Storia segreta/Note/Appendice II

../Appendice I

../Appendice III IncludiIntestazione 18 giugno 2022 100% Da definire

Procopio di Cesarea - Storia Segreta (VI secolo)
Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
Note - Appendice II
Note - Appendice I Note - Appendice III
[p. 289 modifica]

N° II.

SEDIZIONE DE’ VITTORIATI.


Prima di riferire quanto intorno a ciò che diede principio a questa sedizione ci ha lasciato Teofane, gioverà premettere un luminoso passo di Evagrio, che leggesi nel cap. 31 del libro 4 della sua Storia. Esso è il seguente.

«Debbo dire di altro fatto di Giustiniano, il quale non so indicare se dalla viziosa sua natura, o da conceputo spavento nascesse. So che fu di tal sorta, che superò di gran lunga ogni crudeltà di più terribile fiera. Questo fatto ebbe il suo principio da quella sedizione popolare, che chiamasi Nika, cioè Vinci. Piacque sì fortemente a Giustiniano favorire l’altra fazione di quelli, che diconsi Veneti, che costoro potevano impunemente in pien meriggio in mezzo alla città trucidare i loro avversarii, e per ciò non solo non temendo le pene dovute a tali delitti, ma fatti anzi sicuri di ottenerne onori: d’onde venne che furonvi molti e molti omicidii. A costoro era fatto lecito l’entrare violentemente nelle altrui case, rapire i tesori in esse nascosti, alle persone vendere la loro salvezza e vita; e se alcun Magistrato cercava di frenarli, egli per quel suo zelo chiamava sopra il proprio capo una ruina certissima. Così accadde a certo personaggio, il quale era stato magistrato in Oriente: chè avendo egli voluto metter freno ad alcuni di coloro, i quali a queste novità applicavansi, e fatti flagellare onde meglio in avvenire si conducessero, fu per tutta la città strascinato, e flagellato egli medesimo gravissimamente. Callinico poi, prefetto della Cilicia, perchè due cilici, Paolo e Faustino, entrambi omicidi, i quali lui aveano assaltato e tentato d’uccidere, punì conforme portava la legge, fu crocifisso; e s’ebbe tale supplizio in mercè della sua [p. 290 modifica]buona coscienza, e d’avere osservata la legge. Da queste cose nacque che quelli, i quali erano dell’altra fazione, fuggironsi dai loro domicilii, nè trovarono ricetto presso alcuno: così che cacciati da tutti come scellerati incominciarono poi a darsi alla strada, ad assaltare i viandanti, a derubarli, ad ammazzarli, a segno che tutti i luoghi furono pieni di morti immature, di rubamenti, e di simili misfatti».

Ciò premesso, ecco come Teofane descrive il principio di quella sollevazione, la quale nelle Note si è veduto come produsse in Costantinopoli orribilissima strage.

«La ribellione del Vinci (Nika) accadde così. Erasi radunata nel Circo l’una fazione e l’altra; e ad alte grida i Prasini domandavano, che si procedesse in conformità della legge contro Calopodio cubicolario e spatario.

I Prasini. — Vivi, o Giustiniano Augusto, molti anni. Patisco ingiustizia, o Cesare ottimo; nè posso soffrir oltre: Dio m’è testimonio. Ma non ardisco nominare chi mi fa patire, onde ed egli non s’abbia miglior fortuna, ed io non mi chiami addosso peggior malanno.

Il Nunzio. — Chi è costui? io nol conosco.

I Prasini. — Chi mi maltratta, Augusto Massimo, abita nel rione de’ calzolai.

Il Nunzio. — Nessuno vi maltratta.

I Prasini. — Uno, ed uno solo è quegli che mi maltratta; chè costui, o Madre di Dio, non alzi mai testa!

Il Nunzio. — Ma chi in fine è costui? Noi assolutamente nol conosciamo.

I Prasini. — Anzi tu solo, o Massimo Augusto, conosci costui, dal quale in questi giorni io sono trattato ingiustamente.

Il Nunzio. In fine dì chi sia: chè noi nol conosciamo.

I Prasini. — L’iniquo, o Supremo Signore, è Calopodio spatario.

Il Nunzio. — Ma Calopodio non offende nessuno.

I Prasini. — Che chiunque egli sia, vada in ruina come Giuda; ed uomo sì ingiusto verso di me Dio punisca ben presto. [p. 291 modifica]

Il Nunzio. — Ma voi non veniste qua per godere degli spettacoli: bensì per ingiuriare il Principe.

I Prasini. Replico, che chiunque mi maltratta tanto vada in ruina come Giuda.

Il Nunzio. — Quietatevi, Giudei, Manichei, Samaritani.

I Prasini. — Ci chiami Giudei, e Samaritani? Ben ci è propizia la Madre di Dio!

Il Nunzio. — E fino a quando chiamate sopra le vostre teste la maledizione?

I Prasini. — Chiunque dica che l’Augusto non crede rettamente, abbiasi la maledizione di Giuda.

Il Nunzio. — Se ascoltate me, battezzatevi tutti quanti insieme.

I Prasini tumultuariamente gridarono. — Mi farò battezzare, come comandò Autlante.

Il Nunzio. — Se non vi quietate, risolutamente v’andrà la vostra testa.

I Prasini. — Ognuno ambisce l’Imperio per vivere sicuro. Ma a noi, che giaciamo in miseria, e il diciamo, l’Imperio tuo provvegga siccome vuole giustizia. Il Nume divino fa così con tutti. Noi abbiamo, o Imperadore, una rimostranza da fare, e per ciò qui diciamo tutto. Non veggiam rimanere qui, o Massimo Augusto, dignità nè di curia; nè di repubblica. Cammino in città soltanto quando v’ha il mulo. Dio voglia, o Massimo Augusto, che nè così pur sia!

Il Nunzio. — Ogni uomo libero può con sicurezza andare ove più gli piaccia.

I Prasini. — È vero: io mi fido della mia libertà; ma non per questo mi si permette di venire in pubblico. Ogni uomo libero, sospettato d’essere della fazione prasina, immantinente in faccia a tutti è tolto di vita.

Il Nunzio. — Teste destinate alla croce! così mettete le vostre vite a sbaraglio?

I Prasini. — Sì, sì, a cagione di questo color che portiamo, noi dobbiamo esser tolti di mezzo! Intanto non si trova giustizia. Tu cessa dalle stragi: e allora pagheremo la pena de’ nostri [p. 292 modifica]misfatti. Come guizzano dalla fontana quelle acque, così guizzò il sangue di quelli, che vuoi trarre al supplizio. Ma quello che è vero, si è, che l’umana mente abborre affatto l’ingiustizia, e la crudeltà. Avesse pur Dio voluto, che non fosse mai nato Sabbazio! chè così non avrebbe avuto certamente un figliuolo sanguinario, come te. Questa è la ventesima sesta strage commessa allo Zeugma. La mattina egli stava in teatro allo spettacolo; e verso sera, o Supremo Signore, fu trucidato.

I Veneti. — Tra voi soli sono gli omicidi di quelli che raccolgonsi allo stadio.

I Prasini. — E tu quando ne partisti non imbrattato di sangue?

I Veneti. — Ma tu, anche senza cagione alcuna prorompi alle stragi. E ti ripeto che tra voi soli sono gli omicidi di quelli che raccolgonsi allo stadio.

I Prasini. — Signor Giustiniano! Costoro provocano gli altri, e non sono uccisi da nessuno. Credo che questa cosa sia intesa anche da chi non vuole. E chi fu, o Imperadore, che trucidò allo Zeugma il falegname?

Il Nunzio. — Voi lo uccideste.

I Prasini. — Chi, o Imperadore, ammazzò il figliuolo di Epagato?

Il Nunzio. — Voi pure foste quelli, e ne date la colpa ai Veneti.

I Prasini. — Senti, senti, come la verità sia conculcata. Dio buono! sii propizio! Vorrei ora discorrer con quelli, i quali sostengono che le cose umane vengono governate dalla volontà divina. Da che nascono queste disgrazie?

Il Nunzio. — Dio non è tentore de’ cattivi.

I Prasini. — No, per certo. Dio non è tentator de’ cattivi. Ma chi sì ingiustamente mi opprime! Via, filosofo, od eremita, che tu sii. Ti lascio qual vuoi.

Il Nunzio. — Bestemmiatori! Empii! Quando una volta vi quieterete?

I Prasini. — Quando tu vuoi così, o Massimo Augusto, anche a mio malgrado mi quieto. Conosco tutto, e ciascheduna cosa [p. 293 modifica]in particolare; e mi taccio. Addio, Giustizia! Tu non hai più luogo ove starti. Andrò di qui per farmi giudeo. Meglio è assolutamente iniziarsi ai riti de’ Gentili, e lo giuro a Dio, che starsi coi Veneti.

I Veneti. — Chè mai non vegga tanta scelleratezza! Ma l’odio vostro pure mi stimola a voler tanto.

I Prasini. — Che dopo morte sieno dissotterrate le ossa di coloro, che si saranno seduti a questo spettacolo!

«Così i Prasini se ne partirono, lasciato l’Imperadore, e i Veneti soli nel Circo».