Storie fiorentine dal 1378 al 1509/XIV
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XIV.
Congiura contro il governo popolare. — Morte di Piero Capponi. — La lega ricorre all’ imperatore Massimiliano che viene in Italia. — Insuccesso della sua impresa. — Gonfalonierato di Francesco Valori. 1496. Sopra venne l’anno 1496 turbulento e pericoloso drento e di fuori; nel principio del quale anno alla fine del mese di aprile si scoperse una intelligenzia nella cittá di molti cittadini e’ quali tutti erano oppositi al frate ed uomini di non molta autoritá. Lo intento loro era ristrignersi insieme in consiglio e favorire negli ufici l’uno l’altro; e quando avessino avuto successo in questo, arebbono tentato maggiore fine; e pigliando tutto di forze, sendo venuto a luce, la mattina si ragunava el consiglio per eleggere la nuova signoria in scambio di Domenico Mazzinghi, furono per comandamento della signoria e degli otto sostenuti e menati al bargello Filippo Corbizzi, Giovanni Benizzi e Giovanni da Tignano. Ed essendo di poi esaminati ed inteso tutto lo ordine, parendo la cosa non stessi in termini di intelligenzia semplice, ma piú tosto avessi natura di mutazione di stato, e nondimeno non in modo meritassino perdere la vita, furono questi tre dalla signoria e dagli otto ammuniti e confinati in perpetuo nelle Stinche; e Schiatta Bagnesi, uomo di poca qualitá, ed alcuni altri simili furono ammuniti a tempo; e cosi si estinse questo pericolo, al quale se non si fussi rimediato a buon’ora, arebbe fatto danno assai. Questa alterazione fu cagione che, aspettandosi gonfaloniere di giustizia Francesco degli Albizzi, el consiglio lo fuggi, veduto che questa intelligenzia era in uomini inimici del frate ed inimici del consiglio, ed essendo Francesco, benché sanza sospetto di questa intelligenzia, pure in opinione che gli dispiacessi l’uno e l’altro; e volse le fave a Piero di Lucantonio degli Albizzi consorte suo, uomo vecchio, bonario e da poco. Al tempo del quale, secondo la legge fatta nel 94, e’ confinati nelle Stinche appellorono al consiglio grande: e perché loro erano nelle Stinche e non potevano personalmente comparire, si lesse prima el loro processo, di poi quello che gli scrissono in difensione loro; parlò in ultimo Francesco Rinuccini che era stato o de’ signori o degli otto, giustificando quello si era fatto; ed in effetto sendosi cimentato non furono assoluti. Fermato questo tumulto, sendo le gente nostre in quello di Pisa a ricuperare el contado, ed essendovi commessario Piero Capponi, e dando la battaglia a Soiana, castello di poca qualitá, fu morto Piero Capponi di uno colpo di archibuso. E questa fine ebbe Piero Capponi, uomo valentissimo, ed el quale fu di grandissimo ingegno, discorso e lingua, ma un poco vario e non molto fermo nelle deliberazioni sue; uomo di grandissimo animo ed ambizioso e di grandissima riputazione; era insino a tempo di Lorenzo, benché non molto adoperato, pure in riputazione grande di savio e valente uomo, ed ancora, per le qualitá e credito suo temuto da Lorenzo; a tempo di Piero fu gran cagione della rivoluzione dello stato e di quivi venuto in grandissima grazia ed autoritá: ne’ tempi che el re di Francia fu in p’irenze, si affaticò assai in beneficio della cittá, e nel fare l’accordo, e nel trovare la somma de’ danari che s’ebbe a dare al re Carlo; e di poi creato de’ venti, fu molto operatore della salute de’ cittadini dello stato vecchio, e per qualche mese potè nella cittá piú lui che alcuno altro; di poi fattosi inimico del frate, e venuto in opinione che el consiglio non gli piacessi e che tenessi pratiche con principi di mutarlo, venne in odio al popolo; e benché gli inimici del frate ed e’ capi degli inimici tutti facessino capo a lui, pure urtato dall’altra parte e temuto non vinceva in consiglio nulla; ma pure sendo stimato assai per la riputazione e seguito grande che aveva, fu la sua morte universalmente grata ed accetta al popolo.
Standosi la cittá in questi termini, drento tutta disunita e divisa, di fuori attendendo alla impresa di Pisa nella quale si faceva poco profitto, non avendo appoggio alcuno, ed essendo e’ pisani difesi da’ viniziani, in modo che e’ pisani tenevano fermo Vicopisano, Cascina, Librafatta, la Verrucola e la foce del mare; l’altre castella si tenevano quando per l’uno, quando per l’altro, perché quando erano in nostra mano, come avevano occasione, si ribellavano da noi; la cittá si trovava in cattivi termini, ed ogni di si diminuiva la speranza che el re Carlo dovessi passare in Italia, né si vedeva via da doversi posare e reintegrare nello stato suo, sendo in mala condizione apresso a’ principi di Italia. Al papa non piaceva che noi recuperassimo le cose nostre, perché, fermato questo punto, parevano doversi quietare le cose di Italia, che sarebbe stato contrario a’ suoi disegni che erano pieni di ambizione e vólti a fare stato, il che non gli aveva a riuscire, se si fussi un tratto riunita Italia; non piaceva a’ viniziani, perché, sendo in possessione di Pisa, non ne volevano in alcuno modo uscire, avendo fatto concetto che quella cittá avessi a essere loro uno instrumento grande allo imperio di tutta Italia; non piaceva al duca Lodovico, perché aveva disegnato aversi a fare grande ne’ movimenti di Italia, ed inoltre, se pure s’avessi avuto a riunire colla cittá, arebbe voluto introdurvi uno stato di uno o di pochi, sperando potere piú confidarsi di loro e piú valersene, che di uno governo di molti, co’ quali non si può pigliare fede o amicizia, né trattare segretamente cosa alcuna; e però sempre nel parlare co’ suoi ed in presenzia di messer Francesco Gualterotti, irnbasciadore nostro, detestava questo vivere, dileggiando ora e’ modi della cittá nel creare e’ magistrati, ora gli uomini vili che intervenivano nel consiglio. Alle quali cose messer Francesco, secondo la natura sua, sempre rispondeva prontamente e con degnitá del publico. Sendo adunche chiara la cittá, che per le mani di questi principi non avevamo a essere restituiti nel dominio nostro, sempre dinegò volere entrare nella lega e lasciare el re Carlo, con tutto che ne fussi richiesta instantemente e con molti minacci; anzi, sempre mostrando volere seguitare la parte di Francesco instigava di continuo el re a dovere passare. Per la qual cosa e’ signori della lega, per levare al re questo stimolo di passare in Italia e tòrgli ogni disegno potessi fare de’ fatti nostri, feciono alla fine di settembre venire in Italia Massimiano re de’ romani, promettendogli favore di gente e di danari a conseguire la corona dello imperio, ed in tal numero che e’ ci potessi sforzare a entrare nella lega. Sendo adunque a’ confini di Italia, mandò imbasciadori a Firenze, e’ quali oltre a chiedere passo e vettovaglia, confortassino la cittá a volere essere buoni italiani; fu loro risposto che si manderebbe imbasciadori alla maestá sua che gli satisferebbono; e poco poi intendendo che era giá nello stato di Milano, vi fu mandato oratori messer Cosimo de’ Pazzi vescovo di Arezzo, e messer Francesco Pepi, avendo prima rifiutato Piero Guicciardini e di poi Pierfilippo Pandolfini.
Costoro, giunti in Lombardia, trovorono era giá ito a Genova per imbarcarsi quivi per alla volta di Pisa; e seguitatolo lá, gli esposono la commessione, dimostrando quanto la cittá era desiderosa di compiacergli, e quanto frutto lui potrebbe cavare della amicizia di quella, se la richiedessi delle cose che aspettassino solo alla proprietá sua; ma che la richiesta dello entrare in lega non era onesta, sendo contro alla fede loro, e non volendo, chi gli aveva ingiustamente spogliati, restituirgli; la quale cosa eziandio toccava alla maestá sua, vedendo continuamente crescere quegli che naturalmente gli erano inimieissimi. Cognosceva lo imperadore essergli detto il vero, nondimeno non poteva rispondere se non quanto gli commetteva la lega; e però, el di che si imbarcò per a Pisa, disse agli oratori che per le molte occupazioni non aveva potuto rispondere loro risolutamente, ma che el legato del papa che era in Genova, risponderebbe lui. Andorono al legato, dal quale ebbono che ia risposta sarebbe loro fatta dal duca di Milano. Partirono adunche da Genova, e venuti a Milano, richiesono la audienzia dal duca, el quale la dette loro in presenzia del legato del papa e di tutti gli oratori de’ collegati; ed aspettando che e’ nostri dimandassino la risposta, loro dissono che avendo commessione di ritornarsi a Firenze e faccendo quella via per la quale erano venuti, avevano voluto secondo el debito visitare quel signore ed offerirgli e raccomandargli la cittá. Parve al duca essere uccellato; e dimandatogli se volevano la risposta, dissono che non avevano commessione intorno a ciò; e replicando lui che lo imperadore gli aveva rimessi a sè, e però che egli gli narrassino quello avevano esposto allo imperadore, acciò che potessi loro rispondere, dissono che era superfluo e che non avevano questa commessione; e sobiungendo lui che non sapeva se questi modi procedevano da troppa prudenzia o da poca bontá, replicò el Gualterotto, che era oratore residente a Milano, che procedevano da poca bontá, ma di altri; e cosi rimanendo uccellati el duca e gli oratori de’ collegati, presa licenzia, se ne ritornorono a Firenze.
Massimiano, avendo tocchi in nome della lega danari da Genova, ed imbarcatosi alla volta di Pisa, stette molti di in mare impedito da’ venti e da’ cattivi tempi, in modo che quando venne a Livorno aveva consumato e’ danari sua, ed era venuto el tempo della altra paga: in modo che, stato pochi, di a Livorno e non gli sendo mandati e’ danari da’ viniziani, ne venne a Pisa, lasciati alcuni legni a campo a Livorno; dove alla fine di ottobre, sendo sopravenute certe galee di Francia in favore nostro, e’ legni dello imperadore, avendo contrari non meno e’ legni franzesi che e’ venti, furono rotti; e lo imperadore vedendosi sanza danari e destituto di ogni speranza, data la volta adrieto, vituperosamente se ne ritornò nella Magna.
La cagione perché e’ viniziani non gli mandorono danari fu perché essendo lo imperadore molto piú del duca che loro, erano cominciati a insospettire che el duca non fussi male contento che Pisa fussi in loro ninno, e però non si fidando di lui, non vollono a sue spese favorire uno instrumento che avessi a operare tanto quanto paressi al duca. E fu questa rottura tanto a proposito ed utile della cittá, quanto dire si potessi: perché e’ cittadini, vedendosi sanza soccorso e contro tutta Italia, si giudicavano sanza rimedio, in forma che da molti fu imputato piú tosto a miraculo la salute nostra che modo umano; parendo che l’essere soprastato lo imperadore in mare per e’ tempi cattivi, e la disunione venuta si a tempo, e di poi e’ venti essersi operati nella vittoria nostra, fussi stato mistero divino; e massime che fra Ieronimo aveva in quegli giorni predicato e confortato gagliardamente, fussino sanza paura, che Dio gli libererebbe.
Partito lo imperadore, fu di poi creato per calendi di gennaio gonfaloniere di giustizia Francesco Valori, benché forse dua mesi innanzi non avessi vinto lo r.ficio de’ dieci e fussi stato scavalcato non solo ila Pierfilippo Pandolfini, ma ancora da Taddeo Caddi; esemplo manifesto delie mutazioni del popolo, che, avendolo cosi ributtato, lo prepose poco di poi in tanto magistrato, sendo andato a partito ancora Pierfiiippo Pandolfini. Fucci tirato con favore della parte del frate, della quale fu assolutamente fatto capo; e però attese in questo magistrato favorirlo quanto piú poteva, inaino a cacciare di Firenze molti predicatori dell’ordine di San Francesco e’ quali apertamente gli contradicevano. E perché le cose de’ Medici erano in modo transcorse, che fuori se ne p irlava con grandissima licenzia, e cosi molti preti e cortigiani fiorentini erano iti a stare a Roma col cardinale de’ Medici, ordinò legge asprissime, revocandogli e proibendo e’ commerzi con loro: nel vincere delle quali ebbe tanta difficultá. con tutto vi adoperassi drento tutto lo sforzo ed autoritá sua, die qualche volta volentieri arebbe voluto esserne stato digiuno; il che nasceva non tanto dall’avere e’ Medici favore in Firenze, quanto dagli inimici del frate e malcontenti di questo governo. Attese ancora a fortificare el consiglio, faccendo un 1 legge che chi era a specchio non vi potessi venire; e perché el numero rimaneva molto scarso, vi messe e’ giovani che avessino finito ventiquattro anni, che prima non vi poteva venire chi non avessi trenta. Cavonne ancora molti che ragionevolmente non vi potevano venire, ma in quella confusione da principio, sotto vari nomi di case ed altri falsi colori, vi erano entrati. Per queste cose e per essere tenuto netto e buono cittadino, sendo in reputazione grandissima, gli inimici del frate non avendo un capo di tanta autoritá da opporgli, poi che era morto Piero Capponi, voltorono el favore a Bernardo del Nero, el quale benché fussi dello stato vecchio, era giá stato fatto de’ dieci e ritornato in riputazione, ed era vecchio con credito grandissimo di essere savio e di tanta pratica ed autoritá, che in Firenze non pareva altro uomo da opporre a Francesco Valori; e lo creorono in scambio di Francesco, gonfaloniere di giustizia; e cosi sendo giá battezzato capo della altra parte, nacque fra Francesco e lui emulazione ed odio grandissimo.