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Nugent alloraquando eccitavano gl’Italiani con promesse di libere instituzioni, purchè a loro sì unissero per ischiacciar la potenza del loro più implacabile nemico Napoleone I? 1 E non fecer così nel 1848 co’ Siciliani? Qual pro ne venne loro dalle fatteci promesse della superba Albione? Su questo peraltro avrem luogo di ritornare in proseguimento dei nostri annali storici.

Il linguaggio della Inghilterra aveva dunque piuttosto le apparenze di un tranello al pontefice, di un incoraggiamento ai nemici del pontificato, e di un inganno di più per le bersagliate e tradite popolazioni.

E questo procedere così doloso ed iniquo dovrà riscuotere gli elogi di chi sente la propria indipendenza, e di chi sostener vorrebbe la dignità del proprio paese?

Oh se avessimo avuto meno protettori! Il governo pontificio con tutti i suoi difetti e la sua non perfetta amministrazione, possiede in se tali risorse, da costituire uno dei più floridi stati, e nel tempo stesso uno dei più miti governi. Ma se viene costretto a porsi in guardia per garantirsi dalle mene, dagl’intrighi, e dalle minaccie di volerlo rovesciare, tanto dovrà consacrare di cure e pensieri per la propria preservazione, quanto dovrà sottrarne dalle sollecitudini di quelle migliorie, che nello stato soltanto di derfettissima quiete possono introdursi. Si rammentino i nostri lettori ciò che dicemmo al capitolo X di questo volume sulle finanze dello stato pontificio, cioè: che fino all’anno 1827 vi faron sopravanzi, che nel 1828 e 1829 vi fu un piccolo deficit, ma cagionato dall’incasso minore per l’alleggerimento di tasse introdotte da Leone XII, e che i guai incominciaron dalla rivoluzione di Francia nel 1830, che partorì quella del 1831 nelle Romagne. Se dunque i deficit, i prestiti, e le rovine incominciaron da quel tempo soltanto, non dimentichino i giovani che ci seguiranno, queste verità incontrastabili, e ne inferiscano che non fu

  1. Vedi Angeloni Dell’Italia uscente il settembre 1818. — Parigi 1818, volume I, pagine 37, 39, 66.