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misfatti. Come guizzano dalla fontana quelle acque, così guizzò il sangue di quelli, che vuoi trarre al supplizio. Ma quello che è vero, si è, che l’umana mente abborre affatto l’ingiustizia, e la crudeltà. Avesse pur Dio voluto, che non fosse mai nato Sabbazio! chè così non avrebbe avuto certamente un figliuolo sanguinario, come te. Questa è la ventesima sesta strage commessa allo Zeugma. La mattina egli stava in teatro allo spettacolo; e verso sera, o Supremo Signore, fu trucidato.

I Veneti. — Tra voi soli sono gli omicidi di quelli che raccolgonsi allo stadio.

I Prasini. — E tu quando ne partisti non imbrattato di sangue?

I Veneti. — Ma tu, anche senza cagione alcuna prorompi alle stragi. E ti ripeto che tra voi soli sono gli omicidi di quelli che raccolgonsi allo stadio.

I Prasini. — Signor Giustiniano! Costoro provocano gli altri, e non sono uccisi da nessuno. Credo che questa cosa sia intesa anche da chi non vuole. E chi fu, o Imperadore, che trucidò allo Zeugma il falegname?

Il Nunzio. — Voi lo uccideste.

I Prasini. — Chi, o Imperadore, ammazzò il figliuolo di Epagato?

Il Nunzio. — Voi pure foste quelli, e ne date la colpa ai Veneti.

I Prasini. — Senti, senti, come la verità sia conculcata. Dio buono! sii propizio! Vorrei ora discorrer con quelli, i quali sostengono che le cose umane vengono governate dalla volontà divina. Da che nascono queste disgrazie?

Il Nunzio. — Dio non è tentore de’ cattivi.

I Prasini. — No, per certo. Dio non è tentator de’ cattivi. Ma chi sì ingiustamente mi opprime! Via, filosofo, od eremita, che tu sii. Ti lascio qual vuoi.

Il Nunzio. — Bestemmiatori! Empii! Quando una volta vi quieterete?

I Prasini. — Quando tu vuoi così, o Massimo Augusto, anche a mio malgrado mi quieto. Conosco tutto, e ciascheduna cosa