce mai in uno stato di perfetta integrità. Il risparmio dei talloni e dei quarti deve costantemente essere lo scopo di questa ferratura, la quale consiste nel pareggiare a piatto, nel non abbattere i puntelli, nel impiegare un ferro leggiero ed a gambi corti. Alcuni pratici consigliano l’applicazione del ferro a tavola, la di cui traversa, larga ed appoggiante sulla forchetta, guarentisca i talloni, e tenda anzi a scostarli (Tav. III, fig. 6). Questa ferratura sembra affatto razionale, e bisogna ricorrervi ogni volta che lo stato della forchetta offre appoggio alla traversa del ferro.
Alcuni maniscalchi hanno l’abitudine di ferrare a spuola, ad imboccatura di flauto; lasciano sopravvanzare alquanta parete, in modo che il loro ferro, che può essere anche a tavola, si trova come incrostato dai due lati, tiene i quarti discosti e li spinge in fuori. Il ferro a tavola non conviene se non allorquando la forchetta permetta stabilirvi un punto d’appoggio; quando soffre dolore e che anche i talloni ne risentono, non si può praticare che la prima ferratura, la quale consiste nell’uso di un ferro più o meno corto a seconda delle circostanze5.
Per favorire l’effetto della ferratura appropriata al piede incastellato, e mantenere il cavallo in istato di servire, bisogna evitare tutto ciò che può ristringere l’ugna, e conviene spalmare di sovente lo zoccolo coll’unguento di piede o coll’adipe suino. Allorchè tutti questi mezzi divengono infruttuosi, e che più non sia possibile mantenere il cavallo diritto, il piede deve essere considerato come incapace di servire, ed il mantenimento dell’animale riesce a puro carico.
§ 6° piede a talloni serrati.
Questo piede differisce dal precedente in ciò, che il ristringimento dello zoccolo si limita ai talloni i quali in generale sono piccoli, contornati in dentro e molto avvicinati l’uno all’altro. Quest’alterazione meno grave dell’incastellatura, alla quale trovasi ben di sovente riunita, si osserva egualmente nei cavalli fini, e rende il piede incapace a resistere gran tempo sul terreno duro ed ineguale. Parimenti che l’incastelletura, il piede a talloni stretti è molto soggetto a divenire rampino; ha di sovente la forchetta magra e può facilmente essere compresso o punto; esige la stessa ferratura ed i medesimi riguardi dell’incastellatura (fig. 5 e 6).
§ 7.° piede stretto.
Questo piede presenta una conformazione tale che trovasi depresso sulle parti laterali della parete e più o meno allungato in punta. Questo difetto, portato ad un alto grado, costitusce il piede allungato (prolongé), le cui facce laterali sono sempre alterate da cerchi e da diverse depressioni. Il piede stretto ha il più delle volte i talloni ristretti, è soggetto alle setole, ai falsi quarti ed a divenire rampino.
Se la ferratura non può prevenire gli esiti funesti di questa pecca, serve almeno a ritardarli, a render ne gli effetti meno perniciosi, arresta anzi alla volte la direzione viziosa dell'ugna. Lo scopo di questa ferratura deve tendere a diminuire l'accrescimento della punta, liberare i quarti e favorirne il nutri mento. Per soddisfare queste indicazioni, si impie gherà un ferro corto in punta, il quale porterà una cresta, che verrà incrostata nell'ugna; questo ferro guarnirà, per quanto è possibile, in quarti, e gli stampi saranno ripartiti secondo i punti della muraglia in cui potranno essere impiantati i chiodi (Tav. III, fig. 9).
§ 8° piede cerchiato.
Questa alterazione dell'ugna, sempre accidentale e assai di sovente incurabile, si presenta alla superficie della muraglia con cerchi trasversali più o meno numerosi, posti gli uni al disopra degli altri. Questi anelli, tanto più pregiudicievoli quanto più sono grossi e separati gli uni dagli altri da solchi profondi, emanano costantemente dall'ugnatura, formano altrettante discese d'ugna (avalures), le quali discendono poco a poco e vanno perdendosi al lembo inferiore della parete. Sono ordinariamente rimpiazzati da nuovi cerchi, i quali si sviluppano sul medesimo luogo, e subiscono gli stessi cangiamenti. Spesse volte lo zoccolo cerchiato comprime le parti sottostanti e fa zoppicare l’animale; ciò specialmente succede allorquando i cerchi sono interni, molto avvicinati, e quando inoltre il piede è stretto ed allungato. Il difetto di cui trattasi, può essere un esito della riprensione ed accompagnare il crescente (croissant); le anella risiedono allora nel mezzo della parete, quasi sempre depressa a guisa di guscio d’ostrica, e non spariscono che quando l’alterazione primitiva venga a cessare, o ad essere distrutta.
Il piede cerchiato può ricuperare la sua integrità; e la tendenza alla guarigione si annuncia con nuovi cerchi, i quali sono sempre più piccoli e meno numerosi dei vecchi. Tosto si scorgerà questa disposizione favorevole, dovrannosi impiegare tutti i mezzi per facilitarla ed attivarla. Si metteranno in uso le sostanze grasse capaci di ammorbidare l’ugna, e si impiegherà una ferratura leggiera, praticandola in modo che il piede si trovi perfettamente comodo.
Allorchè i cerchi provengono da un’alterazione interna e persistente, si riproducono di continuo e divengono incurabili.§ 9.° piedi scavati ed a talloni alti.
In questi la suola trovasi più concava del naturale, la cavità che lascia scorgere può essere stretta ed allargata. Il primo grado dello zoccolo cavo accompagna costantemente l’incastellatura od i talloni serrati, e sembra anzi non essere che un esito di questi vizi di conformazione; ma il piede scavato, i cui talloni, benchè alti, sono solidi e sufficientemente allontanati, ha una conformazione utile e ricercata nei cavalli da carrozza. «Il piede cavo, dice Solleysel, è un buon requisito pei cavalli da carrozza; bisogna sopracciò notare, che coloro i quali vendono cavalli, per far loro sembrare il piede buono, lo fanno dal maniscalco scavare il più che possono, indebolendo di troppo la suola: su di che si può errare; imperocchè il piede deve essere cavo senza che la suola sia troppo assottigliata6».
I piedi cavi dei quali la forchetta è bavosa vanno soggetti ad ulcere, e divengono alle volte rampini. Una buona ferratura previene ordinariamente questi accidenti; lo scopo principale deve essere quello di riportare l’appoggio all’indietro purchè le articolazioni superiori lo permettino: a quest’uopo si spoglieranno i quarti ed i talloni più che si potrà anche sino al vivo, e si applicherà un ferro a lunetta, il quale guarnisca in punta e spinga l’appoggio sui talloni.§ 10.° piede a talloni bassi.
Questa conformazione, la quale mette il cavallo nel caso d’intagliarsi od arrivarsi, è tanto più pregiudicevole, quanto più trovasi portata ad un alto grado ed accompagnata da una forchetta magra.
In quest’ultimo caso, i talloni essendo deboli, appoggiano troppo sul suolo e sono soggetti alle ammaccature. Questo gravissimo inconveniente può dar luogo ad accidenti vieppiù funesti; richiede una ferratura suscettibile di guarentire i talloni e metterli al coperto delle battute sul suolo. Un ferro semi-coperto è il più acconcio, anzi il solo capace di soddifare quest’indicazione. Molti pratici fanno levare i ramponi ai ferri posteriori. Siccome il cavallo i cui talloni sono bassi è sempre longo-giuntato, così la ferratura coi ramponi rileva bensì i talloni e corregge un certo punto il diffetto, ma affatica considerevolmente le articolazioni e concorre alla rovina delle membra.
§ 11° piede a talloni deboli.
Talloni piccoli e troppo sensibili costituiscono questo genere di difetto, il quale è quasi sempre, accompagnato da una forchetta grassa, e richiede il massimo riguardo. La ferratura di questi piedi dovrà sempre avere per iscopo di sollevare i talloni, e dovrà essere eseguita con accorgimento e metodo; per poco sia trascurata ed impropria, l’animale non tarderà a divenire claudicante, e la continuata ammaccatura dei talloni determinerà la riprensione. Il ferro a tavola ed a gambi raccorciati si impiegherà qui con vantaggio, e si farà in modo che la sua traversa prenda un punto d’appoggio sulla forchetta purchè lo stato di questa lo permetta.
§ 12° piede a forchetta grassa.
Indicansi sotto questo titolo tutti i piedi nei quali la forchetta è più grossa e più molle che nello stato naturale. Questo difetto ordinario negli zoccoli molli, sfiancati, piatti, colmi ed a talloni bassi, dispone alla forchetta riscaldata, imputridita, cancerosa, e queste alterazioni si sviluppano tanto più presto, quanto più rimarrà l’animale coi piedi nell’umidità.
La ferratura la meglio eseguita non basta per schivare gli esiti spiacevoli di una forchetta grassa. La nettezza, le lozioni frequenti con sostanze essiccanti, soprattutto l’avvertenza di tenere i piedi secchi, di non lasciarli soggiornare sul lettame, nell’umidità, sono i soli mezzi capaci per giungere a questo scopo. Sovente questi mezzi sogliono riuscire impotenti: la forchetta s’imputridisce, si produce il fungo, malgrado tutte le precauzioni usate.§ 13.° piede a fettone magro.
Questa alterazione, intieramente opposta alla precedente, si fa rimarcare più particolarmente nei piedi incastellati, serrati ec.;dinota, siccome molto giudiziosamente lo dice Solleysel, uno zoccolo secco, arido, suscettibile di ristringimento, e di mettere l’animale fuori di servizio. I corpi grassi e la ferratura non possono che ritardare gli esiti sempre dannosi del piede avente forchetta magra o troppo depressa.
§14.° PIEDE MOLLE O GRASSO7.
I caratteri di questa sorta di piede si deducono dallo stato dell’ugna, la quale, non avendo la durezza richiesta, è flessibile e troppo inumidita. Un tale involto, supponendogli anche un convenevole spessore, non può che debolmente difendere le parti contenute contro gli urti esterni, soprattutto contro le battute continuate su terreni duri e pietrosi; così il piede grasso trovasi molto esposto ad essere compresso e punto, ad essere affetto da ammaccature, da nocchi, ed a divenire facilmente ripreso; la sua conservazione esige continui riguardi, una ferratura leggera e l’impiego di chiodi a lame sottili. Il fetto, del quale diamo la spiegazione, complica so venti volte quello dei piedi larghi, piatti, o colmi.
§ 15.° PIEDE DEBOLE.
Il poco spessore e la durezza della muraglia cagiona il difetto di cui trattasi. Queste sorta di piedi sono sempre sensibili, molto soggetti ad essere compressi, punti, inchiodati, lesi da ammaccature o da nocchi, ed a divenire ripresi; non resistono che poco tempo su terreni duri, ed esigono le medesime attenzioni dei piedi grassi.
§ 16.° piede ghiacciuolo.
Il piede ghiacciuolo si distingue per le scheggie accidentali che si formano al lembo inferiore della muraglia, e determinano una più o meno grande perdita d’ugna. Gli zoccoli aridi e disseccati subiscono, quasi sempre, questo genere di distruzione, che può anche manifestarsi nei piedi buoni, allorchè impiegansi chiodi troppo forti, o che si imbrocciano troppo magri. Alle volte le scheggie dell’ugna sono talmente estese ed inoltrate, che non lasciano quasi più luogo per piantare i chiodi.
La ferratura può sempre essere impiegata con vantaggio nel piede ghiacciuolo. Essendo bene combinata schiverà maggiori inconvenienti, e manterrà il cavallo in istato di servire; ridonerà anzi allo zoccolo la sua integrità, se questo non venne alterato che accidentalmente, per l’ignoranza dei garzoni-mani scalchi. Il piede ghiacciuolo abbisogna d’un ferro ordinario, con o senza cresta (Tav. III, fig. 11 e 12), e nel quale gli stampi sieno disseminati, secondo i punti in cui i chiodi possono essere imbrocciati. Pareggiando, converrà fare cadere, se ciò è possibile, tutte le scheggie, per determinare un accrescimento uniforme dell’ugna, ristabilire più prontamente ed in modo più regolare l’integrità dello zoccolo8. Bisogna anche piantare i chiodi il più alto possibile, e non riferrare che quando vi ha assoluta necessità. Si solleciterà la morbidezza dell’ugna ed il suo accrescimento con frequenti unzioni di sostanze grasse alla corona e a tutta la superficie dello zoccolo.
§ 17.° piede rampino.
Il piede, o meglio il cavallo rampino, è quello nel quale la muraglia degli zoccoli posteriori trovasi raddrizzata, più o meno avvicinata alla perpendicolare ed anche portata in avanti, in modo che l’orlo superiore della punta si trovi più avanzato dell’inferiore. Questa viziosa direzione, alla quale partecipano sempre i raggi superiori, è naturale od acquistata; rimanda costantemente l’appoggio verso la parte anteriore della parete, e secondo i gradi in cui si trova, il cavallo cammina più o meno sulla punta, ed è più o meno rampino9, e talora anche appoggia sulla faccia anteriore dello zoccolo.
La conformazione di cui trattasi è molto ordinaria, anzi naturale, nei muli; suppone in allora i talloni alti, che rimandano l’appoggio in punta nella quale rimarcasi sempre molto spessore. In generale gli animali monodattili, naturalmente rampini, camminano con sicurezza, godono anzi di maggiore forza pel tiro, soprattutto per portare la soma nei paesi montuosi, erti: se sono poco propri alla sella si è perchè hanno reazioni molto dure ed affaticano molto il cavaliere. Il cavallo divenuto rampino, per la rovina delle membra o per tutt’altra cagione, non ha mai la punta più densa dello stato ordinario, ed i suoi talloni possono essere alti o bassi, forti o deboli. In quest’ultimo caso, l’animale inciampa continuamente, la debolezza delle sue estremità anteriori l’espone a ferirsi al nodello, ad intagliarsi, ad attingersi ed anche a cadere. Queste sorta di piedi rampini richieggono costantemente una ferratura capace di comunicare loro la solidità di cui mancano, e rendere la loro marcia più sicura. L’indicazione da soddisfare in questo caso consiste nel conservare la punta e nel rimandare l’appoggio sui talloni, i quali devono essere spogliati e pareggiati a fondo, se sono alti e capaci di contrariare la diversione che importa nere. Il ferro convenevole per questi casi (Tav. III, fig. 13 e 14) deve essere corto,sottile alle calcagna, avere il capo prolungato, rilevato, anzi terminato alle volte in punta.
§ 18° piede mancino.
§ 19.° piede cagnuolo.
Il cavallo cagnuolo è opposto al panardo, la punta de’ suoi zoccoli anteriori è volta indentro, e le articolazioni del ginocchio sono troppo discoste l’una dall’altra. Questa inversione d’appiombo espone l’animale ad intagliarsi, ora colla punta, ora colla mammella ed alle volte col quarto. La ferratura differisce da quella dei piedi panardi, in ciò che trattasi soddisfare indicazioni contrarie; si lascierà adunque il gambo esterno piu forte dell’interno, e se il cavallo si intaglia, si avrà cura di non far guarnire il ferro nei punti in cui il piede d’un lato ferisce quello dell’altro.
§ 20.° piede di traverso.
§ 21.° piedi ineguali.
I piedi sono ineguali, ogni qual volta esiste sproporzione marcata di volume o di forma tra il piede destro ed il sinistro, tanto anteriore che posteriore. La ferratura è allora subordinata alle deformità od alterazioni di ogni zoccolo, e deve essere combinata in modo da rendere l’appoggio eguale sui quattro piedi.
§ 22.° piede storto.
Questo piede, che suppone una torsione dello zoccolo, sia all’indentro oppure all’infuori, non si osserva che assai di rado, perchè gli animali essendo incapaci di lavorare, dal momento in cui il piede comincia a prendere tale deformità, vengono sagrificati prima che l’alterazione sia completa. La torsione che produce il piede storto (pied-bot) può essere più o meno forte e prolungata, congenita od accidentale. Tutte le volte che la deformità proviene dalla nascita, lo zoccolo è allungato e contornato siccome le corna d’un ariete. Questo vizio di conformazione è indubitatamente esito d’una malattia alla quale fu esposto il feto. Ma, quale è la causa di questa affezione? L’ignoriamo, e non entreremo in nessuna discussione su questo punto. I gabinetti della Scuola reale veterinaria d’Alfort rinchiudono un piede storto di simil genere; lo scheletro del quale fa parte, appartiene ad un puledro di dieci a dodici mesi, il quale non aveva che tre estremità, e lo si aveva conservato per esporlo alla pubblica curiosità. Lo zoccolo molto lungo, rassomiglia ad un corno d'ariete, e presenta le stesse rugosità.
Il piede può diventare storto in seguito alla riprensione rinnovata o non curata nei giovani puledri, ma non acquista mai la lunghezza e la forma del piede storto dalla nascita.
- ↑ Notice historique et raisonnè sur C. Bourgelat, pag. 142 e 143
- ↑ L’esperienza confermò che queste cavalle producono muli non rampini.
- ↑ Chiamato da Solleysel piede pieno.
- ↑ Espressione derivata da castellum, castello-forte, e dalla preposizione in, dentro.
- ↑ Non ho creduto dovere qui parlare del ferro a denti, essendo il suo uso riprovato dai buoni pratici.
- ↑ Le Parfait Marechal, 4. edizione, tom. II, pag. 75.
- ↑ Il piede molle è secondo Bourgelat, lo stesso difetto del piede grasso; Lafosse paragona il piede grasso al debole. Il significato del primo di questi autori è il più esatto, perchè deriva dallo stato medesimo dell’ugna.
- ↑ Le scheggie sono alle volte talmente inoltrate, che riesce impossibile farle tutte sparire. In queste circostanze, bisogna li mitarsi a raspare un poco, e se non vi ha ugna sufficiente per attaccare solidamente il ferro, si aspetteranno alcuni giorni per ferrare il cavallo
- ↑ Rampino, dal francese pinçard, derivato da pince punta; cavallo che cammina sulla punta del piede.