Timeo/Capitolo XXVII

Capitolo XXVII

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Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo XXVII
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Detto delle affezioni comuni a tutto il corpo, rimane a dire, che è piú, qual cagione le fa piacevoli o dolorose; ed eziandio quali affezioni fanno per le parti del corpo sensazioni che sono seguitate da diletto o vero da doglia. Cosí anco noi vogliamo cogliere le cagioni d’ogni sensibile o insensibile affezione, recandoci a mente la distinzione fatta innanzi, cioè della natura che leggermente si muove, e di quella che no; imperocché la via questa è per andare in traccia di ciò che di avere siamo desiderosi. Per certo, ogni parte assai mobile, eziandio se riceva leggiera passione, la comunica ad altre parti, in giro; e queste ad altre; in sino a tanto che giungendo essa alla intellettiva, novelle a lei reca della virtú della cagione che l’ebbe fatta. Ma ogni parte del nostro corpo di contraria natura, ch’è stabile e che non si gira nulla, patisce solamente, e non muove nessuna delle parti che sono appresso; sicché, le parti non comunicando fra loro e non procedendo la prima passione per tutto l’animale, ne seguita che non si senta la parte che patisce, la quale si dice però insensata. Questo va per le ossa e i capelli e tutte quelle altre parti massimamente terrestri, le quali abbiamo in noi; quello detto innanzi va per la vista e l’udito, essendo in loro grandissima possanza di fuoco e di aria.

Del piacere poi e dolore è da pensare cosí: quella passione la quale è contro a natura, ch’è violenta e tutta a una fiata, è dolorosa; ma quella che ristora la natura tutta a una fiata, è piacevole; quella poi non si sente, la quale si fa lievemente e a poco a poco; la contraria, sí. Quella che si fa agevolmente è sensibile molto, ma è privata di piacere e dolore, come la passione del fuoco della vista: il quale, come detto è innanzi, è cognato alla luce del dí ed è connaturato intimamente con noi, perocché a esso fuoco tagli e bruciamenti e altre passioni non fanno alcuno dolore, e né anche fa piacere il ritornar di nuovo all’essere suo; e nondimeno egli ha sensazioni molto grandi e vivissime, e per le passioni che riceve, e per quelle che da sé medesimo si procaccia indirizzandosi ad alcuna cosa e quella giugnendo; e la ragione è, che nel congregamento e disgregamento suo non è alcuna violenza.

Ma quelli corpi fatti di parti piú grandi, i quali cedono a mala pena a ciò che li passiona, e nientedimeno comunicano loro movimento a tutto il corpo, quelli hanno piaceri e dolori: dolori, quando sono alterati; resi nell’esser loro, piaceri. Tutte quelle parti nelle quali si fanno a poco a poco le perdite ed i vacuamenti, e i riempimenti in abbondanza e a una fiata, da poi che quelli non si sentono e questi sí, non porgono dolori alla mortale anima, ma sí piaceri grandissimi: e ciò assai chiaro si vede negli odori soavi. Ma quelle parti che si alterano tutte a una fiata, e che ritornano a fatica e a poco a poco in loro essere, secondoché si mostra ne’ bruciamenti e tagli del corpo, adoperano il contrario di ciò che detto è innanzi.