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XIV XVI


INUTILE TENTATIVO DI TORNARE A FIRENZE
DI PIERO DE’ MEDICI. SCOMUNICA
DEL SAVONAROLA (1497)


1497. Seguitò l’anno 1497, anno di grandissimi movimenti ed alterazione; nel principio del quale anno negli ultimi dí di aprile, sendo ancora gonfaloniere Bernardo del Nero, Piero de’ Medici con Bartolommeo d’Alviano e con molti soldati venne a Siena per opera de’ viniziani e’ quali, per avere Pisa sicuramente, gli davano favore a voltare lo stato. La quale cosa a lui pareva facile, intendendo che el popolo minuto stava malcontento per essere in carestia grandissima, ché valeva el grano cinque lire lo staio, ed inoltre sapendo che nella città erano molti uomini da bene male contenti, e molti amici sua, alcuni ancora con chi, come di sotto si dirà, teneva pratica, e Bernardo del Nero gonfaloniere di giustizia, e de’ signori Batista Serristori e Francesco di Lorenzo Davanzati, uomini che solevano essere sfegatati dello stato suo. E cosí con queste persuasioni partitosi da Siena a dí 27 di aprile, venne la sera alle Tavernelle, con intenzione di essere la mattina sequente in sul fare del dí alle porte di Firenze; la quale cosa non gli riuscí perché la notte piovve tanta acqua, che non poté cavalcare all’ora disegnata.

A Firenze, sendosi inteso la venuta di Piero in Siena, e di poi la partita, benché non si credessi dovessi venire tanto oltre si era condotto Pagolo Vitelli, el quale in quegli dí era venuto da Mantova dove era stato prigione, preso nel reame di Napoli, dove si trovava con Camillo suo fratello. Di poi la mattina a dí 28, intendendosi che Piero veniva verso la città, si trasse a buon’ora la signoria nuova che ne fu gonfaloniere Piero degli Alberti, e furono uomini tutti confidati allo stato ed inimici de’ Medici, di poi rinfrescando tuttavia la venuta di Piero, furono mandati Paolantonio Soderini e Piero Guicciardini a fare cavalcare Paolo ed essere in sua compagnia, scelti, massime Piero, piú per la amicizia tenevano con lui, che per essere inimici de’ Medici. Cavalcò con costoro alla porta a San Piero Gattolini, ed avendo notizia che Piero era vicino a uno o due miglia si fermò quivi, e fece serrare la porta; e dubitandosi che Piero non avessi drento intelligenzia, furono sostenuti in palagio circa a dugento cittadini che erano piú a sospetto per conto dello stato vecchio, e nondimeno nella città non prese persona le arme, se non quando si intese che si partiva, eccetti pochi inimici sua capitali, e quegli non molto a buon’ora, come e’ Nerli, e’ Capponi, e’ Pazzi, Lorenzo di Pierfrancesco, gli Strozzi e simili. Stette Piero piú ore alla porta, e veduto non farsi movimento alcuno nella città, e che la stanza sua quivi era con pericolo, dette la volta adrieto, e per la medesima via, sanza essergli fatta offensione alcuna, se ne ritornò a Siena.

Partito Piero ed entrata la signoria nuova, fu gran disputa per le cose del frate, perché el gonfaloniere Giovanni Canacci e Benedetto de’ Nerli, che erano de’ signori ed inimici suoi capitali, lo volevano spacciare; da altra parte messer Antonio Canigiani e messer Baldo Inghirlani lo difendevano, mantenendo quattro fave, benché con grande difficultà, in suo favore. Nella quale controversia sendo riscaldati gli animi de’ cittadini e tutti divisi, furono deputati d’ogni parte a posare le cose e pacificare la città, Bernardo del Nero, Tanai de’ Nerli, Niccolò Ridolfi, Paolantonio Soderini, Piero Guicciardini, messer Agnolo Niccolini, messer Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai, Francesco Valori, Pierfilippo Pandolfini e Lorenzo di Pierfrancesco. E non faccendo effetto alcuno, gli umori tutti dí ribollivano in modo, che sendo publica opinione s’avessi a fare qualche scandolo, predicando el frate la mattina della Ascensione in Santa Liperata, si levò un romore grandissimo, del quale non si trovò causa alcuna, se non sospetto; ed essendo le grida grandissime, si vedde in lui gran segno di paura, ed alla fine non potendo seguitare la predica, si ritornò a San Marco, accompagnato da molti cittadini coll’arme, fra’ quali fu Giovan Batista Ridolfi con una arme in asta in sulla spalla.

Né per questo cessorono le contenzione de’ cittadini, anzi tutto dí crescevano, insino a tanto che del mese di giugno papa Alessandro lo fece publicare in Firenze scomunicato, allegando avere predicato publicamente dottrina eretica e di poi, citato da lui, non essere voluto comparire. Credesi el papa lo facessi volentieri da sé, nondimeno lo fece piú volentieri, sendo stimolato di Firenze dagli avversari suoi; e però per dimostrare la innocenzia sua, si fece in San Marco una soscrizione di cittadini, e’ quali tutti affermorono lui essere vero e buono cattolico. Soscrissonsi circa a cinquecento, non ne rimanendo indrieto quasi niuno, punto nominato, di quella parte: e cosí astenendosi per conto della scomunica el frate dal predicare, e sendo contenti e’ suoi inimici, parve si quietassino un poco le discordie.

Notossi che la mattina che fra Ieronimo fu publicato, venne in Firenze la nuova come el duca di Candia, figliuolo del papa, ed a chi el papa voleva tutto el suo bene, era stato morto in Roma per opera, secondo si disse poi, del cardinale di Valenza figliuolo del papa, el quale aveva per male che el fratello fussi in piú favore col papa; il che parve segno a quegli del frate, che Dio avessi voluto dimostrare al papa lo errore suo d’avere scomunicato fra Ieronimo. Seguitò poi di agosto uno accidente grandissimo, sendo gonfaloniere di giustizia Domenico Bartoli, el quale acciò che si intenda meglio, ripiglierò la origine sua piú da capo.

El governo della città di drento era molto disordinato, creandosi e’ magistrati tutti nel consiglio grande el quale nel principio dava piú favore agli uomini popolari e buoni e che non si impacciassino dello stato, che a quegli che avevano piú autorità e piú esperienzia, di poi a poco a poco accorgendosi che e’ governi volevano essere trattati dagli uomini savi e pratichi, e cosí sendo purgata la invidia di una gran parte di coloro che avevano pel passato potuto nella città, si cominciorono le elezione de’ magistrati di piú importanza, massime del gonfaloniere di giustizia e de’ dieci, a fare piú ragionevolmente. Di qui nacque, che dove prima uno Antonio Manetti e simili avevano al gonfaloniere di giustizia scavallato uno Paolantonio Soderini e simili e dove prima uno Piero del Benino, uno Pandolfo Rucellai, uno Andrea Giugni avevano nello uficio de’ dieci avuto piú favore che e’ piú valenti uomini della città, rimandosi tuttavia el giudicio del consiglio, furono successivamente fatti gonfalonieri di giustizia Francesco Valori, Bernardo del Nero; e cosí nell’uficio de’ dieci erano sempre eletti loro, messer Guidantonio Vespucci, Pierfilippo Pandolfini, Paolantonio Soderini, Bernardo Rucellai e simili.

Da questo era nato che eziandio negli ufici piú importanti di fuora, come Arezzo, Pistoia, Volterra, Cortona e simili, si facevano elezione assai ragionevole; in modo che in questa parte el consiglio era forte migliorato, e si vedeva che seguitandosi le elezione per le piú fave, gli ufici e lo stato non uscirebbe di molti uomini e de’ migliori. Nondimeno avendovi piú favore e’ frateschi che gli inimici suoi, il che procedeva parte pel credito del frate, parte perché in verità, da Bernardo del Nero, messer Guidantonio, Bernardo Rucellai e pochi simili in fuora, erano altri uomini, tutti gli avversari del frate appetivano mutare modo di vivere, ed era la intenzione di molti, massime di Bernardo del Nero, non di richiamare Piero de’ Medici in Firenze, ma fare uno stato stretto di uomini da bene, e farne capo Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, ed avendo in questa cosa secretamente la voluntà del duca di Milano, Giovanni con ordine suo ne era ito a Imola e quivi aveva copertamente tolto per donna madonna di Imola e [Furlí] (figliuola bastarda del duca Galeazzo e cosí nipote del duca Lodovico, e che era stata moglie del conte Girolamo e governava quello stato per e’ figliuoli di detto conte) con intenzione forse di valersi di gente, quando s’avessi a mutare el governo di Firenze.

E parendo agli inimici del consiglio che el migliorare ogni dí nelle elezione avessi a essere cagione che molti uomini da bene si assetterebbono volentieri a questo vivere e cosí si fortificherebbe tutto giorno, pensorono che e’ sarebbe bene introdurre e’ partiti piú larghi e levare questo modo delle piú fave, immaginandosi che quanto piú le elezione andassino larghe, tanto piú si disordinerebbe el consiglio e verrebbe a noia agli uomini da bene, a’ quali dispiacerebbe vedere gli ufici in uomini che o per ignobilità di casa o per loro vizi o per altro conto non lo meritassino. E per fare questo effetto, poiché non avevano tanta potenzia lo potessino condurre per lo ordinario, cominciorono, quando si faceva uno uficio di fuora, o dare le fave bianche a tutti quegli andavano a partito, acciò che, non si vincendo nessuno, bisognassi pigliarvi qualche forma; ed a questo avevano concorso da molti, e’ quali non intendendo a che fine e’ si movessino, vi concorrevano non per levare via el consiglio, ma per tôrre questi partiti stretti delle piú fave.

E cosí sendosi stati molti mesi e fattone molte pratiche, si era finalmente da chi non voleva disordine introdotto un modo che e’ si facessi una provisione, che quando uno uficio fusse ito a partito tre volte in consiglio e non avessi vinto nessuno, si dessi a chi avessi avuto piú fave degli uomini squittinati in quelle tre volte, benché non avessi vinto el partito; e cosí chi non vinceva persona per fare disordine, veduto che, benché nessuno non vincessi gli ufici rimanevano fatti, si sarebbe levato da tappeto, ed accordandosi la pratica a questa conclusione, Bernardo del Nero veduto che la ovviava a’ loro disegni, la contradisse sí vivamente el in forma, che non se ne fece conclusione. E però in ultimo per minore male fu necessario fare una provisione, che si mutassi modo del creare gli ufici di fuora, e dove prima n’andava a partito per nominazione un certo numero e si toglieva quello che vinceva per le piú fave, ora andassino a partito per tratta, cioè che si traessi di una borsa generale, in quale erano imborsati tutti gli abili a detto uficio, e di poi tutti quelli che avessino vinto el partito per la metà delle fave ed una piú, si imborsassino e quello ne fussi tratto a sorte, avessi detto uficio. Di che nacque che le elezione cominciorono molto a piggiorare ed a rallargarsi perché per le tratte non andavano a partito uomini idonei come per le nominazioni; ed inoltre quegli squittinati, come avevano la metà delle fave ed una piú, benché l’uno avessi di gran lunga piú fave che l’altro, avessino un medesimo ragguaglio della sorte. Né solo stette questo inconveniente negli ufici di fuora, ma ancora fu origine si facessi di poi, come di sotto si dirà, cosí negli ufici di drento, e nondimeno quegli ne furono autori, non ne conseguirono el disegno loro perché dove prima girando la elezione degli ufici in pochi e strignendosi a un numero di dugento cittadini o pochi piú, soli quegli sarebbono stati amici al consiglio, e gli altri tutti inimici, che erano molto maggiore numero; ora sendo rallargate in gran numero, quasi tutti quegli a chi sarebbe dispiaciuto el consiglio, piace ora loro, in modo che egli ha avuti sanza numero molti piú amici che prima.

Né si fermando qui e’ pensieri loro, anzi tutto dí opponendosi ed intraversandosi nelle cose, era nata una licenzia perniziosa di sparlare publicamente del consiglio de’ cittadini di qualunque parte, e dimostrare che noi stavamo meglio al governo de’ Medici. Le quali cose non si punivano perché cosí è usanza delle città divise, nelle quali e’ cittadini non pongono mente a ogni cosa, sendo occupati nel contendere, ed inoltre chi ha disfavore da una parte, ha favore dall’altra e perché parendo a ognuno che questo stato e la città non fussi di uno né di pochi, ma di molti, non era nessuno che le brighe ed inimicizie publiche volessi fare sue, di che multiplicando ogni dí questa licenzia, parve a Niccolò Ridolfi Lorenzo Tornabuoni, Giannozzo di Antonio Pucci ed altri che desideravano la tornata di Piero, che Piero avessi buona parte della città, e pigliandone coniettura dal sparlare publicamente che si faceva e da vedere molti cittadini molto male contenti, cominciorono a tenere pratica con lui. Di che avendo egli preso animo, ed avendo intenzione dalla lega d’avere a essere favorito per spiccare dalla amicizia di Francia la città, mandò a Firenze, per disporre meglio la materia. maestro Mariano da Ghinazzano, generale dello ordine di Santo Agostino, el quale altre volte a tempo di Lorenzo aveva predicato nella città con grandissimo concorso. El quale venuto a predicare sotto ombra di opporsi alle cose di fra Girolamo, accennava in pergamo destramente che la città si accordassi colla lega, e di poi privatamente teneva pratica cogli amici di Piero. E benché questa venuta sua, e di poi el praticare quegli cittadini con lui mentre stette in Firenze, dessino quasi publicamente sospetto di quello che egli trattassi, nondimeno le divisioni della città non lasciavono farne esamina né punizione.

Per le quali cose ingagliardito Piero, richiedendo la lega di favore, gli mancò sotto el duca di Milano, e ne poté essere due cagioni: l’una, perché al duca paressi che el rimettere ora Piero non fussi altro che stabilire in Pisa e’ viniziani; l’altra, perché sendo stato lui gran cagione della cacciata di Piero, dubitò, eziandio se gli facessi beneficio, non potersene mai piú fidare; e però, privato Piero del soccorso suo, fu favorito da’ viniziani soli, non con quelle forze che aveva desiderato. Pure confidandosi negli amici con chi aveva praticato, nell’avere una signoria di uomini beneficiati dalla casa sua, ma sopra tutto in sapere quanto molti cittadini fussino male contenti, e come la plebe ed e’ contadini per essere affamati desideravano mutazione; e sperando, come si appressassi alle porte, che la moltitudine avessi a levare in capo e richiamarlo (disegni tutti in aria e fondati in sulla speranza che communemente hanno gli usciti, che sempre si dànno ad intendere avere amici e parte assai nella città) ne venne, come di sopra è detto, volonterosamente alle porte a tempo di Bernardo del Nero gonfaloniere; e benché in su questa sua venuta fussi publica opinione che avessi pratica in Firenze, nondimeno, perché non se n’aveva certezza alcuna e perché gli animi erano inviluppati nelle quistione di fra Ieronimo, la cosa si sopí insino allo agosto sequente.

Nel quale tempo Lamberto della Antella che per avere scritto a Piero, aveva piú anni innanzi avuto bando di rubello, sendo a Roma ed avendo astutamente compreso le pratiche aveva tenute Piero in Firenze, o perché si tenessi male contento di lui, o perché ne sperassi la restituzione nella patria e qualche guadagno, secondo la maligna natura sua, scrisse a Firenze a qualche particulare cittadino, e credo a messer Francesco Gualterotti, che se gli fussi dato salvocondotto verrebbe a rivelare cose di importanza. La quale cosa andando in lunga, venne ultimamente in sul nostro; di che avendosi notizia, fu preso, ed avuto della fune, mostrò qualche spiraglio donde si potessi trarre notizia di tutta la pratica; e parendo cosa di grandissima importanza, la signoria deputò circa a venti cittadini, e’ quali in citare, esaminare e ritrovare questa cosa potessino usare tutta la autorità sua.

Ed essendosi dato principio, furono chiamati e sostenuti Bernardo del Nero, Niccolò Ridolfi, Lorenzo Tornabuoni, Giannozzo Pucci e Giovanni Cambi; molti altri furono citati, e’ quali sendo alle ville non comparirono, che furono Pandolfo Corbinelli, Gino di Lodovico Capponi, Piero di messer Luca Pitti, Francesco di Ruberto Martelli detto el Tinca, Galeazzo Sassetti, Iacopo di messer Bongianni Gianfigliazzi; fu nominata ancora madonna Lucrezia moglie di Iacopo Salviati e figliuola di Lorenzo de’ Medici, la quale fu guardata in casa Guglielmo de’ Pazzi. E procedendosi nella esamina, furono detti cinque esaminati colla fune: ed in effetto si ritrasse come Giannozzo e Lorenzo Tornabuoni avevano avute e scritte molte lettere a Piero, datogli aviso delle cose della città e confortatolo a fare impresa di ritornare con favore della lega; e nella venuta di fra Mariano essersi molto impacciato e parlato con seco delle medesime cose Niccolò Ridolfi ed averne conferito a Bernardo del Nero gonfaloniere, el quale solo aveva avuta questa notizia, ma non aveva già scritto, né consigliato, né parlato, né operato nulla; avere avuto notizia ed essersi operata in simili modi, madonna Lucrezia, sanza saputa di Iacopo suo marito dal quale si era molto guardata; Giovanni Cambi e quegli erano fuggiti, avere fatti in simili effetti diversi errori.

Le quali cose riscontre e ferme bene, deputata una pratica di circa a dugento cittadini, si cominciorono a consultare queste cose. Erano innanzi negli uomini diversi pareri ed opinione; quegli arebbono voluti e’ Medici in Firenze, desideravano la salute loro, e questi erano pochi e quasi tutti di poca qualità, e se alcuni vi erano di conto non arebbono avuto ardire a parlare; erano alcuni a chi el manomettere tanti uomini da bene pareva cosa di molto momento, e che lo insanguinarsi avessi a essere principio grande di guastare la città: alcuni mossi da misericordia da particulare amicizia tenevano con qualcuno di loro, arebbono voluto scampargli, fra’ quali era messer Guidantonio Vespucci ed e’ Nerli, a chi doleva perdere Bernardo del Nero capo della parte loro contro el frate. Da altro canto, tutti quegli che si erano pe’ tempi passati scoperti inimici de’ Medici, eccetti e’ Nerli, avendo paura grande della intornata loro, tutti quegli a chi piaceva el vivere populare ed el presente governo, uniti in grandissimo numero volevano tôrre loro la vita. Di questi era fatto capo Francesco Valori el quale, o perché si vedessi battezzato inimico a’ Medici, o perché volessi mantenere el consiglio nel quale gli pareva essere capo della città, o come fu poi publica voce, per levarsi dinanzi Bernardo del Nero, uomo che solo era atto a essergli riscontro ed a impedire la sua grandezza, vivamente gli perseguitava. E benché avessi dolore della morte di Lorenzo Tornabuoni e volentieri l’avessi voluto salvare, nondimeno considerando che Lorenzo aveva errato quasi piú che niuno altro, e che, salvando lui, bisognava salvare gli altri, poté tanto piú in lui questa passione, che si era risoluto al tutto vederne la fine.

Ragunata adunque la pratica, parlò molto fieramente pe’ gonfalonieri di compagnia messer Antonio Strozzi, mostrando che e’ trattati contro alla libertà della città erano di natura che secondo le legge aveva a perdere la vita non solo chi gli operava, ma ancora chi gli sapeva e non ne dava notizia. E doppo lui nella medesima sentenzia sendo parlato da Bernardo di Inghilese Ridolfi in nome de’ dodici, benché ne fussi Piero di Giuliano Ridolfi consorto di Niccolò; e cosí quasi seguitando gli altri magistrati, messer Guido destramente aiutò la causa loro dimostrando che e’ delitti loro erano vari, e che chi aveva operato piú e chi meno ed in diversi modi, e chi solo aveva saputo e non operato, e però che si voleva affrontare insieme le legge e gli statuti della città, e considerare bene che pena meritassino, e se una medesima o diversa, ricordando che trattandosi d’una cosa di pregiudicio irreparabile, come è la vita dell’uomo, non si dovessi fare carestia di tempo.

Lo effetto di questa pratica fu che quasi per tutti unitamente si conchiuse che e’ fussi tagliato loro el capo; e cosí sendo, el dí sequente giudicati per partito della signoria, e per comandamento loro, dagli otto, fu dimandato da’ congiunti loro l’appello, secondo la legge fatta nel 94, ed osservato in Filippo Corbizzi, Giovanni Benizzi e gli altri. Sopra la quale dimanda non si accordando la signoria, e ragunata di nuovo la pratica, e consigliando alcuni che si osservassi la legge, quasi tutti consigliorono el contrario, dicendo che nello indugio sarebbe pericolo che el popolo non si levassi, e quando si dubita di tumulto, che secondo la legge commune si sogliono tôrre via gli appelli. Capi di questa risoluzione erano Francesco Valori, capo di tutti, Guglielmo de’ Pazzi, messer Francesco Gualterotti, messer Luca e Piero Corsini Lorenzo Morelli, Pierfrancesco e Tommaso Tosinghi, Bernardo Nasi Antonio Canigiani, Luca d’Antonio degli Albizzi, Carlo Strozzi.

E finalmente faccendo la pratica questa conclusione, ed essendo piú volte proposta nella signoria da Luca Martini che era Proposto, vi erano solo quattro fave nere, quella del gonfaloniere, di Luca di Tommaso, di Niccolò Giovanni e di Francesco Girolami, gli altri cinque che erano Piero Guicciardini, Piero d’Antonio di Taddeo, Niccolò Zati, Michele Berti e Bernardo Neretti, apertamente la contradivano. Per la qual cosa non si vincendo, poi che nella pratica furono dette, e sanza frutto alcuno, molte parole perché la signoria vi concorressi in ultimo Francesco Valori levatosi furiosamente da sedere, e dicendo che o morrebbe egli o morrebbero loro, concitò con la autorità sua tanto tumulto, che molti, inanimiti, cominciorono a svillaneggiare e minacciare la signoria, fra’ quali Carlo Strozzi prese pella veste Piero Guicciardini e minacciollo di gittare a terra dalle finestre, perché gli pareva che essendo Piero di piú autorità che alcuno de’ compagni, rimosso lui, la cosa fussi fatta. Veduto adunque tanto tumulto, di nuovo si cimentò el partito e si vinse con sei fave nere; perché Niccolò Zati ed uno degli artefici, o impauriti di loro propri, o dubitando non si facessi qualche maggiore disordine, calorono. Piero Guicciardini, Piero d’Antonio di Taddeo e l’altro artefice stettono tuttavia fermi e constanti; e cosí vinto el partito, la notte medesima di quivi a poche ore, fattigli prima confessare, fu a tutti a cinque tagliato el capo.

Questo fine e tanto inopinato ebbono questi cinque cittadini de’ quali alcuni erano de’ capi della città nostra. Giovanni Cambi era di poca autorità, ed amico de’ Medici non per conto de’ maggiori suoi o per dependenzia di stato, ma per essere stato nella faccende di Pisa con loro, e di poi, essendo impoverito per la rubellione di Pisa, era entrato in questo farnetico. Giannozzo era giovane di grande ingegno, e molto d’assai, ed ancora di buone facultà, ma tutto di Piero per conto di Antonio di Puccio suo padre e degli altri suoi maggiori, e per essere poi stato compagno di Piero; inoltre, perché per rispetto di non essere la casa nobile, ed avere poca grazia nel popolo rispetto a’ cattivi portamenti del suo padre, vedeva non potere avere molto corso a questo governo, desiderava la ritornata di Piero. Altri stimoli avevano mosso Lorenzo Tornabuoni, al quale, sendo giovane pieno di nobiltà e di gentilezza, non mancava grazia e benivolenzia universale di tutto el popolo, e piú che a alcuno della età sua; ma oltre al parentado che aveva con Piero suo carnale cugino, e la potenzia si gli mostrava in quello governo lo essere uomo magnifico ed avere speso assai, ed aviluppato e’ fatti suoi nel sindacato de’ Medici, l’aveva messo in tanto disordine che sarebbe di corto fallito, e però cercava travaglio per rassettarsi e riaversi; aggiugnevasi che, parendogli che el consiglio non fussi per durare, dubitò non diventassino capi della città Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, a’ quali era inimicissimo e gli temeva; e però volle prevenire.

A Niccolò non mancava facultà; né anche, se si fussi voluto accommodare, come Pierfilippo e degli altri, non gli sarebbono, secondo el corso di questo vivere, mancati onori e riputazione; ma perché Piero suo figliuolo aveva per moglie la Contessina sorella di Piero de’ Medici, e per questo conto era suto all’altro stato potentissimo, mosso da ambizione e non contento a quello potessi avere di presente, cercando meglio, trovò uno fine non conveniente alla sua prudenzia e costumi, non alla nobiltà della famiglia sua, non agli onori, dignità, autorità e potenzia che aveva avuta, da compararsi a qualunque altro cittadino de’ tempi sua.

Bernardo del Nero era vecchissimo, sanza figliuoli e con buone facultà, e per queste qualità e per gli onori grandissimi che aveva avuti, e per la prudenzia di che era e meritamente tenuto, era di tanta autorità che parve solo atto piú che alcun altro a esser fatto capo di parte ed opposto a Francesco Valori; e benché in questo vivere avessi tanta riputazione, nondimeno non gli piaceva el consiglio, o perché avessi avuto quattrocento ducati di balzello, cosa disonestissima, o perché fussi assueto allo stato vecchio, né si sapessi recare a quella equalità e popularità che bisogna in uno simile governo, o perché gli bisognassi satisfare alle volontà di quegli che gli davano seguito. Nondimeno lo intento suo era di fare capi e’ figliuoli di Pierfrancesco, non di rimettere Piero de’ Medici; benché in ultimo avendo prestato orecchi alle parole di Niccolò, e parendogli che el suo primo disegno fussi molto difficile, desiderassi, come cosa facile, piú la ritornata di Piero, che vivere sempre in quello modo; nondimeno fu sí piccolo lo errore suo, che a ogni modo sarebbe campato, se non fussi suto lo odio in che si trovava con Francesco Valori, ed el desiderio che Francesco aveva levarsi dinanzi questo concorrente. Di qui nacque che Francesco sí immoderatamente dissuase lo apello, dubitando che la grazia sua e la fede soleva avere col popolo non fussi tanta che, aggiunta allo errore piccolo, lo facessi assolvere.

La morte di costoro ne’ quali era ricchezze, potenzia, autorità e tanto parentado, con grazia grande a favore dello universale, può essere esemplo a tutti e’ cittadini, che quando stanno bene ed hanno la parte ragionevole delle cose, stieno contenti e non vogliano cercare el meglio, perché el piú delle volte si percuote in terra, e se pure vogliono tentare cose nuove, ricordinsi pigliare imprese di natura da riuscire, e che non sieno contro a uno popolo, perché non si può vincere avendo tanti inimici; ed abbino sempre a mente, che el fine di queste imprese è o conseguire el suo disegno, o veramente perderne la vita, ed almeno la patria e la città; e pensino bene che quando sono scoperti ed in pericolo, la grazia ed el favore universale è un sogno: el popolo comincia a intendere tutte cose in loro carico, alcune vere e molte false; loro se si vogliono giustificare, o non sono uditi o non sono creduti; per la qual cosa la benivolenzia si converte in odio e ciascuno gli vuole crucifiggere; e’ parenti e gli amici tutti lo abbandonano e non si vogliono mettere per lui a pericolo, anzi molte volte per giustificare sé, si fanno innanzi a perseguitarlo, la autorità e la potenzia passata gli è nociva, perché ognuno dice: «e’ gli sta molto bene, che gli mancava egli? ch’è egli ito cercando?» Cosí intervenne a questi cinque, contro a’ quali el popolo tanto mormorava, che è verissimo che mai non arebbono vinto lo appello, benché poi qualche mese, passata quella furia, allo universale dolessi la morte loro; ma questo non basta a rendere loro la vita. E certo, se chi governava la città si fussi assicurato a lasciare loro usare el beneficio della legge, sarebbe stato uno giudicio molto giustificato e di grande riputazione per la città e sanza carico suo; ma chi troppo desidera, sempre teme ed ha sospetto.

Morti questi cittadini, quegli che erano fuggiti furono confinati pel contado alle loro possessioni, chi per dieci anni e chi per cinque secondo e’ delitti loro; e nondimeno la maggiore parte furono fra uno anno o due restituiti, e dettono esemplo a chi ha errato, che piú tosto fugga che comparisca; perché se fussino compariti erano morti ed e converso quegli altri se fussino fuggiti, oltre al salvare la vita, non sarebbono anche stati dichiarati rubelli, né perduto la robe. Madonna Lucrezia di Iacopo Salviati fu liberata, massime per opera di Francesco Valori, el quale voleva bene a Iacopo, e gli pareva anche cosa brutta toccare una donna. E cosí, fatto questo giudicio e morto Bernardo del Nero, Francesco Valori rimase assolutamente capo della città insino alla morte sua, avendo seguito massime da tutta la parte del frate in genere, e di poi in particulare da un numero di cittadini, e’ quali si volgevano a’ cenni sua: messer Francesco Gualterotti, Bernardo ed Alessandro Nasi, Antonio Canigiani, Pierfrancesco e Tommaso Tosinghi, Alessandro Acciaiuoli e simili; per la grandezza del quale sendo impaurito Pierfilippo Pandolfini suo inimico, e molto piú sbigottito ed aghiadato per la morte di questi cinque, ammalato pochi di poi doppo la morte loro, morí. Cosí confermato per questo severo giudicio el vivere populare, fu messo per sicurtà dello stato alla piazza de’ Signori una guardia da fanterie, la quale vi stette di poi insino a’ casi del frate.

Nel medesimo anno 1497, e del mese di gennaio overo di febraio, sendo gonfaloniere di giustizia Giuliano Salviati, fra Ieronimo che per conto della scomunica da giugno insino a allora non aveva predicato, benché in San Marco avessi sempre celebrato e dimostrato non temerla, veduta raffreddarsi la opera sua, ed anche avendo una signoria ed uno gonfaloniere a suo proposito, e’ quali non l’avevano a impedire, cominciò a predicare publicamente in Santa Liperata, affermando con moltissime colorate ragioni non essere obligato a osservare e temere questa scomunica. Per la quale cosa, sendo molto ridesti gli umori e la divisione nata per conto suo, che, nel non predicare lui, era un poco sopita, el papa udita la disubbidienzia sua e sdegnatone, sendo ancora instigato per opera di molti preti e cittadini nostri, mandò una raggravatoria ed uno comandamento, che nessuno l’andassi a udire sotto pena della medesima escomunicazione. Di che sendo molto diminuiti gli auditori, ed el capitolo di Santa Liperata non volendo sopportare che e’ predicassi quivi, si ridusse, per fuggire scandolo, a predicare in San Marco; dove predicando, fu creata per marzo ed aprile la signoria nuova, della quale fu gonfaloniere Piero Popoleschi, ed avendovi el frate poca parte, benché ne fussi Lanfredino Lanfredini ed Alessandro di Papi degli Alessandri sua fautori, venne lettere molto calde dal papa alla signoria che proibissino el predicare al frate. Sopra le quali sendosi tenuta una grandissima pratica, e fattone grandi dispute e contese finalmente molti piú consigliorono che non si lasciassi predicare; e cosí gli comandò la signoria e lui ubbidí, lasciando pure a predicare in luogo suo in San Marco fra Domenico da Pescia, ed altri de’ suoi frati in altre chiese.

Erano gli avversari suoi molto piú potenti che l’usato, per piú cagione: prima perché gli è lo ordinario de’ popoli, quando hanno un pezzo favorito una cosa, voltare, eziandio sanza ragione, mantello; di poi per conto della scomunica, la quale gli aveva alienati molti che lo solevano seguitare, fattigli inimici tutti quegli che solevano stare neutrali e di mezzo parendo loro cosa grande e non conveniente a buoni cristiani non ubbidire a’ comandamenti del papa; apresso e’ capi della parte contraria, vedendo che molti giovani da bene, animosi, fieri ed in sull’arme erano inimici di questo frate, gli avevono ristretti insieme, e fattane una compagnia chiamati e’ Compagnacci, di che era signore Doffo Spini, e’ quali spesso facevano cene e ragunate. E perché erano di buone casa ed in sull’arme, tenevano in timore ogniuno in modo che Paolantonio Soderini che svisceratamente favoriva el frate per avere patto con loro se venissi caso avverso, vi aveva fatto entrare Tommaso suo figliuolo. Per le quali cose fra Ieronimo andava in declinazione, insino a tanto che per nuovo modo si terminò el caso suo, come di sotto immediate si dirà.