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380 D e l   B e l l o   c o n s i d e r a t o

si trova che Ateneo volle dire l’opposto: ὀυδ' ὁ ποιητὴς (Σιμονίδες) ἔφε λέγων χρυσοκύμαν Ἀπόλλωνα; „ Il poeta, (Simonide) non chiama egli biondo (auricomato) Apollo?„ Questo colore de’ capelli fu anche chiamato μελίχρωος1; e ciò che abbiamo detto testè vien confermato da Lucrezio, ove leggesi Nigra μελίχροος est2, volendo qui il poeta addurre un esempio delle adulazioni eccessive, che usavansi anche a’ tempi suoi colle donne; poiché talora davano ad una di capelli neri il nome di μελίχροος (bionda), attribuendole una bellezza che non avea. Secondo l’interpretazione data finora al citato luogo di Simonide, ne verrebbe che quello poeta contradicesse al cantore di Achille, il quale a veruno de’ suoi eroi mai non dà neri capelli.

    meglio ciò che scrive Giunio in questo proposito, cioè, che i più antichi pittori abbiano dipinto Apollo non colla chioma bionda, ma co’ capelli neri. Cosi Giunio intese Ateneo, come va inteso. La critica del nostro Autore non ha che fare con ciò che ne ricava Giunio; il quale altronde non poteva ignorare, e lo prova anzi coll’autorità di antichi scrittori, che si attribuisse bionda la chioma ad Apollo; e il sentimento di Ateneo è chiarissimo. Nel testo greco, di cui parla Winkelmann, ha il punto d’interrogazione; e nella versione latina si sottintende; ma convien leggere il contesto per ben intenderlo; non già staccarnelo. Ateneo dice in sostanza, che non tutto quello che comparisce bello, o bello si crede comunemente, è creduto tale dai pittori; e ne dà alcuni esempi messi in bocca di Eritreo, e di Sofocle. Eritreo è quello che pronuncia un tal giudizio, a cuì Sofocle, mostrandone maraviglia, risponde sorridendo: non ti piacerà dunque, o ospite, il detto di Simonide, che pur è stato riputato bellissimo dai Greci:

    La vergine parlò colla sua bocca purpurea;
    né ti piacerà, che il poeta (intendendo forse di Omero, secondo ciò che abbiamo avvertito alla pag. 306. not. b., anzi che dello stesso Simonide) chiami Apollo auricrinito; perocché se il pittore gli facesse le chiome bionde, e non nere, meno bello sarebbe il quadro, ec. Questo è il passo, intorno a cui verte la critica del nostro Autore. Non mi pare, che Sofocle interroghi nel modo ch’egli vuole; e neppur mi parrebbe che fosse ironica la di lui risposta. Ciò non ostante, affinchè gli eruditi possano giudicarne per loro medesimi, riporterò il testo di Ateneo tutto distesamente, benché un poco lungo, secondo l’esatta versione latina approvata dal Casaubono: Erubescente magis puero, ei qui proxime accumbebat, ille cum inquit, eleganter Phrynichum hoc dixisse:
    In purpureis genis Amoris lux splendet:
    Respondit Eretriensis, sive Erytræus ludimægister, & literator, in componendis versibus, o Sophocles, sapiens es. Phrynichus tamen non recte dixit, purpureas esse formosi pueri genas. Nam purpureo colore si hujus pueri genas pictor tingeret, formosus non videretur. Non autem quod pulchrum, est comparandum cum eo, quod minime pulchrum apparet. Arridens Sophocles Eretriensi, non igitur, ait, placebit tibi, o hospes, Simonidis illud, quod dictum optime Græci judicant:
    Purpureo vocem ab ore virgo misit;
    nec quod poeta dixit, auricomum Apollinem: Pictor enim si Apollinis capillum aureum, & non atrum, repræsentaret, elegans tabula minus esset: Nec quod auroræ digitos esse roseos idem poeta scripsit probabis, quoniam roseo colore insectis digitis purpuratæ manus sint, non pulchræ mulieris.

  1. Philostr. lib. 1. Icon. 4. pag. 768.
  2. lib. 4. vers. 1154.

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