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vemenza d’immischiarsi nella organizzazione politica degli stati del continente in genere e di quel di Roma in ispeeie, dopo tre secoli di silenzio e d’interrotti rapporti, indurci dovrebbe in gravi sospetti circa la rettitudine delle sue intenzioni, tanto più che aprendo le pagine della storia vedemmo spesse volte gl’innganni e la perfidia sedere a lato, quai consiglieri, di chi reggeva il freno delle cose della Gran Brettagna.

I consigli amichevoli pertanto e le filantropiche espan- sioni del quanto astuto, altrettanto abile e ragguardevole ministro inglese rivestono tal dubbio carattere, che senza desiderio di malignare, a noi sembra potersi tradurre così:

«Bravo, Santo Padre. Cedete, riformate, alterate coraggiosamente un poco alla volta l’impianto di codesto rancido governo pontificio. Ammodernatelo, rinnovatelo, e voi sarete lodato da tutti gli uomini colti e civili. L’inghilterra, tempo già fu, dette al papato uguali consigli, ma indarno. Essa non era sola in allora, eppure tutti ora sola la lasciano, fedele e costante esecutrice del mandato civilizzatore. Congiuntamente alla Inghilterra soscrissero nel 1832 altro potenze un opinamento, cui diessi il nome di Memorandum, ma i consigli rimaser senza effetto. Oggi la sola Inghilterra che ama davvero gli stati romani, torna in campo onusta di benevoli consigli, confortatrice di liete speranze, e mentre quelli rinnuova, queste riaccende e rinvigorisce.»

Domanderemo se un cosiffatto linguaggio poteva considerarsi come figlio della sincerità e della benevolenza, o non piuttosto come una emanazione di quell’anti-papismo anglicano, che agogna costantemente a vedere affievolito, e se fosse possibile anche distrutto il clerical regime?

A che quell’avviso che il governo inglese non vedrebbe di buon occhio, e non tollererebbe una invasione straniera, se non per ingannare come sempre le italiche popolazioni, eccitandole e allucinandole prima, abbandonandole poi?

E non fecer così e il general Bentinck, e il generale