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va giù, e quel ch’è poco, leggiero e che va su. Via, si badi anco a noi in quello che si fa di ciò sperienza qui in terra: perchè camminando, dispiccando noi della materia terrena, e alcuna volta della terra istessa, la traggiamo di forza nella dissimile aria; contro a natura, da poi che ciascuno si stringe amorosamente al cognato suo. Ora il più piccolo cede prima a noi che lo sforziamo ad andar a quello che gli è dissimile, più facilmente che non il più grande: e però quello diciamo leggiero, e su il luogo al quale lo sforziamo ad andare; e il contrario diciamo grave, e giù.

Ma coteste cose necessità è che si contengano verso di sè medesime differentemente; imperocchè le moltitudini dei generi occupano luoghi contrarii. Per fermo, ciò che leggiero è in un luogo, vedesi ch’ei diviene ed è contrario, obbliquo e totalmente diverso a comparazione di ciò ch’è leggiero nel luogo a dirimpetto; e così il grave inverso al grave, e il su al su, e il giù al giù. Nientedimeno si dee pensar così di tutte queste cose, cioè che l’indirizzamento di ciascun corpo verso al cognato suo, fa essere grave il corpo che si muove, e giù il luogo al quale si muove; e fa esser contrarii i contrarii. Ecco le cagioni delle affezioni mentovate di sopra.

La cagion poi dell’affezione dell’aspro e del liscio chi guardi un poco, bene la può altrui dichiarare: imperocchè