Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO VI - La difesa della cripta

CAPITOLO VI - La difesa della cripta

../CAPITOLO V - Una storia di briganti ../CAPITOLO VII - Nella grande prateria IncludiIntestazione 14 luglio 2011 100% Romanzi

CAPITOLO V - Una storia di briganti CAPITOLO VII - Nella grande prateria
[p. 60 modifica]

CAPITOLO VI.


La difesa della cripta.


Due razze di lupi si disputano l’impero delle sconfinate praterie che si stendono a ponente del Mississipì, spingendosi fino ai piedi dell’imponente catena della Sierra Nevada che copre la California: la coyote ed il lupo nero.

La prima, che è assai più numerosa, poichè non è raro incontrarla anche oggidì in bande da cinquanta a cento capi, è una razza intermedia fra le volpi ed i veri lupi.

Delle prime ha il muso, dei secondi il corpo e la coda, corpo robusto, ricchissimo di pelo, di color giallognolo con macchie rossastre, che d’inverno diventa grigiastro.

Vive, come abbiamo detto, quasi sempre in branchi piuttosto numerosi, e dà una caccia spietata alla selvaggina che distrugge con un accanimento veramente feroce.

Perfino i grossi bisonti non sempre sfuggono agli attacchi di quelle bande; ma però la coyote non osa mai assalire l’uomo.

Si accontenta di accompagnarlo per qualche tratto, latrando come una volpe e minacciando sempre un attacco che non avverrà mai, o di fare delle spaventose serenate intorno alla tenda isolata di qualche indiano costretto ad accamparsi lontano dal suo villaggio.

Il lupo nero è ben diverso. È più alto, più robusto, meglio armato di denti, dotato d’una forza straordinaria e d’un coraggio a tutta prova.

È l’emblema vero della ferocia e della brutalità sanguinaria, poichè non esita mai ad assalire uomini e cavalli quando è affamato. Ciò che lo rende poi più terribile è l’idrofobia a cui va soggetto, in epoche non mai ben determinate.

Certi anni non si manifesta, certi altri invece si sviluppa fra quelle belve con un crescendo spaventoso, ed allora sono particolarmente temibili poichè non hanno più paura di nessuno.

Se si fosse trattato soltanto di coyotes, i tre scorridori della prateria ed il gambusino non si sarebbero certamente turbati, ma quelli che si presentavano attraverso gli squarci delle muraglie e le porte spalancate, erano veri lupi neri e di statura non comune, e probabilmente ben risoluti a dare un attacco in piena regola così contro [p. 61 modifica]gli uomini come contro i cavalli, anzi specialmente contro questi ultimi i quali potevano assicurare una cena ben più abbondante.

— Camerati, — disse John, mentre Harry tagliava rapidamente l’arrosto. — Mangiamo in fretta e facciamo provvista di legna.

— Non abbiamo da fare che pochi passi per raccoglierne finchè vorremo, — disse Giorgio. — Tre quarti del tetto della Missione è crollato e sarà anche legno ben secco.

— E finchè ci sarà fuoco i lupi si guarderanno dal farsi innanzi, — aggiunse il gambusino, il quale si era già messo a lavorare di denti con un appetito invidiabile.

Infatti i lupi, quantunque si mostrassero numerosi attraverso tutte le aperture, non avevano ancora osato di inoltrarsi. I loro ululati però erano diventati così spaventevoli, da coprire, talvolta, il rombo dei tuoni.

Tutta l’ampia sala, che un tempo doveva essere stata il refettorio dei disgraziati monaci, echeggiava, facendo fare ai cavalli dei salti straordinarî malgrado i continui fischi dei loro padroni.

— Non ci mancavano che questi noiosi per guastarci la notte, — riprese John, appena la cena fu scomparsa. — Se non vi dispiace, prepariamoci a difendere la nostra pelle.

Per il profumo esalato dall’arrosto, i lupi devono essere diventati terribilmente affamati.

— Devi però convenire che sono stati cortesi, — disse Harry, il quale strappava dalle macerie travi e tavole, aiutato da Giorgio e dal gambusino, per accendere degli altri falò. — Si sono accontentati di leccarsi i baffi, mentre noi divoravamo ingordamente.

— E in gran fretta, pel timore di lasciare ad essi metà della cena, — disse Giorgio, ridendo.

— Non scherzare, mio giovane amico, — disse l’indian-agent, il quale presentiva un grave pericolo. — Queste bestie ci daranno un assalto formidabile.

— Che noi respingeremo, — disse Harry. — Eh, conosciamo i signori lupi, siano coyotes o neri.

— Possono essere rabbiosi, mio caro, e un morso solo basterebbe. To’!... Ohi s’incaricherà della piccina? Sarà la prima che tenteranno di assalire.

— Lascia che se la portino via, — disse Harry. — Una seccatura di meno. —

Con sorpresa di tutti il gambusino lasciò cadere una grossa trave che stava strappando fra un cumulo di tegole infrante, ed ergendosi dinanzi ai tre uomini con aria minacciosa, disse:

— Voi osereste abbandonarla a quelle bestiacce? Ah no! Mai, finchè ci sarò io.

— È un’indiana che ci ha dato già troppe noie, — rispose Harry.

[p. 62 modifica]— Per me è una fanciulla e la difenderò io, finchè avrò una carica di polvere.

— Allora ci penserai tu.

— E vedrete che i lupi non assaggeranno le tenere carni di questa piccina. —

Harry alzò le spalle ed aiutato dal fratello e da John, preparò rapidamente altri quattro falò, per coprire completamente i cavalli, i quali davano continui segni di spavento.

Pareva che i lupi non avessero molta fretta di spingersi all’assalto. Si sarebbe detto che si tenevano ormai sicurissimi di fare una strage completa degli uomini e degli animali, prima che l’alba spuntasse.

Erano considerevolmente aumentati di numero e si erano ammassati attraverso tutte le aperture, continuando ad urlare spaventosamente.

— Ognuno al suo posto, dietro un fuoco, — disse John, quando tutti i falò furono accesi. — Ormai ci si vede benissimo e siccome noi siamo tutti bravi tiratori, faremo dei grandi vuoti fra quelle bestiacce.

Harry, Giorgio, noi all’avanguardia. Il gambusino rimanga a guardia di quella monella di Minnehaha. —

I tre intrepidi volontari del colonnello Devandel si appiattarono fra i mucchi di macerie, protetti di fuochi, e pronti ad impegnare la terribile battaglia, mentre il gambusino, dopo aver ben osservato che i suoi nuovi compagni gli volgevano le spalle, si ritraeva verso l’ultimo fuoco dove era stato arrostito il pezzo d’orso, tenendo strettamente per una mano Minnehaha, mentre coll’altra reggeva il rifle che non doveva essere meno tremendo di quello degli scorridori della prateria.

Una viva fiamma aveva acceso i suoi occhi che erano sembrati fino allora quasi senza luce, ed il suo viso arso dal sole e dalle intemperie e colorato da chissà quante generazioni di pelli-rosse, si era improvvisamente animato.

Fece coricare la fanciulla il più lontano che era possibile dai tre uomini bianchi, avvolgendola con cura nel suo pesante mantello di lana di montone selvatico, poi le si stese vicino, a tre passi di distanza dal fuoco, armando il rifle.

Un colpo di fucile risuonò.

Harry aveva cominciata la battaglia contro i lupi, subito imitato da suo fratello e dall’indian-agent.

Era il momento atteso dal misterioso personaggio per scambiare alcune parole con Minnehaha, senza che nessuno potesse udirlo.

— Mi dirai finalmente che cosa è accaduto all’Uccello della Notte che ti portava in sella sul grande cavallo bianco, — le disse mentre i colpi di fuoco si succedevano abbastanza frequenti.

[p. 63 modifica]— È stato fucilato, — rispose la fanciulla, con voce sorda. — Io ho assistito alla sua condanna.

— Senza tradirti? — chiese ansiosamente il gambusino.

— Oh, non sarei certamente qui a narrartelo, padre!

— Come è morto tuo fratello?

— Da eroe: l’indiano muore guardando bene in viso i suoi nemici.

— Ah!... Quella Yalla!... Tua madre è troppo vendicativa!... Poteva dimenticare il passato e lasciare che il colonnello si facesse ammazzare da qualcun altro.

È il colonnello che lo ha fatto fucilare, e vero?

— Sì, padre.

— È una cosa spaventevole anche per noi Indiani. La madre che fa ammazzare il figlio dal padre!...

— Era dunque vero — chiese Minnehaha, mentre i colpi di fucile continuavano — che l’Uccello della Notte era figlio del colonnello?

— Che importa a te il saperlo?

— Ma se l’Uccello della Notte era mio fratello....

— Tu sei mia figlia, poichè io ho sposato tua madre dopo che l’uomo bianco l’aveva abbandonata.

— Finirò per non capir più nulla.

— E sarà meglio per te, — disse il gambusino, sparando un colpo di carabina su un grosso lupo che cercava di avanzarsi di soppiatto fra le macerie.

— Tu però ignori ancora una cosa, padre, — disse Minnehaha, quando il gambusino rialzò il fucile per ricaricarlo.

— Parla dunque.

— Che io ho vendicato mio fratello.

— Chi!... Tu!... — esclamò l’uomo, facendo un gesto di stupore e nel medesimo tempo di gioia. — Tu!...

— Mia madre non aveva forse incaricato l’Uccello della Notte di uccidere il colonnello per aprire la via agli Sioux?

— Sì, sperava che, morto il capo, gli altri si disperdessero e pare invece che si sia ingannata. Avrebbe potuto scegliere però qualcun altro: tua madre è stata troppo crudele, poichè poteva ben supporre che non era un’impresa molto facile anche per l’Uccello della Notte.

— Che io, ti ripeto, ho vendicato.

— In qual modo? — chiese il gambusino, ricaricando la carabina.

— Piantando nel dorso del colonnello un machete.

— Tu!... Proprio tu!...

— Ma sì, io, padre!...

— Così piccina!... Hai il sangue di tua madre nelle vene?

— Ed anche il tuo, poichè si dice che Red-Cloud (la Nuvola Rossa), sia stato un giorno un formidabile guerriero, capo d’una grande tribù di Corvi.

[p. 64 modifica]— Chi te lo ha detto? — chiese il gambusino, o meglio l’indiano, aggrottando la fronte.

— L’ho udito narrare nei nostri accampamenti, — rispose Minnehaha.

— E sia!... È vero!... Ero un gran capo e Nuvola Rossa ha strappato molte capigliature ai Piedi Neri, gli eterni nemici della sua tribù. —

Sparò un secondo colpo di rifle contro un altro lupo, mentre i tre scorridori della prateria non cessavano di far fuoco, poi riprese:

— E sei sicura d’averlo ucciso il colonnello?

— Lo spero.

— E perchè non ti hanno uccisa?

— Perchè non se ne sono accorti. Il colpo l’ho fatto quando gli Sioux movevano all’assalto della gola del Funerale e quei tre uomini mi aspettavano per condurmi con loro.

— A quale scopo? — chiese Nuvola Rossa.

— Forse perchè speravano di avere da me delle preziose informazioni su Mano Sinistra, il capo degli Arrapahoes, che credono sia mio padre.

— E dove vanno questi uomini?

— A salvare i figli del colonnello. —

Nuvola Rossa ebbe un gesto d’ira.

— Ha confessato dunque l’Uccello della Notte? — chiese coi denti stretti.

— No, non una parola è uscita dalle sue labbra.

— Ed allora?

— Non so, — rispose la fanciulla, la quale ignorava che cosa avesse potuto contenere il biglietto che l’indian-agent aveva trovato sotto la gualdrappa del grande cavallo bianco. — So che sono incaricati di salvarli, prima che gli Arrapahoes di Mano Sinistra giungano all’hacienda.

— Forse giungeranno tardi, poichè tua madre ha mandato altri corrieri prima di noi.

— E noi che cosa faremo? —

Il gambusino sparò un altro colpo di carabina, poi disse, con voce tetra:

— E noi cercheremo d’impedire a questi uomini di giungere all’hacienda prima degli Arrapahoes, ecco tutto.

— Non sarà cosa facile: mi sembrano uomini risoluti, — disse Minnehaha.

— La prateria è immensa e molte cose inaspettate possono succedere, — rispose il falso gambusino. — Giacchè tua madre vuole avere nelle sue mani i figli del colonnello, faremo il possibile per accontentarla.

[p. 67 modifica]Non voglio mettermi in urto con lei: è troppo terribile quella donna e vale quanto cento guerrieri.

— È una donna forte, — disse Minnehaha, con un sorriso d’orgoglio.

— Sì, anche troppo forte, — rispose Nuvola Rossa, con un sospiro. — Lo so io.

— E unendoti a questi uomini non correrai dei pericoli, padre? Tu non hai amici fra i capi chayennes, almeno così mi hai detto: poi coll’abito che indossi non saresti creduto un indiano.

— Cercheremo di evitarli. Ora basta: lasciami far fuoco o saranno i lupi che ci faranno finire presto il viaggio. —

Le maledette bestie infatti, quantunque fucilate in piena regola e trattenute dai falò che avvampavano crepitando e lanciando in aria nembi di fumo e di scintille, pareva che non ne avessero ancora abbastanza delle dure lezioni inflitte loro dall’indian-agent e dai due scorridori della prateria.

Anzi quella resistenza pareva che li rendesse, di momento in momento, più accaniti. Respinti da una porta rientravano dagli squarci delle muraglie, poi tornavano a fare irruzione attraverso le porte con degli ululati spaventosi che impressionavano profondamente i difensori, quantunque abituati a quelle sanguinose battaglie. Molti dovevano essere idrofobi poichè avevano le fauci piene di bava e tenevano le code basse, quasi fra le gambe; sopra quelli, come i più pericolosi, i quattro uomini dirigevano a preferenza le loro palle.

— Ehi, John, — disse ad un certo momento Harry, il quale aveva già sparato una decina di colpi. — Potremo noi resistere a lungo?

Mi pare che queste dannate bestie, invece di scemare, aumentino di minuto in minuto.

— È già da un po’ che me ne sono accorto, — rispose l’indian-agent, che sfogava il suo malumore masticando rabbiosamente un pezzo di tabacco. — L’uragano li caccia qui.

— Che fosse questo uno dei loro rifugi?

— Parrebbe.

— Tu mi hai parlato di un sotterraneo. Se ci rifugiassimo là dentro?

— Ci stavo pensando.

— È lunga la scala per discendervi?

— I nostri cavalli potranno farla. Sai che sono abituati a saltare come i bigarnes (montoni delle montagne Rocciose).

— Del mio garantisco ed anche di quello di mio fratello, — rispose Harry.

— E del mio pure. Quello del gambusino non sarà da meno dei nostri.... Giorgio, hai ancora delle torce d’ocote?

— Sempre, John, — rispose il giovane.

[p. 68 modifica]— Il sotterraneo si trova dietro di noi, a destra, presso quell’arcata. Lascia il tuo posto e metti in salvo i cavalli o finiremo per perderli.

Una scala si difende presto, quando si hanno quattro fucili. Spicciati poichè queste bestie fra poco ci daranno un assalto generale, e allora sarà finita per tutti. —

Il giovane sparò un altro colpo di carabina e si diresse, correndo, verso i cavalli, i quali scalpitavano furiosamente e nitrivano disperatamente, come se già provassero i primi morsi dei famelici animali.

I lupi, niente spaventati dalle gravissime perdite subite, forse perchè ad ogni istante nuovi compagni sbucavano dalle vicine selve, rinforzando subito le linee scompigliate, pareva che si preparassero realmente per un grande attacco, il quale avrebbe dovuto finire colla morte non solo dei cavalli, ma anche degli uomini.

Avevano occupate tutte le aperture ed avevano cominciato ad avanzarsi perfino contro i falò. I fuochi ormai non li spaventavano più, come non li trattenevano più i colpi delle carabine.

Nuvola Rossa si era già accorto del grave pericolo, poichè, dopo essersi messo sulle spalle Minnehaha, aveva cominciato a battere in ritirata verso il fondo del refettorio, pur non cessando di far fuoco.

Giorgio non perdeva il suo tempo. Aveva accesa una torcia, aveva trovata la scala che conduceva nel sotterraneo dove erano stati soffocati e fucilati i leperos ed i salteadores messicani ed aveva condotto giù il primo cavallo.

Nuvola Rossa, avendo subito compreso di che cosa si trattava, era sollecitamente accorso in suo aiuto, mettendo prima in salvo Minnehaha ed il proprio mustano. John ed Harry intanto tentavano di trattenere i lupi che diventavano sempre più accaniti.

Per non perdere tempo a caricare i rifles e per non sciupare troppe munizioni, che avrebbero potuto più tardi rimpiangere, si erano messi a scagliare fra le orde fameliche tizzoni infiammati, ottenendo forse maggior successo.

Ed infatti ogni volta che un pezzo di trave o di tavola rimbalzava sul pavimento, sprigionando miriadi di scintilla e getti di fumo, le bestiacce indietreggiavano, mugolando ed ululando.

La lotta non poteva però durare a lungo, poichè, distrutti i falò, l’assalto doveva diventare più sicuro.

Già John ed Harry avevano dovuto riprendere le carabine, quando la voce di Giorgio echeggiò fra due denotazioni:

— In ritirata!...

— Non volgere le spalle, Harry, — s’affretto a dire l’indian-agent. Mostra sempre il viso. —

I lupi si precipitavano attraverso tutte le aperture, decisi a dare un assalto definitivo.

I due uomini, spalleggiati dal gambusino e da Giorgio, i quali [p. 69 modifica]erano accorsi in loro aiuto, raggiunsero ben presto la scala e si precipitarono nel sotterraneo che era stato illuminato da un paio di torce.

Era una specie di cripta, a piccole arcate, con dei vani che avrebbero dovuto servire probabilmente ad accogliere delle statue di Santi, ed abbastanza vasta per contenere una ventina di persone ed anche più. Nel mezzo si trovava una vecchia tavola rósa dai tarli, ed attorno ad essa facevano orrenda mostra parecchi scheletri umani i quali avevano accanto a loro dei pistoloni ormai fuori di uso.

Era quanto rimaneva degli infami banditi messicani che avevano ferocemente trucidati i monaci della Missione.

I quattro uomini si erano appena collocati in fondo alla gradinata, fortunatamente così stretta da aver appena permesso il passaggio ai cavalli, quando i lupi si mostrarono in massa sul pianerottolo, ululando sempre con maggior rabbia.

— A quanto pare, — disse Harry — hanno proprio giurato di avere le nostre polpe o quelle dei nostri cavalli.

John, hai mai veduto delle bestiacce così cocciute?

— Io no, ma penso che faresti meglio a sparare anzichè chiacchierare.

— Credi che tenteranno la discesa?

— Chi lo sa? Giorgio, vi è della legna qui?

— La tavola.

— Cerca di farla a pezzi coll’aiuto del gambusino. Solamente un bel falò, acceso in fondo alla scala, tratterrà quelle canaglie.

Che il diavolo se le porti e si porti pure questo dannato tornado che continua ad infuriare.

Su, camerati, se volete resistere fino all’alba. Bruciate pure anche gli scheletri: appartengono a delle canaglie che non hanno diritto a nessuna sepoltura.

Harry, spara con me finchè gli altri preparano le difese.

— Sparerò su quelli che hanno la bocca piena di bava, — rispose lo scorridore della prateria. — Sono quelli che mi fanno più paura di tutti. —

Un fracasso indiavolato soffoco la sua voce. Il gambusino e Giorgio, armatisi di grosse pietre strappate alle nicchie, fracassavano la tavola e gli sgabelli che stavano ancora, più o meno, allineati intorno.

I lupi, udendo quel rimbombo assordante, che si ripercuoteva con una intensità formidabile nella cripta, avevano pure raddoppiati i loro ululati.

— Su, Harry, — disse John. — Non contare le cartucce che rinnoveremo a Kampa.

— Ne posseggo un bel numero ancora, — rispose lo scorridore, il quale dimostrava un meraviglioso sangue freddo.

— Tira. —

[p. 70 modifica]Due lupi, fulminati dalle infallibili palle del due volontari del colonnello, rotolarono giù per la scala, mentre Nuvola Rossa e Giorgio gettavano in fondo alla scala, alla rinfusa, sgabelli, pezzi di tavola e scheletri insieme, incendiandoli.

Minnehaha, che si era accovacciata in un angolo della cripta, aveva battuto le mani vedendo quella intensa luce invadere la cripta.

Un gesto minaccioso di suo padre aveva però frenato subito il suo entusiasmo, che aveva fatto inarcare le sopracciglia ai tre volontari del colonnello.

— Se tu, piccina, non sei capace di prendere parte alla lotta, sta zitta e non seccarci, — disse poi, con voce rude.

Minnehaha si rannicchiò in un angolo, si appoggiò alla parete, si abbottonò il mantello, al quale pareva tenesse molto, e non fiato più.

I lupi intanto continuavano a mostrarsi sempre numerosissimi sul pianerottolo, ma non vi resistevano che qualche minuto, poichè l’aria che entrava da due piccole finestre aperte a fior di terra e difese da grosse inferiate, continuava a spingere sui loro musi il fumo e le scintille.

I tre volontari del colonnello ed il gambusino assistevano alla scena, tranquillissimi, appoggiati ai loro rifles.

Finchè il fuoco durava non vi era nessun bisogno di fare altro spreco di munizioni, e siccome degli sgabelli ve n’erano in gran numero, non vi era da temere che si spegnesse tanto presto.

— All’alba se ne andranno, — disse John ad Harry. — Queste brutte bestie non amano battagliare che di notte e siamo già molto innanzi colle ore.

— Avrebbero fatto meglio a lasciarci dormire, — rispose lo scorridore.

— Bah!... Siamo abituati alle notti bianche, noi uomini della prateria. A me basta che si riposino un po’ i nostri mustani, premendomi che ci portino a Kampa prima che le bande dei Chayennes e degli Arrapahoes s’incontrino e spazzino via tutti, in attesa degli Sioux.

— Speri sempre di trovare qualche corriera?

— So che Kampa non è stata ancora interamente abbandonata, quindi troveremo laggiù dei compagni che ci seguiranno almeno fino al Lago Salato.

Più saremo e meno avremo da temere da parte delle pelli-rosse.

— Un grosso gruppo può attirare troppo l’attenzione degli uomini rossi, — disse in quel momento il gambusino. — Al vostro posto preferirei viaggiare soli.

— È vero che siamo già in quattro e tutti buoni, — rispose l’indian-agent — tuttavia preferirei scortare qualche corriera.

Ohè, gettate legna. Anche la tavola è scomparsa insieme agli scheletri dei briganti. —

[p. 71 modifica]Il fuoco fu subito alimentato con una catasta di sgabelli. I lupi, vedendo le fiamme allungarsi verso la scala, si misero ad ululare spaventosamente, poi disperando forse ormai di guadagnarsi per quella notte la cena, abbandonarono il pianerottolo.

Per qualche minuto si udirono i loro ululati allontanarsi, poi i tuoni soli signoreggiarono, facendo tremare le pareti della cripta.

— Se ne sono finalmente andati, — disse l’indian-agent, dopo di aver ascoltato attentamente, — È segno che l’alba non è molto lontana.

Camerati, approfittiamone per schiacciare un sonnellino, giacchè il fuoco dura. —