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buona coscienza, e d’avere osservata la legge. Da queste cose nacque che quelli, i quali erano dell’altra fazione, fuggironsi dai loro domicilii, nè trovarono ricetto presso alcuno: così che cacciati da tutti come scellerati incominciarono poi a darsi alla strada, ad assaltare i viandanti, a derubarli, ad ammazzarli, a segno che tutti i luoghi furono pieni di morti immature, di rubamenti, e di simili misfatti».

Ciò premesso, ecco come Teofane descrive il principio di quella sollevazione, la quale nelle Note si è veduto come produsse in Costantinopoli orribilissima strage.

«La ribellione del Vinci (Nika) accadde così. Erasi radunata nel Circo l’una fazione e l’altra; e ad alte grida i Prasini domandavano, che si procedesse in conformità della legge contro Calopodio cubicolario e spatario.

I Prasini. — Vivi, o Giustiniano Augusto, molti anni. Patisco ingiustizia, o Cesare ottimo; nè posso soffrir oltre: Dio m’è testimonio. Ma non ardisco nominare chi mi fa patire, onde ed egli non s’abbia miglior fortuna, ed io non mi chiami addosso peggior malanno.

Il Nunzio. — Chi è costui? io nol conosco.

I Prasini. — Chi mi maltratta, Augusto Massimo, abita nel rione de’ calzolai.

Il Nunzio. — Nessuno vi maltratta.

I Prasini. — Uno, ed uno solo è quegli che mi maltratta; chè costui, o Madre di Dio, non alzi mai testa!

Il Nunzio. — Ma chi in fine è costui? Noi assolutamente nol conosciamo.

I Prasini. — Anzi tu solo, o Massimo Augusto, conosci costui, dal quale in questi giorni io sono trattato ingiustamente.

Il Nunzio. In fine dì chi sia: chè noi nol conosciamo.

I Prasini. — L’iniquo, o Supremo Signore, è Calopodio spatario.

Il Nunzio. — Ma Calopodio non offende nessuno.

I Prasini. — Che chiunque egli sia, vada in ruina come Giuda; ed uomo sì ingiusto verso di me Dio punisca ben presto.