Timeo/Capitolo XXVI

Capitolo XXVI

../Capitolo XXV ../Capitolo XXVII IncludiIntestazione 31 luglio 2010 75% Filosofia

Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo XXVI
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Sono quasi mostrate tutte le specie di corpi svariati per figura e comunioni e vicendevoli trapassamenti; ora è a vedere di far chiaro, le passioni che esse fanno, di dove si generano. In prima, le dette specie bisogna che le sentiamo; ma non si è ragionato ancora della generazione della carne e di ciò che tocca alla carne, né di ciò che l’anima ha di mortale; e bene non si può dire di queste cose, non dicendo di tutte le sensibili affezioni, né di queste senza quelle; e dire di tutt’e due a una volta, né anche si può. E però prima è a porre una cosa, e chiarirla; e le altre, poste dopo, si hanno a chiarire dopo. Per dire ordinatamente delle affezioni secondo le specie dei corpi che le fanno, in prima diciamo di quelle che toccano all’anima e al corpo.

Adunque vediamo primieramente perché si dice caldo il fuoco, e per vedere ciò consideriamo il discernimento e tagliamento che egli fa nel corpo; imperocché sentiamo quasi tutti che l’affezione sua è qualcosa acuta. Poi è da mettere a ragione la sottilità dei lati suoi e l’acutezza degli angoli e la piccolezza delle parti e la velocità del moto; per le quali cagioni essendo egli tagliente e veemente, di netto taglia quello che gl’intoppa: ed anco è a ricordare la generazione di sua figura, ché ella, e non altra, sminuzza e taglia sottilissimamente i nostri corpi; e allora sarà manifesto perché ciò che ora noi diciamo caldo, dia quell’affezione e prenda quel nome.

L’affezione contraria a questa, ella è chiara; nondimeno io non voglio che rimanga desiosa di ragionamento. Gli umori intorno al corpo, che hanno parti piú grosse, entrando in esso corpo e pigliando gli umori di dentro che hanno parti piú sottili, e, non potendo cacciarsi nel luogo loro, pressandoli e da disuguali e mossi facendoli immobili e uguali, per la ugualità e la pressura sí li rappigliano. Ma quello che pigiato è contro a natura, secondo natura combatte, per lo contrario lato sé sospingendo: e a cotale battaglia e scotimento posto è nome di tremore e ghiado; e posto è nome di freddo a tutte queste cotali affezioni e alla cagione loro.

Si dicon duri tutt’i corpi ai quali si umilia la nostra carne; quelli che si umiliano a essa, molli; e cosí similmente, considerando i corpi fra loro. Si umilia quello che è fondato sovra piccole basi; quello che su basi quadrangolari, da poi che sta assai fermo, resiste, e, riserrandosi molto, rilutta molto gagliardamente.

Il grave e il leggiero, se alcuno li riguarda in rispetto al su e giú cosí detti, gli si faran chiari. Certo non è niente diritto a pensare che ci siano due cotali luoghi che spartiscano in due l’universo, e contrarii: l’uno giú, al quale si trae tutto ciò che è corporale; l’altro su, verso al quale ogni corpo muovesi di mala voglia: imperocché, essendo tutto il cielo sferale, tutt’i luoghi rimoti di uguale spazio dal mezzo sono estremi a un modo; e il mezzo che è di uguale spazio rimoto dagli estremi, dee stare di contro a tutti similmente a un modo. E se fatto è cosí il mondo, ponendoci alcuno i cosí detti su e giú, non è egli palese che dirà nomi niente convenevoli? imperocché il mezzo, a parlare dirittamente, non è su né giú, ma sí nel mezzo; e il dintorno non è mezzo, né ha parte sua alcuna la quale guardi al mezzo differentemente di come lo guardi alcuna altra parte sua che è a dirimpetto. Onde se alcuno mai dà nomi contrarii, quali che siano, a ciò ch’è naturalmente simile da ogni lato, come reputerà egli di parlare dirittamente? E per certo, se un corpo fosse inlibrato nel mezzo dell’universo, esso mai non si trarrebbe verso alcuno degli estremi, a cagione della perfetta loro simiglianza. E se alcuno camminasse attorno di quello, avendo molte fiate le piante volte là contro ove le avea dinanzi, egli chiamerebbe su e giú un medesimo luogo di questo corpo medesimo. E però, come detto è, essendo sferoidale l’universo, non è da savio uomo dire ch’esso abbia un luogo su, un altro giú.

Ma onde siano venuti questi nomi e dove hanno vero valore, perché poi ci adusammo di spartire anche tutto il cielo in su e in giú, è da chiarire; e ciò chiariamo cosí, ponendo noi questo caso. Se alcuno levatosi su a quel luogo ch’ebbe specialmente il fuoco a sua stanza, e dov’esso è ragunato molto copiosamente, e verso dove si muove ogni fuoco; e, potendo, pigliato parti di fuoco, le pesi ponendole nelle coppe d’alcuna bilancia, levando il giogo e per forza traendo il fuoco per entro al dissimile suo, che è l’aria; manifesto è come la parte piú piccola piú si umilia alla violenza facilmente, che non la piú grande. Imperocché con medesima forza levati insieme su in aria due corpi, è necessario che quel ch’è piú, secondi meno, e quel ch’è meno, secondi piú la forza che li tira: e allora quel ch’è molto si dice grave e che va giú, e quel ch’è poco, leggiero e che va su. Via, si badi anco a noi in quello che si fa di ciò sperienza qui in terra: perché camminando, dispiccando noi della materia terrena, e alcuna volta della terra istessa, la traggiamo di forza nella dissimile aria; contro a natura, da poi che ciascuno si stringe amorosamente al cognato suo. Ora il piú piccolo cede prima a noi che lo sforziamo ad andar a quello che gli è dissimile, piú facilmente che non il piú grande: e però quello diciamo leggiero, e su il luogo al quale lo sforziamo ad andare; e il contrario diciamo grave, e giú.

Ma coteste cose necessità è che si contengano verso di sé medesime differentemente; imperocché le moltitudini dei generi occupano luoghi contrarii. Per fermo, ciò che leggiero è in un luogo, vedesi ch’ei diviene ed è contrario, obbliquo e totalmente diverso a comparazione di ciò ch’è leggiero nel luogo a dirimpetto; e cosí il grave inverso al grave, e il su al su, e il giú al giú. Nientedimeno si dee pensar cosí di tutte queste cose, cioè che l’indirizzamento di ciascun corpo verso al cognato suo, fa essere grave il corpo che si muove, e giú il luogo al quale si muove; e fa esser contrarii i contrarii. Ecco le cagioni delle affezioni mentovate di sopra.

La cagion poi dell’affezione dell’aspro e del liscio chi guardi un poco, bene la può altrui dichiarare: imperocché durezza e disugualità fanno l’una; e ugualità e fittezza, l’altra.