Sulla necessità di abolire il volo dell'asino
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SULLA NECESSITÀ D’ABOLIRE
IL VOLO DELL’ASINO
IN EMPOLI
DISCORSO STORICO-POLITICO
Dell’Avv. Pietro Garinei Empolese
FIRENZE
1861.
A SPESE DEGLI EREDI GRAZZINI
In Santa Maria in Campo
Il presente discorso doveva essere Letto all’Accademia scentifica Empolese, ma atteso alcune insorte difficoltà si è prescelto di pubblicarlo.
(Firenze Tip. Torelli)
ILLUSTRI ACCADEMICI
Umanissimi Uditori.
Spectatum admissi risum teneatis Amici?
Horac. de art. poet.
Ogni anno nel giorno della Festa sacra detta del Corpus Domini, meglio detta Festa di Dio, si vola in Empoli un Asino, voi già il sapete Illustri Accademici, umanissimi uditori, facendolo discendere dall’alto del Campanile della Collegiata di Empoli, ornato di ale di legno dorate per mezzo di un grosso canapo fino al piano terreno di un casamento, ora della nobil casa Martelli, già dell’illustre il fù D. Giuseppe Del-Papa benemerito cittadino Empolese.
Questo casamento è storico ed antico. Le pitture esterne a buon fresco indicano la sua antichità. I congressi politici tenuti in questo casamento nel medio Evo, ed anco i precedenti congressi, quando Empoli stesso nel 1015 era costituito a reggimento repubblicano sotto la protezione dei Conti Guidi con lega dei circonvicini paesi Montrappoli e Pontorme, e i molti successivi lo hanno reso istorico e di qualche celebrità. Fu in questo medesimo casamento «Repetti dizionario Geogr. Fis. Storico della Toscana T. II. alla parola Empoli pag. 64» che avvenne il gran Consiglio dei Ghibellini dopo la vittoria di Montaperto per distruggere Firenze affinchè i Guelfi non vi potessero più tornare, e Farinata degli Uberti fu il solo che si oppose a viso aperto a sì strano disegno, per cui il Divino Poeta fa dire a Farinata che trova nell’inferno fra le anime macchiate di eresia queste parole:
«Ma io fui sol colà dove sofferto
«Fu per ciascun di torre via Fiorenza
«Colui che la difese a viso aperto
Dant. Cant. 10 vers. 91
Ora da alcuno non ben istruito nella patria Istoria potrebbesi domandare — Cosa è mai questo volo dell'Asino? A che, a quali fatti, a quali leggende istoriche, a quali avvenimenti politici questo volo dell’Asino si riporta?
Anzi di mostrare a questo uditorio la necessità di abolire questo impropriamente detto Volo dell’Asino, mi prende vaghezza, che vana non parmi, di esporvi alcuna notizia di questo pacifico animale — Quindi vi dirò a che si referisca popolarmente, o poeticamente, o istoricamente il volo dell’Asino in Empoli nel giorno della gran festa di Dio.
L'asino è un animale che ha richiamato l'attenzione e gli studi di molti sapienti antichi e moderni.
Volgarmente l’Asino è deriso. Se un avvocato non vince una causa gli si da dell’Asino — Se un medico non frequenta, non assiste un malato si chiama un Asino — Se un tenore canta disperatamente si dice che raglia come un Asino — Se un Giornalista fa un articolo col mal di testa, il colto pubblico lo sentenzia per un Asino, e il Giornalista ricambia il colto pubblico col titolo di Asino, se questo pubblico colto ma delirante applaude a un cattivo spettacolo, a una ballerina galante ma zoppa, a un libro che non ha senso comune.
Anche gli antichi tenevano in mal vezzo questo mansueto animale.
Li Egizi l’avevano in esecrazione, e con esso simboleggiarono Tifone Dio del male.
A Cuma si conduceva in pubblico sul dorso di un Asino la donna convinta d’infedeltà coniugale.
Dio guardi se questa usanza fosse pur oggi in vigore tra noi! Quanti Asini portatori di donne sul loro dorso!
Guglielmo di Sicilia avendo fatto prigioniero l’Imperatore Emanuelle, lo espose al furore del popolo ponendolo sul dorso di un Asino.
I milanesi fecero questo mal gioco a una figlia di Barbarossa, per cui dicesi che desso ne pigliasse fiera vendetta.
Alcuni naturalisti negarono all’Asino una spece sua propria naturale, ma Buffon difese la causa dell’Asino, come Raynald tuonò quella del negro Americano. Non in tutti i luoghi però Li Asini furono dispregiati.
A Delfo erano onorati quanto le Oche a Roma, perciocchè narrasi, che una tal volta essendo quella città assediata, un raglio improvviso di un Asino, che veniva verso i nemici, mise loro tanto spavento che presero precipitosa fuga.
Tutti li antichi Patriarchi tenevano molti Asini nel loro gregge. I Re di Giuda viaggiavano riposando sul dorso degli Asini. L’Asina di Balaam non parlava?
I Romani facevano buon conto degli Asini, e Mecenate ed altri Magnati di Roma imbandivano sulle loro mense la carne degli Asini colle murene.
Ecco perchè il Critico Gio. Batta Zannoni nella sua Cicalata in lode dell’Asino dice pag. 41 del suo opuscolo «ora intendo perchè ei proteggeva tanto li uomini di lettere. Il prototipo dei sapienti che aveva in corpo a ciò fortemente lo stimolava. — E per legittima conseguenza bisogna dire che il disuso di questa potenza abbia cagionato con grave danno delle lettere la mancanza di Mecenati.»
Le donne Romane usavano il latte dell’Asine per tener morbida e bianca la pelle. V. Britann. ad Juven Sat. 2. v. 100. e Sat. 6. v. 456.
Ed oggi non si usa il latte dell’Asine per medicare i malati di Etisia polmonare?
Un dotto dell’antichità diceva «Asinum qui habet, pharmacopolium habet portatile. Paullin pag. 103.
Io non sò, se anche ai nostri tempi si faccia uso dalle Dame italiane del latte dell’Asine per tener bianca e morbida la pelle, perocchè io mai mi sono ardito di penetrare nei lor segreti gabinetti ove fanno toelette. Non lice tanta licenza — Procul esto Profani. So d’altronde per detto dei profumieri che desse usano aromati, cerette, aceto cosmetico e chiari d’uovo per tener pulita e senza grinze le pelle.
Sabina Poppea Dama Romana cui ponno bene applicarsi i bei versi
«A vizio di lussuria fù si rotta Dant. Cant. 5, vers. 55. |
viaggiava al dire di Plinio col seguito di 500 Asine perchè fornissero il latte ai propri bagni Cosmetici.
Un ammalato guarito col latte di un Asina lasciò scritto questi versi
«Par sa bonté, par sa substance |
Ma io mi dilungo di troppo o Signori in questo storia sull’Asino.
Dirò solo che il nostro Domenico Guerrazzi già dittatore della Toscana nei memorandi anni 1848 e 1849 scrisse nel tempo del suo esiglio dalla patria un opera sull’Asino elogiandone come fecero anzi lui il Passerati nel suo opuscolo «Encomium Asini» e il rammentato Zannoni, la nobiltà, le qualità fisiche e morali, e perfino le intellettuali. L’opera però è misteriosa, e parodiaca, piena di sapienza e di attico sale in ogni materia e per tutti.
Dirò una mia idea appresa dalla lunga esperienza, ed è che gli Asini sono in pregio anche fra noi e sono in gran quantità.
Scriveva un Lepido Poeta:
.....Non dirò ne ibi ne ubi
Più ciuchi son, più salgono alle nubi.
Ed è vero — Sic itur ad astra.
Dunque non sono li Asini a 4 gambe, che vanno in su. Sono li Asini bipedi che salgono e vanno per aria.
Bacco ne guidò due in Cielo che divennero due lucentissime stelle. Igino Poet. Astron. 2. n. 84. dice, che a quello su cui si era adagiato il molle Dio Bacco, e lo trasportò all’oracolo Dodoneo per liberarsi da una malia fattogli da Giunone, concesse la voce umana. Nonnulli etiam dixerunt Asino illi quo fuerat vectus vocem humanam dedisse.
Or bene, o signori, in ultima analisi parlando dei veri Asini quadrupedi, egli è certo che questi mansueti animali sono utilissimi nella economia rurale, sia perchè lavorano docilmente la terra come i bovi, e perocchè prestano un grande servigio nelle faccende della campagna.
E quale è il nostro Villico nei contorni della metropoli, che non tenga il suo asinello per il trasporto giornaliero di Ortaggi, di Cereali e di panni inbiancati alla città?
Prima però di chiudere questa parte del mio discorso biografico sull’Asino, mi piace narrarvi che in Verona nostra città Italiana infelicemente in questo momento sotto il giogo barbaro straniero, si faceva nel medio evo una famosa festa detta dell’Asino in commemorazione dell’Asina che trasportò la madre del Nazzareno Gesù, e il suo sposo Giuseppe in Egitto per salvare il neonato dalla crudel legge di Erode.
Udite, vi prego, il modo di questa festa Sacra Asinesca.
Si scieglieva una fanciulla di buoni natali e di specchiati costumi, la più bella che mai trovar si potesse. Saliva la Giovinetta sopra un Asino riccamente bardato. Si ponea tra le braccia un aggraziato Bambino rappresentando così la Vergine col suo frutto divino. Procedeva quindi processionalmente col Vescovo e col Clero della Cattedrale fino ad altra Chiesa. Quivi la Pulcella prendeva con la modesta Cavalcatura nel santuario il suo posto in prossimità dell'Altare dalla parte dell’Evangelio e tostamente cominciava la messa. Lo Introito, il Kirie, il Gloria, il Credo terminavano sempre con un ritornello allusivo alla rappresentazione della festa. Terminata la messa la Fanciulla, l’Asino, il corteggio ed il popolo tornavano d’onde eran partiti.
Ma basta così. Claudite jam rivos pueri, sat prata bibere.
E a che si riferisce il volo dell’Asino in Empoli nel giorno della gran festa, di Dio?
La Cronaca popolare Empolese lo fà derivare da una contesa nata tra i due popoli di San Miniato e di Empoli guerreggianti tra loro, per cui fosse iattato che saria più facile che un Asino volasse, che li Empolesi prendessero la forte città di Saminiato ribelle alla repubblica Fiorentina; ed alcuni dalla risposta che die Silvera da Samminiato al messaggero Empolese come cantò il Lepido Poeta Ippolito Neri nostro concittadino nel suo brioso Poema sulla presa di Saminiato Canto 12 ottava 116 ivi.
«Poi rimembrando alfin quella risposta
«Che Silvera a quel trombetta umile
«A parteggiar da lor mandato apposta
«La resa, come tra i guerrieri è stile
«Cioè che gli asin pria volar di posta
«Si vedran pel ciel da Battro a Tile
«Che la forte città co’ suoi paesi
«Cada in poter degli Empolesi.
Ora, una volta che avvenne, come vedremo in appresso, la caduta della forte città per l’astuzia o strattaggemma del valoroso Capitan Cantini condottiero dell’esercito della lega Empolese, il popolo trovò il modo di far volare un Asino per mostrare ai Saminiatesi, che anche li Asini volano, e che era agevol cosa far volar un Asino come fu loro agevole impresa prender e soggiogar la città di Saminiato.
Ma il popolo di Empoli fu ingannato dalla favola, e dalla fervida fantasia del Poeta Empolese.
La storia è ben diversa, o signori, come fra poco vedremo.
Non è però difficile cosa i popoli ingannare.
Il popolo, lasciò scritto il Vescovo Sinnesio (in Calvit. pag. 515) vuole assolutamente essere ingannato. Bisogna adunque, egli dice, ingannarlo, ne si può agire diversamente con lui.
Infatti li antichi Preti Egiziani hanno sempre usato così. Il perchè nella veduta sempre d’ingannare il popolo si racchiudevano nei loro templi, e a di lui insaputa componevano i loro misteri. Come fare altrimenti aggiungeva il Vescovo, col popolo quando è popolo. Per me sarò sempre Filosofo con me — Prete col popolo. Dupuis abregé de l’origine des tous les cultes T. II. p. 137.
Scriveva poi Gregorio di Nazianzo a Girolamo (Hyeron ad Nep.) Meno il popolo comprende e più ammira — Non bisogna che urlare per imporre al popolo. I nostri Padri e Dottori hanno sovente detto non ciò che essi pensavano, ma ciò che loro facevano dire le circostanze ed il bisogno.
Altro dottore della Chiesa Sanctoniaton nelle sue prepos. Evang. diceva, il maraviglioso eccitare sempre l'ammirazione del popolo.
Ecco lo perchè, o Signori, il popolo crede alla magia, alla stregoneria, ai miracoli, alla ciarlataneria, e a tutto ciò che sorprende, ed è superiore alla sua intelligenza.
Ecco lo perchè il popolò cede alle prime impressioni sopra i suoi sensi, ed oggi canta — Evoe Evoe, e la dimane Crucifige Crucifige eum, grida la morte, l’uccide e lo squarcia come già fece il popolo Romano del Tribuno Niccola de Rienzo.
Qual popolo, o Signori, più volubile, più feroce, più iniquo, più inumano del popolo Ebreo, del popolo eletto di Dio?
Ora adorava il suo Dio, ora adorava gl’idoli delli istessi suoi nemici, faceva strage dei popoli conquistati massacrando sgozzando giovani e vecchi, uomini, donne, fanciulli di ogni età, gli animali istessi, ed abbrucciando sempre castelli e città. Quante volte non è stato castigato da Dio con la fame, con la schiavitù, con la lebbra e con serpenti divoratori? Leggete la bibbia e rimarrete convinti di queste verità.
Ora per un istante vi rammentale, che il popolo d’Israel era diviso in 12 Tribù.
Qual guerra feroce, inumana, crudele, accanita non si faceva tra le istesse Tribù?
La Tribù di Dan non massacrò l'intera Tribù di Beniamino?
Il fatto del Levita che tagliò in 12 pezzi la sua donna non fa raccapricciare, non gela il sangue nelle vene? Non fa fremere d’orrore? Quam cum esset ingressus arripuit gladium, et cadaver uxoris cum ossibus suis in duodecim partes ac frusta concidens misit in omnes terminos Israel. Cap. 49. n. 29. del libro dei Giudici.
Chi ha mai letto nell’istorie un consimile fatto tragico?
È vero che il Levita l’aveva trovata morta presso l’uscio della Casa del vecchio che ambedue ospitò in Gabaa; ma il Levita non doveva consegnare la donna sua a tale masnada di scellerati venuti dalla città, perchè in suo luogo ne abusassero in tempo di notte, la strozzassero, e la facessero morire. Che orrore, Signori.
Allora fu in conseguenza di tanta iniquità, di tanta crudeltà, che i figli d’Israel si raccolsero come un sol uomo, da Dan sino a Bersabea davanti il Signore in Maspha. — Inviarono dei Deputali alla Tribù di Beniamino per dirgli — Perchè avete Sofferto un sì gran delitto tra voi? Dateci gli uomini colpevoli di Gàbaa affinchè moiano. —
I Beniaminiti non vollero ascoltare quella deputazione — Il perchè vennero all'armi fra loro.
Io non posso narrarvi la dolente istoria di queste due Tribù, che si trucidarono a vicenda, imperocché questo episodio sacro, ma orribile, mi dilungherebbe di troppo dal mio tema.
Vi dirò solo, che dopo due sanguinose sconfitte, che dettero i Beniaminiti ai figli d’Israel, alla perfine vi mise mano il Signore, il quale sotto gli occhi dell’istessi figli d’Israel li trafisse, Diodati traduttore della Bibbia, li flagellò, Martini Arcivescovo, pur esso traduttore, li tagliò a pezzi, Voltaire, Biblé expliquée — per cui in quel giorno perirono 25,100 Beniaminiti tutti dei più valorosi e atti a portare la spada: Sacra Bibbia, libro de’ Giudici, Cap. 20. n. 33 — «Percussitque eos Dominus in cospectu filiorum Israel et inter fecerunt ex eis illo die viginti quinque millia et centum viros, omnes bellatores, et educentes gladium,» ed ogni resto di quella tribù fu inseguito dai figli d’Israel, che trucidarono uomini donne, perfino le bestie, e tutte le città e i villaggi di Beniamino furono preda del fuoco divoratore. — «Regressi autem filii Israel omnes reliquias civitatis usque ad jumenta gladio percusserunt, cuntasque urbes et viculos Beniamin vorax flamma consumpsit», Cap. 20, n. 48, de Giudici. — Altro non dirò di questa sacra Leggenda. Horribile dictum.
Ora, riprendendo il filo del mio discorso. I nostri Preti non sono come i Preti Egiziani?
Io non voglio assumere in questa aula accademica tale disquisizione. È prudenza tacere.
Dirò solo, che la Casta Clericale è nemica giurata del nostro risorgimento italiano, della riconquistata Nazionalità Italiana, del nostro Re Galantuomo, gemma d’Italia, rigeneratore della nostra Nazionalità, e amico come Italiano dei popoli Italiani.
Dirò che i Preti di campagna male istruiscono i loro popoli, e li eccitano alla ribellione.
Tal fia di loro.
Tempo verrà che i popoli intenderanno il loro bene. — Tempo verrà che i popoli saranno in altro modo istruiti. — Tempo verrà che un arte filantropica e medicale aprirà li occhi alla luce, come è già alzato il braccio alla libertà.
Se una volta si forma, dice Volney nella sua famosa opera Les Ruines des empires alla nota 25. p. 265, una corporazione in questo senso stupirò il mondo dei suoi successi.
Ma vediamo una volta quai rapporti abbia il volo il dell’Asino in Empoli alla Patria Storia.
Scendo a questa facile impresa.
Nel 1397 a 21 Febbraio Benedetto Mangiadori uomo potente ed esule Samminiatesce si pose alla testa di molta gente assoldata, e venne alla volta di Samminiato con animo di ribellare la città all’obbedienza della Repubblica Fiorentina cui allora era soggetta. Di fatto il Mangiadori si impadronì della Rocca, e ciò conseguito, fece dalla sua masnada gettare da una finestra del Pretorio sulla Pubblica Piazza Davanzato Davanzati vicario della Repubblica, e ritenne la città conquistata ribelle al fiorentino dominio sino a che non accorse Cantino di Domenico Cantini di Montrappoli con 2000 Fanti raccolti in quelle contrade, a vendicare l’atroce caso del Davanzati, e a ridurre all’obbedienza della fiorentina Repubblica la ribellata città.
Un colpo di mano illustrò il nome del Capitan Cantini.
In tempo di notte con i più valorosi dei suoi s’introdusse in un sotteraneo presso la ribellata città, che dalla via delle CORNA introduceva alla Rocca; sorprese il nemico; lo battè all’improvviso di fronte ed a tergo, prese d’assalto la città smantellando le sue mura, e così ridusse novellamente la Rocca all’obbedienza dei Fiorentini.
Il fatto nuovo, singolare, lo strattagemma piacquero d’assai alla Fiorentina Repubblica, per cui furono accordati al Valoroso Capitano dal Gonfaloniere di Giustizia con N. 174 voti favorevoli molti privilegi che sono registrati nell’Archivio delle riformagioni in Firenze.
Ecco donde il lepido Poeta Empolese trasse la poetica immaginazione. Di tante corna e tanti Lumicini con cui il Capitan Cantini fece: ....... L’eccelsa e singola e impresa, Così l’Ammirato nel Vol. 2. — Così si legge nel sigillo VII illustrato dal Manni — Così l’anonimo Empolese raccoglitore dei fatti più illustri della sua Patria.
In questa occasione il popolo vincitore asportò il chiavistello della porta di Saminiato per dove penetrò nella Rocca, e tornato alla Patria sua, lo oppose per Trofeo di gloria al palazzo Pretorio di Empoli qual luogo il più centrale della lega Empolese.
Compito il mio debito storico, vengo ora direttamente a trattarvi l’argomento testè denunziato.
Ridicolo, irrazionale io dico è il volo dell’Asino in Empoli nel gran giorno della festa di Dio.
Lo dico irrazionale, perchè non ha in se stesso un atomo di criterio o di sano intelletto, e non è poi collegato alla verità dell’istoria.
Lo dichiaro ridicolo, perché vedere un Asino dall’alto scendere al basso, non può dirsi con sano intelletto che l’Asino voli e salga per l’aria.
Volare nella nostra lingua Italiana vuol dire — trascorrere per l’aria che fanno li uccelli, ed altri animali alati. Dizionario della lingua Italiana alla parola volare. Così il Boccaccio novel. 9 ivi «Avendo «veduto molte volte il Falcon di Federigo volare forte desiderava d’averlo» e nella novella 99 12 ivi Fatto venire i suoi Falconi ad un guazzo vicino li menò e mostrò loro come essi volassero.»
Ed in vero. Perchè tanto ride il popolo a questo volo dell’Asino? Perchè invece di vederlo inalzarsi per aria lo vede dall’alto precipitare per terra.
E perchè accorrono e sono sempre accorsi dai circonvicini paesi ed anco da lontane città popoli ed individui a vedere questo famoso volo Asinesco? Per mera curiosità e per deridere in ultimo il nostro poco cervello.
Il Venosino poeta immagina nella sua arte poetica, che a un capo umano sia aggiunta una testa di cavallo, e poscia coperto di variopinte piume, una bella donna a principio vada a finire in un bruttissimo pesce. Speclatum admissi risum teneutis amici?
Dice il Poeta, Credite Pisones istae Tabulae fore Librum persimilem, cui nec pes nec caput unae raddalur formae.
Così è o Empolesi, del nostro volo dell’Asino.
È consimile alla fantastica pittura del Venosino poeta.
Chi non ride, chi non riderebbe al vedere un Asino precipitare da un alto campanile con ali dorate per terra? Questo non è volo, o Signori, è precipizio. È precipitosa discesa, e non salita.
Un incerto Poeta scrisse sul volo dell’Asino i seguenti versi
Ben mostrano gli Empolesi aver cervello
Quanto conviensi ad ogni uom dabbene
Che l’asino mutar fanno in uccello.
Il nostro Guerrazzi non è però di questo parere. Discorda dal nostro Panegirista o dice nella testè citata sua opera dell’Asino Cap. II, pag, 218. — ivi — «che può darsi benissimo gli Empolesi così praticando mostrino cervello, ma quanto a giudizio è un altro par di maniche, una cosa è cervello ed un altra è giudizio — Di vero il primo si friggeFonte/commento: Pagina:Garinei - Sulla necessità di abolire il volo dell'asino.djvu/26, il secondo nò — »
Questo discorso del Dottissimo Guerrazzi tradotto in parole più chiare condurrebbe a stabilire, che li Empolesi non mostrano giudizio in questo loro volo dell’Asino.
Domanda poi lo scrittore dell’Asino, qual profitto cavarono li Asini dalla protervia Empolese.
Risponde a se stesso così «Gli Asini sospinti in alto compito il volo tornarono in terra più Asini di prima; tutti vi persero la riputazione, e quasi tutti vi si fiaccarono il collo — Chi ci rimise due gambe sole, portò il voto a S. Antonio.
Nel concetto morale troppo dice bene il Sig. Guerrazzi, perocchè l’Asino sarà sempre Asino, o si spinga in alto o si tenga per terra. Già lo dicemmo testè noi stessi. Più ciuchi son più salgono alle nubi.
Nel senso poi materiale si vede chiaramente, che il Sig. Guerrazzi non ha mai visto il volo dell’Asino in Empoli.
Non è che si sospinga in alto l’Aligero animale, è dall’alto che si precipita in basso, cosicchè l’idea materiale non si presta all’idea morale del Sig. Guerrazzi, pur troppo vera verissima applicandola a’ nostri Saputelli boriosi.
Ma non solamente rifugge al buon senso il volo dell’Asino nel modo che si vede attuato, urta di più le invariabili leggi di natura, le contrasta e visibilmente le avversa.
Le materie gravi non stanno sospese nell’atmosfera, non volano, non s’alzan per l’aria.
Il dotto autore del sistema della natura, ossia delle leggi del mondo fisico e morale così parla a principio della sua opera celeberrima e rara.
Li uomini s’ingannano sempre quando abbandonano la esperienza per dei sistemi creati dalla immaginazione. Tutto ciò che esiste nella natura è sommesso alle sue leggi — Invano cerca l’uomo di emanciparsene. Egli non può neppure col pensiero sortirne. T. I. pag. 2. Leipsich.
Le leggi della natura sono costanti, invariabili. Tutto è collegato nella natura. «Naturae rerum vis atque Majestas omnibus momentis fide caret, si quis modo partes ejus, ac non totam completamur animo.» Plinio nella sua istoria della natura lib. VII.
Ora fa di mestieri, necessità persuadersi e convenire che tutto è ordine nella natura. E per quanto a noi sembri che nella natura siavi talvolta disordine, o rovesciamento di elementi ordinari, inquantochè ciò che a noi non giova o in alcuna maniera nuoce si chiami disordine; d’altronde è indubitato che tutto è ordine sempre e invariabilmente e costantemente nella natura; tutto sta in armonia, e tutto è collegato con la materia e con li esseri che sono con lei e che costituiscono pur essi materia.
E legge di natura che i corpi gravi cadano, che i corpi leggeri s’inalzino, e che le sostanze analoghe si attraggano, e le avverse tra loro si respingano per quella forza che i fisici chiamano simpatia, o antipatia, affinità, o rapporti.
Empedocle diceva, secondo Diogene Laerzio, che vi era nella natura una spece d’amicizia, per la quale li elementi si uniscono; ed una spece di discordia per la quale si allontanano; Donde si vede che il sistema d’attrazione è molto antico. Ma ci voleva un Neuwton per svilupparlo. L’amore a cui li antichi attribuiscono lo sconvolgimento del caos, non sembra essere che l’attrazione personificata. Tutte le allegorie, e le parole degli antichi sul caos non indicano che l’accordo e l’unione che avvengono tra le sostanze analoghe ed omogenee, d’onde resulta la esistenza dell’universo; mentre la repulsione o la discordia che li antichi chiamavano Eris era la causa della dissoluzione della confusione e del disordine — Ecco, dice l’autore testè rammentato, l’origine dei due Principi della natura del bene e del male.
Se così è in natura non può stare che un corpo grave, quale è l’Asino: s’inalzi al cielo per l’aria, che voli.
Il volo dei corpi pesanti è impossibile; neppure ai Putti può darsi ad intendere questa novella.
Fatto di fisica egli è, che come una pietra gettata dall’alto cade, così l’Asino Empolese che scende dal Campanile, non vola ma cade.
Due esempi uno fisico, uno morale riportati dall’autore della natura pag. 77. lib. 1. chiariscono questa ragione.
In un turbine di polvere che alza un vento impetuoso, sembra ai nostri occhi che tutto sia confuso. Ma in natura così non è. Nella più spaventosa tempesta eccitata da opposti venti che sollevono le onde non vi ha una sola molecola di polvere, o d’acqua che sia collocata all’azzardo; che non abbia una ragion sufficiente per occupare il luogo ove si trova, e che non agisca rigorosamente nella maniera in cui deve agire.
Un Geometra che conoscesse esattamente le differenti forze che agiscono in questi due casi, e la proprietà delle Molecole che sono mosse, dimostrerebbe al riverbero di queste due cause, che ciascuna Molecola agisce precisamente come deve agire e non può agire diversamente da quello che fa.
Nelle convulsioni terribili che agitano alcuna fiata le politiche società, quelle producono sovente il rovescio di una Nazione, di uno stato, o di un Impero. In tale emergente non vi ha una sola azione, una sola parola, una sola volontà, un solo pensiero, una sola passione negli agenti che concorrono alla rivoluzione o come distruttori o come vittime che non sia necessaria, che non agisca come deve agire, che non operi infallibilmente li effetti che deve operare, seguendo il posto che occupano gli agenti del turbine morale.
Da questi esempi ben si raccoglie e si conferma, che tutto è collegato nella natura, e che li esseri non possono agire e non agiscono che in forza della loro essenza, della loro disposizione naturale, della loro organizzazione.
Il Cardellino vola perchè è leggero e la sua organizzazione lo porta a volare — L’Asino sta per terra perchè è grave, cammina perchè ha quattro gambe — Il pesce sta nell’acqua perchè la sua organizzazione abbisogna dell’acqua onde vivere. Ponete il Pesce per terra, muore — Ponete il cardellino nell’acqua affoga e perde la vita — Spingete in qualsiasi maniera l’Asino per aria, cade, precipita e muore. Vi ha un gran divario dice il nostro Guerrazzi tra un Asino ed un Cardellino nella tante volte rammentata sua opera sull’Asino, Cap. 11. pag. 248.
Andiamo più oltre o Signori.
Caduto l’Impero Romano per la mollezza dei popoli e per il lusso ed il fasto dei grandi, Teodorigo Re degli Ostrogoti occupò militarmente la nostra Toscana.
Io non svolgerò qui la istoria di quei barbari del Nord che nel 542 dell’Era Cristiana invasero l’Italia dominandola e dividendola in province ed in regni. Neppure dirò delle inimicizie sorte fra l’imperatori d’Alemagna ed i papi per pretesi diritti sull'abbazie, su i monasteri, su i grandi feudi.
Nulla della guerra orribile tra Enrico IV Imperatore di Alemagna e Gregorio VII Papa, per cui anche la nostra Firenze sofferse tanti danni per il passaggio delle masnade guerriere di Enrico, imperocché mi dilungherei di troppo dal mio argomento.
Fatto vero egli è, che i Fiorentini sostennero valorosamente un assedio per tre mesi, tantoché Enrico abbandonò l’impresa per marciar contro Roma e farsi coronare Imperatore dal nuovo Papa Gualberto che aveva fatto nominare in luogo e vece di Papa Gregorio.
Se non che non deve sfuggire alla vostra ricordanza l’empia, la stolta donazione fatta tra il 1054 e il 1125, dalla contessa Matilde amica di Gregorio VII, dei suoi beni al romano Pontefice.
Questa donazione fu causa di nuove guerre italiane.
L'imperator d’Alemagna ed il Papa crederono avere eguali diritti su i beni della contessa Matilde. Non fu possibile un accordo tra loro, il perchè vennero all’armi.
E l’uno e l’altro ebbero partigiani in Italia.
Il partito Guelfo sosteneva il diritto del papa — I Ghibellini sostenevano l’Imperatore. Ed ecco che anche la nostra Toscana rimase inviluppata in questa guerra fatale all’Italia.
Firenze fu desolata dalle rapine, dall’estorsioni dei Vicari imperiali.
Se l’Italia era unita credete voi, o Signori, che avrebbe sofferte tante calamità?
L’Italia era divisa in Repubbliche, le quali invece di collegarsi e scacciare il nemico comune, battagliavano, guerreggiavano fra loro per gelosia d’ingrandimento, per rivalità, per discordie, e odi intestini tra provincia e provincia, tra città e città italiana, tra popolo e popolo nell’istessa città.
Sia laude alla lega Lombarda, la quale seppe e potè scacciar dall’Italia Federigo Barbarossa, che voleva compensare in Italia le perdite in Alemagna sofferte; per cui fu firmato il famoso trattato di Costanza che tolse ogni diritto a Federigo in Italia e solo gli conservò alcune sue possessioni.
Ecco, o signori, l’effetto delle disunioni italiane, delle discordie, delle nostre antiche gare e municipali rivalità. Guerre all’esterno, guerre all’interno, lotte feroci tra partiti e partiti, saccheggi, esili, massacri fraterni non mancarono mai in quei tempi infelici.
Voi rammentate bene, o Signori, meglio di me la famosa battaglia della Meloria sostenuta dai Pisani contro la Repubblica Genovese. Battuti i Pisani presso Faleria in Sardegna dai vascelli Genovesi, armarono una flotta considerevole, il cui comando fu dato al Conte Ugolino della Gherardesca di Pisa. Una battaglia terribile, sanguinosa s’impegnò tra le due potenti rivali. L’azione fu lunga e calorosamente combattuta dall’una e dall’altra parte; ma alla perfine la vittoria fu per i Genovesi, i quali fecero un immenso bottino e imposero dure leggi ai Pisani.
Che ne avvenne poi per le nostre rivalità cittadine, municipali?
Firenze colse il destro di questa sventura Pisana, e corse alla vendetta inviando numerose truppe contro la battuta Repubblica, per cui la gloria Pisana rimase quasi annientata e distrutta.
Ora per compire questo quadro storico sulle sventure d’Italia sofferte nel medio Evo, voi dovete, o Signori, rimembrarvi che il Conte Ugolino erasi fatto Padrone di Pisa con l’aiuto di Ruggero degli Ubaldini Arcivescovo di quella città.
Ma questo Arcivescovo posto nell’inferno da Dante tra i traditori, tradì il Conte Ugolino accusandolo alla Repubblica di duplice tradimento per aver ceduti diversi Castelli alla repubblica Fiorentina. Fu per questa iniqua accusa che il popolo Pisano furente cacciò il Conte con due suoi figli in una Torre della città, e lì, li lasciò morire di fame.
Bravo Ruggiero! Faceste una bella Impresa! Rendeste un bel servigio all’amico alleato!
Ma il mondo va sempre così senza distinzione o di ceto o di casta, senza dire che la Casta Clericale negli affari temporali e politici è sempre la peggiore e la più iniqua; il perchè ben disse il Gran Poeta
. . . . Ma nella chiesa
Co’ Santi, in taverna co’ Ghiottoni
Dant. Cant. 21
Dante pone ambedue nell’Inferno come traditori l’uno della patria, l’altro dell’amico non senza ambizione di dominar lui stesso
«Tu dei saper che io fui il conte Ugolino
«Che per effetto dei suoi mai pensieri
«Fidandomi di lui io fossi preso
«E poscia morto...
Dant. Cant. 33
Perdonate o Signori, se proseguo la lugubre Storia Italiana.
La battaglia di Campoldino, tacendovi tante altre che saria troppo lungo di noverare, fu forse meno fatale ai nemici della repubblica fiorentina, e alla repubblica istessa vincitrice?
Dopo la vittoria dai Fiorentini riportata sopra i Pisani sorsero dissenzioni e rivolte nella città. Giano Della Bella le sedò per alcun tempo con provvide istituzioni, ma i torbidi, le distruzioni si rinnovellarono sempre o per un emergente o per l’altro.
Chi può ridire in poche note le continue e sanguinose lotte fra i due partiti di città, Guelfo e Ghibellino? L’Altissimo Poeta fu amara vittima di questi partiti, per cui nel suo esiglio dall’amata patria fa dire a Brunetto Latini nel canto 15 del suo inferno
«Ma quell’ingrato popolo maligno
................................
«Ti si farà per tuo ben far nimico
................................
«Ed a ragion; che tra li lazzi sorbi
«Si disconvien fruttare il dolce fico
Fatto sta, che alla perfine cadde nel 1534 la Repubblica Fiorentina come caddero tutte le altre Repubbliche Italiane, e i Duchi, i Granduchi, l’Imperatori e i Re signoreggiarono, dominarono, tiranneggiarono sino a questi nostri giorni felici, l’Italia.
Ciò non pertanto per dar lode al vero anche nei tempi dei travagli italiani fiorirono nella nostra Toscana le arti e le scienze. Dante Alighieri fiorì in quei torbidi tempi; Guido d’Arezzo Benedettino dette in quei tempi le regole al canto ed alla musica trovando le note della Gamma; Cimabue, Giotto, Arnolfo di Lapo, Niccola Pisano, Bartolommeo da Pisa e Guido da Siena illustrarono la nostra Toscana.
Con questo cenno storico Etrusco Italiano noi abbiamo avuto in animo di mostrare, che le disunioni italiane, le rivalità, le gelosie e le discordie hanno rovinato la nostra bella Italia e posta sotto barbara servitù per lunghi e ben lunghi anni.
Che se dopo tanti sforzi, dopo tante prove, dopo tanto sangue, dopo tante rivoluzioni siamo alla perfine giunti a riconquistare la nostra libertà, la nostra indipendenza Italiana sotto il vessillo del Magnanimo Re Galantuomo Vittorio Emanuele, è necessario mantenersi concordi per conquistare quella unità Italiana che tutti i cuori ben fatti italiani ardentemente sospirano. E già il momento è vicino.
Presto ne verrà fuora il gran generale Garibaldi Eroe d’Italia dalla sua isoletta; Suonerà la tromba di guerra; Accorreranno da tutte le parti animosi soldati; si scaccierà lo straniero che uno solo non resti in Italia dall’Alpi all’Adriatico come tuonò il Gran Napoleone III condegno nipote di Napoleone I dal gran palazzo delle Tuillierie.
Ora è tempo dopo le cose discorse di venire ad una conclusione nel nostro argomento.
Il volo dell’Asino è impolitico, inquantochè mantiene un odio, una rivalità tra popolo Empolese e popolo di Samminiato. Rammenta le antiche gare fatali all’Italia, le pericolose municipalità. Siam tutti Italiani, e nulla deve restare d’infausta memoria tra noi. Tutto deve esser pace e concordia tra noi, tra provincia e provincia, tra città e città, tra popolo e popolo.
Onde è, che qualmente fu saggio il popolo Empolese di riportare alla città di Samminiato nel 1848 in segno di pace, di fratellanza e cittadina concordia il memorabil chiavistello che appeso era al palazzo Pretorio, come il popolo Fiorentino maestro di civiltà Italiana rimandò nell’istesso anno 1848 ai Pisani le catene che erano appese alle due colonne nel Tempio di S. Giovanni, e come una generosa Commissione Genovese riportò con solenne pompa all’istessi Pisani nell’anno di fortunata rigenerazione Italiana 1859, le catene del porto Pisano, sia oggi l’istesso Popolo Empolese sapiente a dare il suo voto per l’abolizione del volo dell’Asino, perchè oltre ad essere questo divertimento popolare in se stesso una ridicolezza non degna di noi, ed abbia le leggi stesse della natura contrarie, attacca la nostra politica Italiana, perchè sta a rammentare epoche men che fauste all’Italia.
Che se taluno di poco cervello ne domandasse come si fa a trattenere il popolo accorso alla festa di Dio per compiere il bel giorno iniziato con ammirabili sacri riti, noi gli diremo che qualmente negli antichi tempi cui il volo dell’Asino in Empoli si riporta, dava al popolo altri divertimenti e della Giostra e del Gallo e il gioco delle Bandiere, come ne attestano l’Anonimo Empolese nella sua raccolta e una Elegia sopra il volo dell’Asino trovata in un libro della soppressa compagnia di S. Andrea la quale comincia
«Era nel dì di Giove cinquecento
«Mille Giugno nove cinquecento
«E la bandiera era spiegata al vento,
oggi si sostituisca al volo dell’Asino il Circo nella gran Piazza già il Campaccio, ora Vittorio Emanuele, la Corsa dei cavalli, la Cuccagna nella stessa piazza ove cadeva l'aligero animale, o il tiro del bersaglio, o qual altro gioco che il genio del popolo Empolese può meglio desiderare e godere.
Laonde concludendo per la immediata abolizione del volo dell’Asino vengo a proporre a questa illustre Accademia, che deliberi in coerenza della mia conclusione, incaricando il suo Presidente di officiare la deliberata idea al Municipio Empolese, perchè pur desso deliberi favorevolmente al deliberato Accademico, e la officiosa missione ripetere al Magistrato della venerabile opera di S. Andrea di Empoli perchè da oggi in avvenire per sempre neghi li arnesi necessari al volo dell’Asino, riprovato dal buon senso, dalle leggi della natura e dalla politica.
Ecco il mio Voto.
Da Firenze li 31 del 1861.
ERRATA
- pag. 16, verso 4, invece di leggere il primo si
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- fugge — Leggi il primo si frigge.