Storie fiorentine dal 1378 al 1509/XVI

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XV XVII


PROCESSO, CONDANNA ED ESECUZIONE DI GEROLAMO
SAVONAROLA (1498). GIUDIZIO SU DI LUI


1498. Seguitò lo anno 1498 anno gravissimo e pieno di molti e vari accidenti, al quale dette principio la ruina di fra Girolamo perché sendosi lui per comandamento della signoria astenuto dai predicare, e parendo un poco raffredda la persecuzione che aveva grandissima da religiosi e da secolari, nacque da uno principio piccolo la alterazione del tutto. Aveva fra Domenico da Pescia suo compagno nello ordine di San Marco, uomo semplice e riputato di buona vita e che nel predicare le cose future seguitava lo stile di fra Girolamo, circa a due anni innanzi, predicando in Santa Liperata detto in sul pergamo che, quando fussi necessario al provare la verità di quello predicevano, susciterebbono uno morto, ed entrerebbono nel fuoco uscendone per grazia di Dio inlesi; ed avevalo poi replicato fra Girolamo. Di che non si sendo poi parlato insino a questo tempo uno fra Francesco dello ordine di San Francesco Osservante che predicava in Santa Croce e molto detestava le cose di fra Girolamo cominciò a dire predicando, che per mostrare tanta falsità era contento si facessi uno fuoco in sulla piazza de’ Signori, e di entrarvi lui, entrandovi ancora fra Girolamo; e che era certo che lui arderebbe, ma cosí ancora fra Girolamo; e cosí si mostrerrebbe non essere in lui verità, avendo tante volte innanzi promesso di escire del fuoco inleso. Fu questa cosa riferita a fra Domenico che predicava in luogo di fra Girolamo, e però in pergamo accettò lo invito, offerendo non fra Ieronimo ma sé parato a questo esperimento.

La quale cosa piacendo a molti cittadini dell’una parte e della altra, che erano desiderosi queste divisione si spegnessino, e si uscissi un giorno di tante ambiguità, cominciorono a tenere pratica con tutt’a dua e’ predicatori che si venissi allo atto di questo esperimento, e finalmente doppo molti ragionamenti si conchiuse, tutti e’ frati di concordia, che si facessi uno fuoco, nel quale per la parte di fra Girolamo dovessi entrare uno frate del suo ordine, sendo rimesso in sua elezione chi e’ dovessi essere, ed el simile per la altra parte un frate dello ordine di San Francesco, quale fussi eletto da’ sua superiori. Ed essendosi terminato el dí, ebbe fra Girolamo licenzia dalla signoria di predicare, e predicando in San Marco dimostrò di quanta importanza erano e’ miracoli, e che non si adoperavano se non per necessità, e quando le ragione ed esperienzie non bastavano; e però che essendosi provata la fede cristiana con infiniti modi, la verità delle cose predette da lui con tanta efficacia, e con tanta ragione, che chi non era ostinato nel male vivere, ne poteva molto bene essere capace che e’ non s’era proceduto a’ miracoli per non tentare Dio. Nondimeno poiché ora erano provocati, che volentieri accettavano, certificando ognuno che entrandosi nel fuoco, lo effetto sarebbe che el loro frate ne uscirebbe vivo ed al tutto inleso, e pel contrario l’altro arderebbe; e quando altrimenti seguissi, che e’ dicessino audacemente, che lui avessi predicato el falso; soggiugnendo che non solo a’ frati sua, ma a qualunque vi entrassi in defensione di questa verità, accadrebbe el medesimo; e dimandando se, bisognando, per augumento di una tanta opera ordinata da Dio, vi entrerrebbono. Alla quale dimanda fu risposto con grandissima voce quasi da ognuno che sí: cosa stupenda a pensarla, perché sanza dubio moltissimi, se fra Ieronimo l’avessi detto loro, vi sarebbono entrati. E finalmente el dí diputato, che fu a dí... di aprile, che fu el sabbato innanzi la domenica dello ulivo, sendosi in sul mezzo della piazza de’ Signori fatto un palchetto pieno di moltissime legne, vennono e’ frati di San Francesco all’ora ordinata in piazza, ed entrorono sotto la loggia de’ signori; di poi e’ frati di San Marco, fra’ quali erano molti parati, cantando el salmo Exsurgat Dominus et dissipentur inimici eius, e con loro fra Ieronimo col corpo di Cristo in mano, a riverenzia del quale erano moltissimi torchi portati da alcuni frati e da moltissimi secolari, e fu la venuta loro sí piena di divozione e cosí demostrativa che venissino allo esperimento con grandissimo animo, che non solo confermò e’ partigiani sua, ma etiam fece balenare gli inimici.

Entrati adunche ancora loro sotto la loggia, divisi però con uno assito da’ frati di San Francesco, cominciò a nascere qualche difficultà circa e’ panni avessi a portare fra Domenico da Pescia che aveva a entrare nel fuoco perché e’ frati di San Francesco temevano di incanti e malie. Nelle quali non concordandosi, la signoria mandò piú volte a praticare lo accordo due cittadini per parte, che furono messer Francesco Gualterotti, Giovambatista Ridolfi, Tommaso Antinori e Piero degli Alberti, e’ quali avendo ridotta la cosa in termine da conchiuderla, menorono e’ capi de’ frati in palagio, e quivi preso forma a queste difficultà, e stipulatone el contratto e già partendosi per dare esecuzione allo esperimento, venne agli orecchi de’ frati di San Francesco, come fra Domenico aveva a entrare nel fuoco col corpo di Cristo in mano. La quale cosa cominciorono fieramente a recusare mostrando che se quella ostia ardeva sarebbe mettere in scandolo e pericolo gravissimo tutta la fede di Cristo, e da altra parte, instando fra Girolamo di volere che la portassi, la fine che fu che doppo molti dibattiti, sendo ognuno ostinatissimo nella opinione sua e non vi sendo forma a concordargli, sanza accendere non che altro le legne, se ne ritornorono a casa. E benché fra Girolamo montassi subito in pergamo e dimostrassi che el difetto era venuto da’ frati di San Francesco, e che la vittoria era per loro, nondimeno parendo a molti che questa difficultà del corpo di Cristo fussi stata piú tosto cavillazione che legittima cagione, assai degli amici sua in quel giorno si alienorono, e lo universale gli diventò inimicissimo, in forma che el dí sequente, sendo molto delusi e svillaneggiati dal popolo per le vie publiche e’ fautori sua, e gli inimici molto ingagliarditi per avere el concorso dello universale, l’appoggio de’ compagnacci colle arme in mano, e trovarsi in palagio una signoria a loro proposito, accadde che el dí, in Santa Liperata, avendovi doppo desinare a predicare un frate di San Marco si levò quasi fortuitamente uno tumulto, el quale multiplicando per la città, come accade quando gli uomini sono sollevati e gli animi sospesi e pieni di sospetto, gli inimici del frate ed e’ compagnacci presono le arme, e cominciorono a voltare el popolo a San Marco. Nel quale trovandosi molti frateschi al vespro, cominciorono con sassi e colle arme a difenderlo benché non fussi stretto, e voltasi da un altro canto la furia e la moltitudine a casa Francesco Valori e combattendola perché era difesa da quegli di casa, la moglie di Francesco, figliuola di messer Giovanni Canigiani, faccendosi alla finestra fu ferita da uno verrettone nella testa, del quale colpo subito morí. Entrata di poi la turba in casa, fu trovato Francesco in una soffitta, e chiedendo di grazia di essere menato vivo in palagio, fu cavato di casa, e dirizzandosi verso el palagio, accompagnato da uno mazziere, ed essendo andato pochi passi, fu assalito e quivi subito morto da Vincenzio Ridolfi, Simone Tornabuoni, in vendetta di Niccolò Ridolfi e Lorenzo Tornabuoni loro consorti, e da Iacopo di messer Luca Pitti sviscerato della parte contraria, benché lui gli dessi a tempo ed era già morto.

Cosí si mostrò in Francesco Valori uno esemplo grandissimo di fortuna, che essendo poco innanzi, di autorità seguito e grazia sanza dubbio el primo uomo della città, subito voltò mantello: gli fu in uno dí medesimo saccheggiata la casa, morta a’ suoi occhi veggenti la moglie, e lui si può dire in uno istante medesimo morto vituperosamente dagli inimici sua: in modo che da molti fu imputato che Dio l’avessi voluto punire d’avere pochi mesi avanti a Bernardo del Nero e gli altri cittadini di tanta autorità, stati già lungo tempo amici sua e di uno stato medesimo, negato lo appello da una sentenzia della vita; beneficio introdotto da una legge nuova e conceduto a Filippo Corbizzi, Giovanni Benizzi e gli altri a chi si sarebbe, rispetto alle qualità e meriti loro, tolto con meno biasimo e cosí, mutata la condizione, fu morto da e’ parenti di quegli. E dove loro, benché morti sanza lo appello avevano pure avuto facultà di dire le ragione loro, ed erano stati condennati colle sentenzie de’ magistrati e co’ modi civili, ed in ultimo avuto spazio pigliare e’ sacramenti della Chiesa e morire come cristiani, costui fu tumultuosamente morto da privati, sanza potere non che altro parlare, ed in sí subito tumulto e repentina ruina, che non ebbe tempo di cognoscere non che di considerare la ruina e calamità sua.

Fu Francesco uomo molto ambizioso ed altiero, e tanto caldo e vivo nelle opinioni sua, che le favoriva sanza rispetto, urtando e svillaneggiando tutti quegli che si gli opponevano; da altro canto fu uomo savio e tanto netto circa la roba ed usurpare quello di altri, che pochi cittadini di stato sono suti a Firenze simili a lui, vòlto molto e sanza rispetto al publico bene. Per le quali virtú, aggiunte alla nobilità della casa ed al non avere figliuoli ebbe un tempo favore e credito grandissimo col popolo; ma dispiacendo di poi la sua stranezza ed el riprendere e mordere troppo liberamente in una città libera, si convertí in carico, di natura che facilitò assai la via, agli inimici del frate ed a’ parenti de’ cinque a chi fu tagliato el capo, di amazzarlo.

Morto Francesco Valori, e saccheggiatagli prima la casa, si voltò el furore populare a casa Paolantonio Soderini, el quale doppo Francesco era insieme con Giovan Batista Ridolfi primo di quella parte; ma vi concorsono molti uomini da bene, apresso a chi non era in odio Paolantonio come Francesco, e la signoria vi mandò a riparare, in forma che si raffrenò quello impeto; el qual se non fussi stato spento, si sarebbe sfogato con grandissimo detrimento ed alterazione universalmente della città e ruina privatamente di tutti e’ capi de’ frateschi. Di poi ritornando la moltitudine a San Marco dove si faceva difesa assai gagliarda, fu, credo con una balestra, cavato lo occhio a Iacopo de’ Nerli che era in quello tumulto capo contro al frate ed aveva seguito grandissimo di tutti e’ giovani che avevono le arme, e di molti male contenti; e finalmente doppo spazio di piú ore, entrati per forza in San Marco, ne menorono presi in palagio fra Girolamo, fra Domenico e fra Silvestro... da Firenze, el quale, se bene non predicava, era intimo di fra Ieronimo, e si reputava conscio d’ogni suo segreto.

E posate per questa vittoria le arme, sendo transferita la riputazione e la potenzia dello stato negli inimici del frate, si volsono alla sicurtà delle cose presente, e perché quella parte aveva poca fede ne’ dieci e negli otto, perché erano tenuti piagnoni, che cosí si chiamavano allora e’ frateschi, chiamato el consiglio grande, si creorono e’ dieci e gli otto nuovi, che furono tutti uomini confidati a chi aveva el governo; e degli otto fu fatto Doffo Spini signore e capo de’ campagnacci, e de’ dieci Benedetto de’ Nerli, Piero degli Alberti, Piero Popoleschi, Iacopo Pandolfini e simili sviscerati di quella fazione. In che è da notare, che sendo capi loro messer Guido, e Bernardo Rucellai, ed avendo piú autorità e seguito che alcuni altri, e quegli che avevano segretamente condotta questa piena contro a’ frateschi, andando a partito pe’ dieci, non ne rimase nessuno; ma furono nel loro quartiere scavallati da Giovanni Canacci e Piero Popoleschi; in modo che considerato quanto sieno fallaci e’ giudici de’ popoli, e quanta fatica e pericolo avessino preso sanza alcuno frutto, certo furono, come di sotto si dirà, piú caldi a conservare e’ cittadini della altra parte Furono di poi deputati circa a venti cittadini alla esamina di fra Ieronimo e de’ compagni, tutti e’ piú fieri degli inimici sua, e finalmente avendogli dato, sanza licenzia però del papa, qualche tratto di fune, doppo spazio di piú dí ordinato uno processo, publicorono in consiglio grande quello dicevano averne ritratto, soscritto da e’ vicari di Firenze e di Fiesole e da alcuni de’ primi frati di San Marco, e’ quali sendo presenti, era stato letto a fra Girolamo detto processo, e dimandato se era vero, lui affermò dicendo che quello che era scritto era vero. La somma delle conclusioni piú importanti fu in questo effetto: che le cose aveva predette non le avere da Dio né per revelazione o mezzo alcuno divino, ma essere stata sua invenzione propria sanza participazione o saputa di alcuno seculare o frate, averlo fatto per superbia ed ambizione, ed essere stato lo intento suo di fare convocare uno concilio da e’ principi cristiani, dove si deponessi el pontefice e si reformassi la Chiesa, e che se fussi suto fatto papa l’arebbe accettato; nondimeno che aveva molto piú caro che una tanta opera si conducessi per le mani sue che essere papa, perché papa può essere ogni uomo, eziandio da poco, ma capo ed autore di simile opera non può essere se non eccellentissimo; avere disegnato da se medesimo che, per fermezza del governo della città, si creassi uno gonfaloniere di giustizia a vita o per uno tempo lungo, e che gli pareva a proposito piú che alcuno altro Francesco Valori, ma gli dispiaceva la sua natura e modi strani; e doppo lui Giovan Batista Ridolfi, ma gli dava noia el troppo parentado che lui aveva; non avere messo innanzi lo esperimento del fuoco, ma essere stato fra Domenico sanza sua volontà, e lui averlo acconsentito per non potere con suo onore contradirlo, ed anche sperando che e’ frati di San Francesco spaventati avessino a tirarsene indrieto; e quando pure si venissi allo atto, confidandosi che el corpo di Cristo portato in mano dal suo frate lo salverebbe. Queste fuorono le conclusione di suo carico; l’altre piú tosto cose in sua giustificazione perché dimostravano, dalla superbia in fuori, non essere stato in lui vizio alcuno, ed essere stato nettissimo di lussuria, avarizia e simili peccati, ed inoltre non avere tenuto pratica di stato né co’ principi di fuora, né drento con cittadini.

Publicato questo processo, si pose la punizione sua da parte per qualche dí, perché el papa, avendo intesa la presura sua e di poi la confessione, ed essendogli stata gratissima, aveva mandato la assoluzione non solo a’ cittadini che l’avevano esaminato sanza licenzia ecclesiastica, ma ancora a quegli che contro al comandamento apostolico avevano udite le predicazioni sue; e di poi chiesto che fra Ieronimo gli fussi mandato a Roma. La qual cosa fu negata, non parendo secondo l’onore della città usare officio di bargello; e però ultimamente diputò el generale dello ordine di San Domenico ed un messer Romolino spagnuolo, che fu poi creato da lui cardinale, commessari apostolici a venire a Firenze a esaminare fra Ieronimo ed e’ compagni. E’ quali aspettandosi, si cominciò a trattare la causa de’ cittadini che erano stati fautori della parte sua, ne’ quali benché non si trovassi secondo la esamina di fra Ieronimo delitto nessuno, né pratica tenuta contro allo stato, nondimeno el grido della moltitudine era loro contro, ed inoltre molti cittadini maligni che si trovavano in palagio e nelle pratiche, gli volevano manomettere; fra’ quali Franceschino degli Albizzi, che el dí che fu morto Francesco Valori, venuto alla signoria disse: «le signorie vostre hanno inteso quello che è seguito di Francesco Valori; che comandano che si facci ora di Giovan Batista Ridolfi e di Paolantonio?» Quasi dicendo: "se voi volete, noi andremo a amazzarlo". Da altra parte messer Guido, Bernardo Rucellai, e’ Nerli e quegli che in fatto erano e’ capi, confortavano largamente la conservazione loro, mossi massime, secondo fu opinione di molti, perché avevano creduto che battendo el frate fussi rovinato el consiglio grande e però gli avevano sí caldamente operato contro; ma di poi ne restorono ingannati, e veddono che molti de’ loro sequaci, ed in spezie e’ compagnacci, ed universalmente tutto el popolo voleva conservare el consiglio. E però non vollono sanza frutto alcuno e sanza acquistarne stato, manomettere e’ cittadini; e massime avendo messer Guido e Bernardo cognosciuto nella creazione de’ dieci quanto fondamento potessino fare nel favore populare; e fu parola di Bernardo, che tutti gli errori fatti in queste materie si volevano levare da’ cittadini e caricarne el frate. Conchiusesi adunche, doppo qualche disparere e contesa, la loro salute; condennando però per satisfazione del popolo Giovan Batista, Paolantonio ed alcuni altri capi a prestare certe somme di danari. E cosí si quietò questa parte; e Giovan Batista e Paolantonio, che per consiglio degli amici loro e per purgare la invidia col popolo si erano assentati, si tornorono in Firenze.

Creossi di poi la signoria nuova, che ne fu gonfaloniere Vieri de’ Medici, e de’ signori messer Ormannozzo Deti, Pippo Giugni, Tommaso Gianni ed altri; a tempo de’ quali sendo venuti e’ commessari da Roma ed avendo di nuovo esaminato fra Ieronimo e gli altri, finalmente furono tutti a tre condannati al fuoco; ed a dí... di maggio prima degradati in sulla piazza de’ Signori, vi furono di poi impiccati ed arsi con tanto concorso di popolo, quanto non soleva essere alle predicazione. E fu giudicato cosa mirabile che nessuno di loro, massime fra Ieronimo, non dicessi in tanto caso nulla publicamente o in accusazione o in escusazione sua.

Cosí fu vituperosamente morto fra Girolamo Savonarola, del quale non sarà fuora di proposito parlare piú prolissamente delle qualità sua; perché nella età nostra, né anche e’ nostri padri ed avoli non viddono mai uno religioso sí bene instrutto di molte virtú né con tanto credito ed autorità quanto fu in lui. Confessano eziandio gli avversari suoi, lui essere stato dottissimo in molte facultà, massime in filosofia, la quale possedeva sí bene e se ne valeva sí a ogni suo proposito, come se avessi fattala lui; ma sopra tutto nella Scrittura sacra, in che si crede, già qualche secolo, non essere stato uomo pari a lui; ebbe uno giudicio grandissimo non solo nelle lettere, ma ancora nelle cose agibile del mondo, negli universali delle quali si intese assai. come a giudicio mio dimostrano le prediche sue; nella quale arte trapassò con queste virtú di gran lunga gli altri della età sua, aggiugnendosigli una eloquenzia non artificiosa e sforzata, ma naturale e facile, e vi ebbe drento tanta audienzia e credito, che fu cosa mirabile, avendo predicato tanti anni continuamente non solo le quaresime, ma molti dí festivi dello anno in una città piena di ingegni sottilissimi ed anche fastidiosi. e dove e’ predicatori, benché eccellenti, sogliono al piú lungo termine da una quaresima o due in là, rincrescere, e furono in lui sí chiare e manifeste queste virtú, che vi concordano drento cosí gli avversari suoi come e’ fautori e seguaci.

Ma la quistione e differenzia resta circa la bontà della vita in che è da notare che se in lui fu vizio, non vi fu altro che el simulare causato da superbia ed ambizione; perché chi osservò lungamente la vita ed e’ costumi sua, non vi trovò uno minimo vestigio di avarizia, non di lussuria, non di altre cupidità o fragilità, ed in contrario una dimostrazione di vita religiosissima, piena di carità, piena di orazioni, piena di osservanzia, non nelle corteccie ma nella medolla del culto divino: e però nelle esamine sua, benché e’ calunniatori con ogni industria lo cercassino, non vi si trovò in queste parte da notare uno minimo difettuzzo. Le opere fatte da lui circa l’osservanzia de’ buoni costumi furono santissime e mirabile, né mai in Firenze fu tanta bontà e religione, quanta a tempo suo; la quale doppo la morte sua scorse in modo, che manifestò ciò che si faceva di bene essere stato introdotto e sustemato da lui. Non si giucava piú in publico, e nelle casa ancora con timore; stavano serrate le taverne che sogliono essere ricettaculo di tutta la gioventú scorretta e di ogni vizio, la soddomia era spenta e mortificata assai; le donne, in gran parte lasciati gli abiti disonesti e lascivi; e’ fanciulli, quasi tutti levati da molte disonestà e ridutti a uno vivere santo e costumato; ed essendo per opera sue sotto la cura di fra Domenico ridutti in compagnie, frequentavano le chiese, portavano e’ capelli corti, perseguitavano con sassi e villani gli uomini disonesti e giucatori e le donne di abiti troppo lascivi; andavano per carnasciale congregando dadi carte, lisci, pitture e libri disonesti, e gli ardevano publicamente in sulla piazza de’ Signori faccendo prima in quello dí, che soleva essere dí di mille iniquità, una processione con molta santità e divozione; gli uomini di età tutti vòlti alla religione, alle messe, a’ vespri, alle prediche, confessavansi e communicavansi spesso; ed el dí di carnasciale si confessava uno numero grandissimo di persone; facevasi molte elemosine, molte carità. Confortava tutto dí gli uomini che, lasciate le pompe e vanità, si riducessino a una simplicità di vivere religioso e da cristiani, ed a questo effetto ordinò legge sopra gli ornamenti ed abiti delle donne e fanciulli, le quali furono tanto contradette dagli avversari sue che mal si vinsono in consiglio, se non quelle de’ fanciolli, che etiam non si osservorono Fecesi, per le sue predicazione, moltissimi frati nel suo ordine, di ogni età e qualità, assai garzoni nobili e delle prime famiglie della città, assai uomini di età e riputazione Pandolfo Rucellai, che era de’ dieci e disegnato oratore al re Carlo; messer Giorgio Antonio Vespucci e messer Malatesta, canonici di Santa Liperata, uomini buoni e di dottrina e gravità, maestro Pietro Paolo da Urbino, medico riputato e di buoni costumi; Zanobi Acciaiuoli, dottissimo in lettere greche e latine, molti altri simili. In modo che in Italia non era un convento pari, e lui in modo indirizzava e’ giovani in su gli studi non solo latini ma greci ancora ed ebrei, da sperare avessino a essere lo ornamento della religione. E cosí fatto tanto profitto circa alle cose spirituale, non fece ancora minore opere circa lo stato della città ed in beneficio publico.

Cacciato Piero e fatto el parlamento, la terra rimase molto conquassata, gli amici dello stato vecchio in tanto grido e pericolo, che non bastando alla difesa loro Francesco Valori e Piero Capponi, era impossibile non fussino manomessi ed in gran numero, che sarebbe state gran piaga alla città, per esservi molti uomini buoni, savi e ricchi e di gran famiglie e parentadi, fatto questo, nasceva disunione in quegli che reggevano, come si vidde lo esemplo ne’ venti, e dividevansi, per esservi piú di riputazione quasi pari e che appetivano el principato; seguitavane novità e parlamenti, cacciate di cittadini e piú di una mutazione; e forse in ultimo una tornata di Piero violenta, con estremo sterminio e ruina della città. Lui solo fermò questi impeti e movimenti, introdusse el consiglio grande, e cosí messe una briglia a tutti quegli si volevano fare grandi; lui pose l’appello alla signoria che fu un freno da conservare e’ cittadini, fece la pace universale, che non fu altro che tôrre occasione di punire quegli dello stato de’ Medici sotto colore di ricercare le cose vecchie.

Furono sanza dubbio queste cose la salute della città e, come lui verissimamente diceva, la utilità e di quegli che nuovamente reggevano e di quegli che per l’adrieto avevano retto; e furono in effetto le opere sue tanto buone, verificatosi massime qualcuna delle predizioni sue, che moltissimi hanno poi lungo tempo creduto lui essere stato vero messo di Dio e profeta non ostante la escomunica, la esamina e la morte. Io ne sono dubio e non ci ho opinione risoluta in parte alcuna, e mi riservo, se viverò tanto, al tempo che chiarirà el tutto; ma bene conchiuggo questo, che se lui fu buono, abbiano veduto a’ tempi nostri uno grande profeta, se fu cattivo, uno uomo grandissimo, perché, oltre alle lettere, se seppe simulare sí publicamente tanti anni una tanta cosa sanza essere mai scoperto in una falsità, bisogna confessare che avessi uno giudizio, uno ingegno ed una invenzione profondissima.

Furono morti con lui, come è detto, fra Domenico e fra Silvestro; de’ quali fra Domenico era uomo semplicissimo e di buona vita, ed in forma che se errò, errò per simplicità non per malizia; fra Silvestro era tenuto piú astuto e che teneva piú pratica co’ cittadini, e nondimeno, secondo e’ processi, non conscio di simulazione alcuna; ma furono morti per satisfare alla rabbia degli inimici loro, che si chiamavano in quegli tempi vulgarmente gli arrabbiati.